01 feb 19 – Luce delle genti

Testo: Lumen Gentium 1

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Esattamente 60 anni fa, il 25 gennaio 1959, Giovanni XXIII annunciava ai Cardinali nella Basilica di S. Paolo fuori le mura l’intenzione di convocare un Sinodo per l’Urbe, per la città di Roma, e un Concilio Ecumenico per l’intera Chiesa.

60 anni fa. La cosa quindi è abbastanza recente. Non si tratta di un evento che risale a millenni or sono, ma diciamo che nei tempi della Chiesa 60 anni sono un soffio. Quando qualcuno a volte si lamenta, anche giustamente, che la ricezione del Concilio va avanti lentamente, ricordiamoci sempre che è trascorso solo poco tempo dall’inizio di questa grande avventura.

Giovanni XXIII pensava ad un Sinodo di Roma, che è stato celebrato in una settimana nel 1960 (25 gennaio – 31 gennaio), e a un Concilio Ecumenico (1962-1965). In pratica di quello che lui aveva in mente non si è realizzato quasi nulla. Il Papa aveva la sensazione che bisognasse aprire una finestra nella Chiesa per far entrare aria fresca. Perciò auspicava che il Sinodo non avesse un carattere ascetico né giuridico, ma il suo frutto fosse caratterizzato dall’unzione del bonum animarum, del bene delle anime (fonte · mirror pdf).

Ma il Primo Sinodo di Roma alla fine si tradusse in un lavoro fatto a tavolino sfociato in 775 articoli, per stabilire che i sacerdoti di Roma erano obbligati ad indossare la talare, non potevano andare al cinema, allo stadio e in altri locali pubblici né viaggiare in automobile con donne, nemmeno fossero la madre o la sorella (fonte · mirror pdf). Le critiche sulla formazione catechistica da parte di sacerdoti come Nicolino Barra giunsero puntuali (fonte · mirror pdf).

Ciononostante Giovanni XXIII non considerò il Sinodo un fallimento, al contrario di quel che riteneva il cardinal Oddi. Il quale racconta:

Fui ricevuto in udienza da Giovanni XXIII. Mi ero procurato una copia degli atti del Sinodo romano, appena conclusosi. Dissi al Papa: «Beatissimo Padre, per favore si adoperi perché il Concilio non abbia lo stesso esito del Sinodo romano». «Che cosa vuoi dire?», mi domanda, oscurandosi in volto. «Che farebbe ridere tutti», dico io un po’ brutalmente. E lui, risentito: «Ma che dici, il Sinodo romano è stato un successo».

Giovanni XXIII riteneva che il lungo lavoro preparatorio del Concilio Vaticano II fosse sufficiente per farlo concludere in pochi mesi. Invece gli schemi dei documenti furono respinti dall’Assemblea, col risultato che lui riuscì ad aprire il Concilio l’11 ottobre del 1962 (io ero già nato, quindi sono pre-conciliare a tutti gli effetti) ma venne colto dalla morte senza poterlo chiudere. Appena il Concilio inizia, infatti, ci si rende conto della grande diversità di vedute tra i padri conciliari. Lo schema sulla Chiesa, che diventerà il documento Lumen Gentium, viene completamente rifiutato dai vescovi. Bisogna rifarlo daccapo.

Durante la XXIV sessione pubblica Montini, allora arcivescovo di Milano, fece un intervento memorabile (qui). Tutti i padri aspettavano il suo intervento; si racconta che i padri sospesero i lavori di alcune commissioni sapendo che Montini stava per parlare. Montini, in un latino perfetto, sostiene che tutto il Concilio doveva rispondere a due domande: “Chi sei, Chiesa? Cosa fai, Chiesa?“. “Chi sei”: la natura, cosa è la Chiesa. “Cosa fai”: la missione. Espressioni che noi ritroviamo nel primo punto che abbiamo ascoltato: l’intenzione del Concilio è di “illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale“.

Ci troviamo di fronte ad un documento che ha forza dogmatica. Il Concilio Vaticano II ne ha prodotto solo un altro con tale caratteristica, la Dei Verbum. Dunque i padri conciliari hanno intenzione di offrire all’attenzione, alla preghiera dei fedeli e al mondo stesso una riflessione sulla realtà e sul significato più profondi di essere Chiesa. Con il dogma si tocca il nucleo della nostra fede e non a caso la Lumen Gentium è stato definito il documento più importante del Concilio. Esso ci offre la visione della Chiesa per il terzo millennio cristiano.

Lumen Gentium. Il mistero della Chiesa. Mi soffermo sul termine mistero. Madre Oliva Bonaldo, fondatrice delle Figlie della Chiesa, sosteneva una convinzione che anche altri autori hanno mostrato: che “mistero” significasse “una realtà inaccessibile… imperscrutabile” (fonte · mirror pdf). In realtà, aveva ragione a metà; sul terreno teologico “mistero” non appartiene a qualcosa di sconosciuto, di incomprensibile, misterioso appunto, ma a qualcosa di rivelato. Come in questa chiesa, dove esistono i “sepolcri dei canonici”, nessuno li ha mai scoperchiati, cosa ci sarà lì dentro… un po’ di mistero che aspetta di essere rivelato. Il mistero della Chiesa è mistero nel suo significato teologico. Cioè “sacramento” (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica 1066-1067, fonte).

Quando i nostri padri traducono i termini dal greco al latino, mysterion (greco) diventa sacramentum (latino). Tertulliano usa 134 volte il termine sacramentum. Sant’Agostino ben 2280 volte.

Il sacramento è il mistero, ma in questo senso non è qualcosa di misterioso, bensì è tale perché rivela altro, rispetto a se stesso. La Chiesa ha questa caratteristica, di rivelare qualcosa di altro rispetto a se stessa. Perciò i padri dicono che Cristo è luce delle genti e che questa luce si riflette sul volto della Chiesa. In qualche modo il mistero della Chiesa, il sacramento della Chiesa, ci rivela qualcosa – Qualcuno nascosto da secoli, Gesù Cristo.

Mi soffermo su un’altra parola. Il termine “chiesa”. Usiamo questo termine per definire l’edificio nel quale ci troviamo; lo usiamo in espressioni come “vado in chiesa”, per dire “vado a pregare”; lo usiamo per indicare la comunità cristiana, come la comunità radunata in questo momento: è Chiesa. Fino a qualche anno fa, ma forse qualcuno pure oggi, si parlava di Chiesa con riferimento alla gerarchia: Papa, cardinali, vescovi, preti… I capi.

La piattaforma degli oratori nella Pnice, collina di Atene sede dell’ecclesia

Tanti significati per un’unica parola, chiesa, anche questa derivata dal greco, ecclesìa. Era la convocazione del popolo, l’assemblea democratica nella quale il popolo prendeva le decisioni più importanti. Nell’antica Atene l’ecclesìa – dal più povero al più ricco, dal più umile al più nobile insieme – prendeva le decisioni migliori per l’intera comunità. Il significato della parola viene dal verbo greco eccaleo, che vuol dire “chiamo, mando a chiamare”. Per radunare questa assemblea bisognava chiamare i partecipanti, convocarli.

La Chiesa, in questo senso, è la comunità dei chiamati. Non siamo Chiesa perché simpatici gli uni agli altri o perché ci diamo appuntamento per prendere un aperitivo; siamo convocati dallo Spirito Santo che è il Paraclito (torneremo su questa espressione quando parleremo della natura della Chiesa e del suo rapporto con lo Spirito Santo) direi quasi alla greca: per fare le cose più importanti, per prendere le decisioni più importanti. Infatti per pregare possiamo restare nella nostra stanzetta, per fare del bene non abbiamo bisogno di recarci in chiesa; mentre il radunarsi della Chiesa è il sintonizzarsi sulle cose più decisive della vita cristiana: la fede, la speranza, la carità.

Secondo la Lumen Gentium questa “assemblea convocata dallo Spirito Santo per decidere e fare le cose più importanti” ha un riflesso su tutti gli uomini. Nel primo passaggio che abbiamo ascoltato della Lumen Gentium i padri conciliari sono stati precisi. L’esistenza della Chiesa ha la finalità di “illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo“. Il frutto del lavoro della Chiesa, della preghiera, della formazione dei credenti è certamente essere più santi, essere più consapevoli della propria fede, ma se si perde di vista l’altro aspetto – quello propriamente missionario – che la Chiesa esiste per illuminare gli uomini con la luce di Cristo, si perde una delle due gambe su cui cammina il Popolo di Dio. L’esistenza della Chiesa – l’assemblea convocata dello Spirito Santo per decidere e fare le cose più importanti, per sintonizzarsi sulle realtà decisive della vita cristiana – è finalizzata ad illuminare gli uomini con la luce di Cristo.

Fatima, Casa Nossa Senhora do Carmo

Ultima parola su cui mi soffermo: sacramento. I padri conciliari attribuiscono a questa parola un duplice significato: segno e strumento. La Chiesa è segno e strumento. Due termini che sono abbastanza espliciti, che non richiedono grandi spiegazioni. Le macchie di inchiostro che leggiamo sulla carta sono segni, le lettere e i numeri sono segni che possiedono un significato e rimandano ad altro da sé. La Chiesa ha un significato, sul quale dobbiamo indagare grazie al Concilio, che rimanda ad altro da sé. Ma al tempo stesso la Chiesa è uno strumento, cioè serve a realizzare qualcosa nelle mani di qualcuno, come la penna è nelle mani dello scrittore lo strumento per fissare sulla carta il suo pensiero.

Il significato della Chiesa immediatamente esplicitato dai padri è l’intima unione degli uomini con Dio e l’unità degli uomini tra di loro. Questo significato della Chiesa è contemporaneamente realizzato da lei grazie alla sua caratteristica di strumento.

Si tratta di temi molto ampi, sui quali torneremo. Nel frattempo lasciamo che entrino nella nostra preghiera personale e comunitaria, perché la Chiesa risponda sempre meglio alla sua natura e alla sua missione. Amen.