12 feb 19 – Lo Spirito e la Sposa
Testo: Lumen Gentium 4
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La lettura sentita e preparata del testo odierno ha davvero impresso nel cuore le parole del Concilio Vaticano Secondo. Grazie!
Sapete che sono Cappellano in una Struttura Residenziale Psichiatrica. Qualche giorno fa un nostro ospite mi incontra in corridoio e mi dice: “Don Ugo, ti prego! Salvami tu!“. Gli rispondo: “Guarda Valerio, io posso far poco per questo. L’unico che salva è Gesù Cristo!“. E lui tutto serio mi ribatte: “Gesù Cristo? Ma quello non risponde nemmeno alle mail!“.
Ecco, per Valerio Gesù non salva perché, secondo lui, non risponde alle lettere, alle mail: se non risponde alle mail, poco può fare per la nostra salvezza. Ma è proprio vero che Gesù non risponde alle mail?
Il paragrafo 4 della Lumen Gentium ci dice che Gesù risponde alle nostre mail, nelle quali chiediamo di essere salvati. Probabilmente il modo di rispondere di Gesù non coincide con le nostre aspettative, ma del resto non possiamo mai attenderci che gli altri rispondano alle nostre richieste nel modo in cui desideriamo noi, è esperienza comune, quotidiana, fa parte dei nostri rapporti umani, magari tutti rispondessero a quello che chiediamo così come vogliamo sentirci rispondere.
La professione di fede dei padri conciliari, cominciata al paragrafo 2 col Padre, continuata al paragrafo 3 col Figlio, si presenta in modo speciale nel paragrafo 4 con lo Spirito Santo fin dalla sua formulazione. Fateci caso. Nel paragrafo dedicato al Padre i Vescovi indicano due sole citazioni bibliche e rimandano a due note che citano alcuni scritti patristici. Il paragrafo dedicato al Figlio vede la bellezza di cinque citazioni bibliche. Il paragrafo 4, dedicato allo Spirito Santo, viene corredato da ben quattordici citazioni bibliche e due rimandi a scritti patristici. Pare come se ad un certo punto i padri conciliari avessero trovato un tripudio di riferimenti biblici: del Padre ne hanno parlato, ma lo conoscono tutti, due citazioni bastano; il Figlio s’è fatto uomo ed ha vissuto tra noi, cinque citazioni della Scrittura sono sufficienti; ma lo Spirito Santo… con lui stiamo arrivando proprio al cuore della Chiesa!
Lo Spirito e la Sposa, in combutta, dicono allo Sposo: “Vieni!“, lo abbiamo appena sentito nel testo. Essendo arrivati nel cuore della Chiesa grazie allo Spirito, si spiega la ricchezza di citazioni. Con la rivelazione dello Spirito è come se ad un certo punto lo scrigno della Scrittura di fronte alla Chiesa si aprisse e rivelasse tutta la sua ricchezza: “Allora nella Genesi con la creazione dell’umanità si parlava della Chiesa… Quindi nei salmi con il perdono dei peccati si parlava della Chiesa… Perciò i profeti avevano a cuore il bene del popolo, perché avevano intravisto la Chiesa…“. Esatto! Inviato lo Spirito Santo, egli stesso apre lo scrigno e di colpo si fa luce sulla Chiesa. La quale abbraccia tutti gli uomini “dal giusto Abele fino all’ultimo eletto“, perché tale è il disegno salvifico del Padre (LG 2) realizzato dall’obbedienza del Figlio (LG 3).
Con la mia presente riflessione mi soffermerò in particolare sul contenuto della nota 4, dove incontriamo la citazione di tre testi patristici. Prima però analizzeremo un concetto che i padri conciliari esprimono rispetto allo Spirito Santo, concetto che suona quasi come un avvertimento rivolto al futuro, quindi si tratta di un avvertimento rivolto anche a noi, a distanza di 60 anni. Dicono i padri conciliari:
[Lo Spirito Santo] con la forza del Vangelo fa ringiovanire [la Chiesa], continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo.
I padri conciliari sembrano avvertire fin dagli esordi del documento il pericolo incombente delle obiezioni che sarebbero piovute sul Concilio. Proviamo ad approfondire con qualche esempio. Per me entrare in questa chiesa di Santa Maria in Via Lata è fare un tuffo nella grande bellezza, nella fede dei nostri padri. Osservando le pareti della chiesa potrete contare ben sette altari, quattro altarini lungo le navate, due sul fondo delle navate e uno principale. Alcuni ricorderanno che prima della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano Secondo la concelebrazione tra i sacerdoti (pur essendo rimasta in uso) di fatto non avveniva; ogni sacerdote celebrava una messa e se più sacerdoti dovevano celebrare nella stessa ora, lo facevano su altari diversi. Nella chiesa di Santa Maria in Via Lata con sette altari potevano essere celebrate in contemporanea sette messe. Pensate alla Basilica di San Pietro dove solo lungo le navate si trovano ben 45 altari!
La concelebrazione tra i sacerdoti – avverte invece il Concilio – “manifesta in modo appropriato l’unità del sacerdozio” (Sacrosanctum Concilium, 57); quello dei presbiteri è un “corpo”, un “ordine”, con una sua unità, non è che ciascuno fa per suo conto.
Cerchiamo ora di immaginare il Concilio Vaticano Secondo, circa 2.200 vescovi, che decidono questa cosa per qualche centinaio di migliaia di presbiteri in tutto il mondo. Ai quali, fino a qualche tempo prima, avevano detto che il sacrificio della messa si doveva celebrare con compunzione e solennità in persona Christi… e che questo sarebbe stato meglio farlo ciascuno per conto suo… Come l’avrebbero presa quei preti (e pure qualche vescovo)? Avrebbero pensato che al Concilio fossero impazziti tutti. Fino al giorno prima si celebrava in splendida solitudine, nella lingua sacra del latino, col manipolo, al proprio altare, perché a quello privilegiato celebravano solo gli aventi diritto… Esistevano un numero di tradizione e di norme che si fa fatica solo a menzionare.
Di seguito faccio un esempio speciale. Al momento della consacrazione, le rubriche (dal latino ruber, colore rosso, per indicare tutte le scritte rosse che rappresentavano le istruzioni e non dovevano essere pronunciate) del messale tridentino prevedevano che il sacerdote dicesse le parole della consacrazione (“Hoc est enim Corpus meum… Hoc est enim Calix Sanguinis mei…“) “distincte, attente, continuate, secrete“, cioè in modo comprensibile (1), con attenzione, senza interruzione e a bassa voce tra sé e sé. Nel messale di Paolo VI le disposizioni cambiano e le stesse parole devono essere dette “distincte, attente, continuate“, ma non più secrete. Il popolo deve sentirle e comprenderle. Non è un cambiamento di carattere secondario.
I padri conciliari hanno un’intuizione centrale. Cosa fa lo Spirito Santo alla sua Chiesa? La ringiovanisce. Quello che vorremmo fare un po’ tutti noi, avanzando con l’età, il motivo per cui tante persone vanno dal chirurgo o in palestra, pur di dimostrare quei due-tre anni di meno… Lo Spirito Santo fa qualcosa di diverso, non un trucco estetico, non un blocco dell’invecchiamento: la rinnova. Quel ringiovanimento non è dovuto ad un semplice trucco estetico. La riforma liturgica non ha banalmente cambiato il numero degli altari su cui celebrare. La Chiesa ha rinnovato, fin dal profondo, con l’opera dello Spirito Santo, il modo di celebrare Dio. Ricordiamoci sempre che la messa non è un fatto privato del sacerdote che la celebra, o un affare che ci sistemiamo tra un po’ di presone nostalgiche di questo o di quel rito, o il radunarsi di un gruppo che si rallegra con la chitarra, ma è la lode della Chiesa che sale a Dio, il ringraziamento per mezzo di Gesù Cristo, l’offerta del sacrificio della Croce. Per rinnovare tutto questo, rinnovare la lode di Dio, lo Spirito Santo ha dato alla Chiesa energie nuove; infatti non avrebbe mai consentito che la Chiesa, invecchiando, non avesse più la forza di rinnovarsi, ma si perdesse dietro a riti e gesti ripetitivi solo per consuetudine: duemila anni sulle spalle non sono pochi, per nessuno, nemmeno per la Chiesa.
Tanti anni, tanta storia, tanto passato, sono belli, importanti, ma non possono diventare zavorra, soprattutto nella lode verso Dio.
E lo Spirito, perciò, spinge questa Chiesa a ringiovanire con il rinnovamento preparandosi all’unione con il suo Sposo. Vorrei sottolineare il fatto che chiunque di noi si trovasse davanti ad una donna (o a un uomo) vecchia, appesantita, magari pure un po’ bisbetica e poco incline a rinnovarsi… non sarebbe l’incontro ideale per una prospettiva matrimoniale! Gesù desidera una Chiesa giovane, una Chiesa rinnovata, una Chiesa pronta ad essere sempre sua testimone autentica, lui che è pieno di fascino e di vitalità. Una Sposa degna del suo Sposo. Se ci costa un po’ di sacrificio perdere qualcosa delle nostre tradizioni, delle nostre consuetudini, delle nostre abitudini, dovremmo anche chiederci cosa piace allo Sposo, come lo Sposo vuole la sua Chiesa. A questa richiesta esistono varie risposte, ma due le troviamo espresse nel testo come risonanza della citazione dei padri della Chiesa.
Intanto rivolgiamo la nostra preghiera allo Spirito Santo perché aiuti la sua Chiesa ad essere sempre giovane, sempre desiderosa di rinnovamento, sempre pronta all’incontro con lo Sposo. Mai stanca, mai affaticata dietro cose ripetitive e fatte per tradizione.
Vieni Santo Spirito.
Ora ci soffermiamo sulla citazione 4 del paragrafo 4, il quale si conclude con queste parole:
Così la Chiesa universale si presenta come «un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Sembra che i padri conciliari vogliano dire che la Chiesa si caratterizza per l’unità. Noi lo ripetiamo nel simbolo di fede: Credo la Chiesa, Una, Santa, Cattolica, Apostolica. Tale unità viene presa in prestito, a modello, come dono, dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Nella citazione 4 i padri conciliari indicano tre padri della Chiesa: San Cipriano di Cartagine, Sant’Agostino di Ippona e San Giovanni Damasceno (testo delle citazioni).
Quanto è importante tornare alle radici! Noi di solito ci soffermiamo sui frutti di una pianta, li gustiamo, ma non ci curiamo delle radici, che silenziose e nascoste sotto il terreno alimentano l’intera pianta. Senza radici, però, si resta senza frutti. Cipriano era di Cartagine, città dell’odierna Tunisia. Agostino era vescovo di Ippona, ma era nato a Tagaste, città dell’attuale Algeria. Giovanni Damasceno, come dice il nome, è originario di Damasco, in Siria: essendo arabo ha un nome che noi abbiamo difficoltà a pronunciare, Yuḥannā ibn Sarjūn. Tre personaggi che se oggi fossero qui in Italia sarebbero avviati come immigrati extracomunitari ad un Centro per richiedenti asilo, o forse non sarebbero mai arrivati in Italia per l’affondamento del loro barcone. Attenzione, perché i nostri padri nella fede vengono tutti da lì: Medio Oriente, Asia, Nord Africa sono la culla del cristianesimo e vedere oggi che spesso gli italiani rifiutano l’accoglienza fa nascere tante perplessità.
Cipriano vive intorno al 250, durante la terribile persecuzione di Decio, una delle peggiori dell’antichità. Cipriano cercherà di fuggire alla persecuzione, non si consegnerà, resterà nascosto e questo gli verrà rimproverato per anni dagli avversari. Ma era un vescovo, la comunità probabilmente avrebbe sofferto molto di più con la mancanza del vescovo; la sua valutazione fu quindi che fosse meglio nascondersi e continuare a guidare la Chiesa piuttosto che essere ucciso e metterla in pericolo. Cipriano scrive De oratione dominica, cioè scrive sulla preghiera del Padre Nostro. Scrive in tempo di persecuzioni, la sua Chiesa e lui stesso sono perseguitati, molti suoi fedeli vengono torturati e uccisi. Ma sceglie di commentare il Padre Nostro e di ricordare che
Nei suoi precetti, il Cristo inculca questa verità con vigore severo. Quando siete in piedi per pregare, perdonate se avete qualcosa contro qualcuno… Se non perdonate, il Padre vostro che è in cielo, non vi perdonerà… La più bella oblazione per Dio è la nostra pace, la nostra concordia, l’unità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, di tutto il popolo fedele.
Scrivendo queste parole invita tutti i fedeli a cercare la pace e la concordia in un periodo di persecuzioni.
Agostino, che vive circa un secolo più tardi, è un tipo tutto speciale per tanti aspetti. Ha avuto anche un figlio fuori dal matrimonio, con grande dolore della madre Monica, che andava a piangere da Ambrogio, vescovo di Milano, il quale le dice che un figlio di tante lacrime non poteva non diventare santo. E sono diventati santi in tre: Ambrogio, Monica e Agostino. Nel Discorso 71 citato dai padri conciliari, Agostino fa un complesso discorso sulle diverse azioni del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e in particolare rileva questo:
Il perdono dei peccati, con cui viene abbattuto e tolto di mezzo il regno dello spirito diviso in se stesso, e la comunione dell’unità della Chiesa di Dio, fuori della quale non si dà lo stesso perdono dei peccati, sono, per così dire, opere proprie dello Spirito Santo con il quale operano insieme il Padre e il Figlio, poiché in certo qual modo lo stesso Spirito Santo è il legame che unisce il Padre e il Figlio.
Se vogliamo riconoscere l’opera del Padre, è la creazione (insieme al Figlio e allo Spirito Santo). Se vogliamo riconoscere l’opera del Figlio, è la redenzione (insieme al Padre e allo Spirito Santo). L’opera propria dello Spirito Santo sono il perdono dei peccati e l’unità della Chiesa.
In che modo ringiovanisce la Chiesa di Dio? Ce lo stanno dicendo Cipriano e Agostino: con il perdono dei peccati e con l’unità. E Giovanni Damasceno, attivo tra il settimo e l’ottavo secolo, ci confermerà che l’unità è la caratteristica propria di una Chiesa sempre giovane. Interessante la storia di Giovanni Damasceno, che vivendo a Damasco nel periodo del Califfo musulmano riesce però a creare un’intesa così forte che, lui cristiano, ne diviene l’amministratore, il Ciambellano. Ma l’imperatore Leone Isaurico, cristiano, ha un contrasto dottrinale con Giovanni Damasceno sul culto delle immagini e per questo motivo mette all’orecchio del Califfo una calunnia di tradimento. Il Califfo fa perciò tagliare la mano destra del Damasceno e lo destituisce. Giovanni pregò davanti a un’immagine della Madonna perché la sua innocenza venisse alla luce chiedendo che gli fosse restituita la mano. Così avvenne, Giovanni fu riabilitato dal Califfo, ma per il voto fatto alla Madonna abbandonò il mondo e si ritirò in monastero dove scrisse per difendere la fede. In ricordo del miracolo, volle che all’icona si aggiungesse una terza mano: e così si è avuta la Vergine Tricherusa.
Giovanni Damasceno, al di là del miracolo, avrà a cuore l’unità della Chiesa, avendo sperimentato sulla propria pelle il frutto della divisione e della discordia. Perciò scrive:
Noi crediamo nella Chiesa di Dio, Una, Santa, Cattolica e Apostolica, nella quale ci è data la dottrina. Conosciamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e comunichiamo al salvifico corpo e al sangue del Figlio di Dio.
Ecco la Chiesa, unita, tutta in quel noi della fede e dei sacramenti! Giovanni aggiunge una cosa molto bella a proposito della Parola di Dio:
Insegniamo… a riconoscere con certezza come ispirate divinamente le Scritture del Vecchio e del Nuovo Testamento, grazie alle quali cresce sempre di più nella fede e nella buona coscienza, se ne è degno, chi si dedica a loro con zelo per l’utilità propria e altrui.
Tutti e tre i padri citati da Lumen Gentium colgono nel perdono dei peccati e nell’unità della Chiesa la forza che tiene sempre giovane la Chiesa. Possiamo dire che ogni qualvolta si comporta in tal modo, cioè perdona i peccati e si stringe nell’unità della fede e dei sacramenti, la Chiesa si rinnova e ringiovanisce. La mail con la quale Gesù ha risposto alla nostra richiesta di salvezza è stata inviata: è lo Spirito Santo che garantisce che la Chiesa Sposa si troverà pronta all’incontro con il Cristo Sposo.
- Il fatto di pronunciare le parole della consacrazione con le spalle rivolte al popolo, reclinati sull’altare, a bassa voce, in una lingua arcaica – il latino – che nel tempo la maggioranza del popolo comprendeva sempre di meno è stato all’origine di equivoci che se non fossero tragici sarebbero buffi e comici. In Italia siamo abituati fin da bambini a riconosce nella parola abracadabra il termine che si ritiene abbia poteri magici. Le popolazioni del nord Europa usano l’espressione hocus pocus, che non a torto viene ritenuta una storpiatura delle parole della consacrazione, quando la voce, aumentando o diminuendo di volume, batteva sulla sillaba e risuonava nella chiesa dove si “assisteva” alla messa in riverente silenzio.