10 convinzioni (sbagliate) sui preti cattolici
1. Se uno è diventato prete cattolico e ci ripensa non potrà mai sposarsi in chiesa
Falso. Un uomo che ha scelto di essere prete ed è stato ordinato da celibe non potrà sposarsi e continuare ad esercitare il ministero sacerdotale. Tuttavia può chiedere al Vescovo di essere dispensato dal celibato; in quel caso potrà sposarsi in Chiesa, ma non svolgerà più nessuna funzione ufficiale e pubblica. Resterà comunque prete (il sacramento non si può annullare) e in caso di necessità o di urgenza potrà e dovrà celebrare i sacramenti.
2. Se uno è sposato e ha la vocazione non potrà mai diventare prete cattolico
Falso. Nella Chiesa cattolica esistono diversi riti, alcuni dei quali, come per esempio il rito bizantino, ammettono che una persona sposata possa legittimamente diventare prete. Invece effettivamente il rito romano (quello più conosciuto e praticato) ammette l’eventualità dell’ordinazione sacerdotale solo ad un vedovo (in quel caso il matrimonio non c’è più) o a determinate condizioni in casi del tutto speciali a uomini sposati con moglie vivente.
3. I preti cattolici sono stipendiati dal Vaticano
Falso. Il Vaticano è uno Stato sovrano riconosciuto come tale dal diritto internazionale e non ha competenza negli affari economici dei cittadini di altri Stati. Nessun prete, per il fatto di essere prete, assume automaticamente la cittadinanza vaticana. Tra i dipendenti dei vari organismi dello Stato della Città del Vaticano possono figurare anche alcuni preti; in questo caso il loro stipendio è regolato come quello di qualunque altro lavoratore all’estero. Per tutti gli altri preti valgono le regole dello Stato nel quale operano.
4. I preti cattolici sono stipendiati dallo Stato Italiano
Falso. Lo Stato Italiano, secondo la revisione del Concordato nel 1984, non eroga più nessun emolumento per il clero cattolico. Gli unici preti effettivamente stipendiati dallo Stato Italiano sono quelli che figurano alle sue dipendenze (per esempio, docenti delle scuole ed università pubbliche).
5. I preti cattolici non pagano né vitto né alloggio
Falso. Se un prete risiede in Parrocchia è tenuto a partecipare alle spese del proprio mantenimento, versando alla Parrocchia una quota stabilita dal Vescovo per l’occupazione della sua stanza e per la consumazione dei pasti. I preti religiosi (per esempio: francescani, gesuiti, salesiani, eccetera) avendo fatto voto di povertà non sono tenuti a nessun tipo di spesa, in quanto non possiedono nessun tipo di reddito, e il denaro che ricevono a qualsiasi titolo deve essere messo a disposizione della comunità. I preti che vivono in un’abitazione distinta (né Parrocchia né convento né monastero, ma per esempio casa di famiglia) devono pagarsi tutto.
6. Tutti i preti cattolici fanno i voti di castità, povertà e obbedienza
Falso. Il grande universo dei preti si può distinguere in due categorie: i preti (cosiddetti) diocesani e i preti (cosiddetti) religiosi. I primi sono tali perché si pongono al servizio del Vescovo di una Diocesi (per esempio: la Diocesi di Roma); in questo caso vengono “incardinati” presso la propria Diocesi dove rimarranno praticamente tutta la vita (se non vengono chiamati ad altri incarichi o non scelgono di andare in missione). Costoro al momento di essere ordinati emettono tre promesse: promessa di celibato, promessa di obbedienza al proprio Vescovo e promessa di preghiera e santificazione. I secondi (sacerdoti religiosi) sono chiamati tali perché appartengono ad una famiglia religiosa (per esempio: francescani, gesuiti, salesiani, eccetera); per aderire alla famiglia religiosa e prima ancora di diventare preti sono tenuti ad emettere i tre voti, quello di castità, quello di povertà e quello di obbedienza. Rimarranno per tutta la vita inseriti in quella famiglia religiosa, che disporrà del loro servizio secondo le necessità e la vocazione.
7. I preti cattolici possono fare carriera
Falso. Non esiste una “carriera” tra i preti cattolici, simile a quelle che si ritrovano in ambiente laico. Esiste una gradualità nel sacramento dell’ordine sacro, che si compone di tre specifici gradi con tre vocazioni e funzioni diverse: diacono, presbitero (prete) e vescovo. Tutte le altre denominazioni, come per esempio papa, cardinale, arcivescovo, patriarca, arciprete, generale, provinciale, abate, priore, guardiano, ispettore, prefetto, rettore, parroco, viceparroco, curato, cappellano, monsignore, eccetera, sono semplici titoli ai quali, in certi casi, corrispondono alcuni compiti distinti. Ma non esiste per i preti cattolici la possibilità di “avanzamento di grado”, non esistendo né concorsi, né gare, né posti da occupare, né strategie politiche da rispettare. È vero che alcuni possono essere malati di carrierismo; ma si tratta, appunto, di una malattia (a volte incurabile)…
8. I preti cattolici non vanno mai in pensione
Falso. Dal punto di vista dello Stato Italiano, raggiunta l’età per il ricevimento della pensione, come tutti i cittadini in regola con i contributi anche i preti percepiranno una pensione in linea con quanto versato. Dal punto di vista dei compiti svolti al servizio della propria Diocesi o della propria famiglia religiosa, solitamente i preti sono invitati a chiedere di essere dispensati da ogni incarico raggiunta l’età di 75 anni. Dal momento in cui riceve tale dispensa, un prete può sentirsi libero di svolgere qualsiasi attività o di godersi il meritato riposo.
9. I preti cattolici ricevono un lauto stipendio
Falso. Lo stipendio dei preti è disciplinato da una legge canonica nazionale e varia poco rispetto agli incarichi ricoperti. Il criterio di fondo è che lo stipendio serve a sostenere una vita sobria e dignitosa, non certo ad arricchirsi. Per i preti cattolici in Italia la retribuzione netta media è simile a quella di un operaio, circa 900 € mensili. Se qualche prete mostra di avere qualcosa di curiosamente sproporzionato al suo stipendio delle due l’una: o si tratta di eredità di parenti o di guadagni illeciti…
10. I preti cattolici portano sfiga
Falso. La convinzione che i preti cattolici portassero sfortuna è legata a superstizioni popolari, rafforzate da elementi secondari come il vestito scuro del prete e la presenza del prete accanto al letto di morte. In realtà qualche ragione storica nell’attribuire un presagio nefasto all’avvicinarsi del prete – soprattutto diocesano – verosimilmente risale al tempo dello Stato Pontificio, quando erano i preti stessi a riscuotere tasse e tributi dai popolani. Questi ultimi non potevano che vedere di malocchio la presenza inquietante degli esattori in tonaca.
Reset visualizzazioni: 13/11/20 (1565 views)
[…] https://www.ugoquinzi.it/10-convinzioni-sbagliate-sui-preti-cattolici/ […]
Ho approvato il commento, pur in assenza dei requisiti minimali per definirlo tale, perché chi legge possa farsi un’idea precisa dei tanti, veramente tanti problemi presenti nel panorama umano attuale…
Cliccando sullo pseudonimo dell’autore del commento si viene rinviati al suo blog, nel quale si potranno leggere alcune considerazioni, mi limito a dire farneticanti.
Ringrazio l’anonimo estensore per aver risparmiato a Gesù la risposta al 10imo argomento; come giustamente osservato: “L’ultima l’ho tolta perché non ha alcun senso sul resto del contesto…e fa pure ridere…“.
Nel 2012 lo stato vaticano ha ricevuto dagli Italiani 1.2 miliardi di euro con l’8×1000,io lo chiamo strozzinaggio.
Gentile Signore,
ho avuto modo di affrontare la questione dell’8Xmille in un altro articolo, al quale rimando per ogni approfondimento (link).
Qui mi preme solo sottolineare che destinatario dell’8Xmille dell’IRPEF dello Stato italiano non è lo Stato Vaticano ma la Chiesa Cattolica italiana (sono due enti diversi); e che non si tratta di “strozzinaggio” (che equivale a dire usura e non si capisce il motivo) ma del frutto di libera devoluzione dei cittadini italiani in applicazione delle leggi dello Stato italiano e di accordi internazionali.
Distinti saluti.
Ma se un prete “nasce” come sacerdote religioso e in seguito diventa sacerdote diocesano, i voti del primo status continuano a valere o vengono meno?
Grazie
Buongiorno.
La cosiddetta escardinazione di un chierico (diacono o prete) comporta la radicale perdita di obblighi e benefici verso l’ente ecclesiastico da cui si recede (Diocesi o famiglia religiosa). I voti fatti nelle mani di un superiore religioso sono però promesse fatte a Dio la cui dispensa è riservata alla Santa Sede. La disciplina attuale prevede che il religioso possa ricevere l’indulto per lasciare la propria famiglia religiosa solo a condizione di aver trovato un Vescovo benevolo che proceda all’incardinazione. Ricevuto l’indulto, il chierico è escardinato e ipso iure dispensato dai voti. Si ammette la possibilità dell’esclaustrazione temporanea del religioso come anche di un periodo ad experimentum in vista di una eventuale escardinazione. In questi casi, in cui non si perde il legame giuridico con la famiglia religiosa di appartenenza, i voti restano sempre validi.