12 mar 19 – La rivelazione storica di Dio e l’alleanza con l’uomo: il Popolo di Dio
Testo: Lumen Gentium 9
(scarica pdf)
Entriamo con questo numero 9 nel secondo capitolo della Lumen Gentium, che fa proprio il tema del popolo di Dio. Potrei aggiungere di non sottovalutare la seguente osservazione: se comprendiamo fino in fondo il capitolo secondo della Lumen Gentium possediamo davvero la chiave per aprire lo scrigno dell’intera Costituzione Dogmatica. Infatti, tutta la costituzione Lumen Gentium gravita attorno a questo capitolo secondo.
Nell’ultimo incontro si diceva che l’immagine del Corpo Mistico di Cristo che il Concilio, tra le varie immagini di chiesa, sposa ovviamente perché non può fare altro, è però un’immagine non più sufficiente a spiegare in maniera completa il mistero della Chiesa stessa.
Per questa ragione il Concilio introduce, o meglio approfondisce, amplifica, il concetto di Popolo di Dio. Se lo comprendiamo, abbiamo compreso lo spirito del Concilio. È su questo concetto infatti che si gioca la comprensione della natura e della missione della Chiesa. Per cui io credo che a Dio piacendo leggeremo il secondo capitolo per intero, sempre con lo stesso metodo di letture graduali, un pezzetto alla volta, ma insomma lo leggeremo e lo commenteremo tutto.
Anzitutto, seguendo la logica seguita dai padri conciliari, terremo presente che a Dio è piaciuto rivelare negli ultimi tempi che qualsiasi persona a qualsiasi popolo appartenga è amata da lui; se compie il bene è bene accetta a lui, che non si fa una questione se qualcuno invece di essere cristiano è buddista. Cioè, questa persona è buddista, compie il bene ma niente, siccome è buddista non vale…
Il Concilio ribadisce una verità di fede nota fin dal tempo apostolico: qualsiasi persona che compie il bene a qualsiasi popolo appartenga è bene accetta a Dio (cfr At 10,34-36). È stato il momento in cui Pietro, entrando a casa di Cornelio, si rese conto effettivamente che Dio supera addirittura i confini visibili della Chiesa. Non ne fa a meno, ma li supera.
I padri conciliari intendono con ciò invitare a riflettere come nel corso della storia – perché di storia essi parlano – Dio abbia accompagnato con gradualità la consapevolezza degli uomini a una comprensione sempre più profonda della sua volontà. Quindi riflettiamo sullo sviluppo del rapporto tra Dio e uomo come lo conosciamo dalla Scrittura.
Torniamo con la mente al primo uomo che abbraccia la fede in un unico Dio, ad Abramo, nostro padre nella fede. Dio si contenta – se vogliamo dire così – del rapporto tutto speciale con una sola persona. E forse un po’ anche con la sua famiglia. Ma intanto parte da una sola persona. Solo dopo Dio si presenterà come il Dio di Abramo, di Isacco, poi anche di Giacobbe. È un Dio che coltiva un rapporto speciale con una persona particolare. Il momento critico di questo rapporto con Abramo è il sacrificio di Isacco. Quel momento critico sarà uno spartiacque della fede di Abramo verso Dio, perché a quel punto Abramo comprende che la fede nei confronti di Dio non è uno scambio commerciale (“Tu mi hai dato un figlio perciò io credo in te“), c’è qualcosa che va oltre, spinge a guardare il futuro, un popolo che si sta formando; la promessa contenuta nell’alleanza con Abramo si confronta con il numero delle stelle, la sua discendenza sarà un popolo ancora più numeroso.
Attraverso i secoli, da un rapporto personale a tu per tu si passa gradualmente al rapporto con un popolo, il popolo di Israele. In realtà noi sappiamo che il popolo di Israele non si forma dal nulla. Si forma a partire dalla famiglia di Abramo. È un clan, anzi sono più famiglie che andranno a costituire lo stesso popolo.
Il momento critico di questo insieme di clan che da non popolo diventa popolo è l’esodo. Con l’esodo il popolo di Israele assume la sua identità di popolo. Si ripresenta il concetto di questa breve lettura del capitolo 9, anche lì un’altra alleanza, dall’alleanza abramitica all’alleanza mosaica. Con una crisi, la crisi che il popolo di Israele deve affrontare nel deserto nel momento in cui comprende che per essere popolo di Dio deve purificare in profondità le sue intenzioni. Infatti la legge di Dio che gli viene donata non è semplicemente una serie di norme da rispettare, è proprio l’identità stessa dell’appartenenza a Dio.
La Bibbia presenta un altro popolo, il nuovo popolo nato dall’alleanza con Cristo. Anche questo popolo conosce una crisi, è la crisi della Croce, è la crisi della domanda terribile, angosciosa: davvero costui è il Figlio di Dio? Uno che si lascia ferire, crocifiggere e che può morire? Da questa Croce e dalla Risurrezione, mistero pasquale di Cristo, nasce il nuovo popolo.
Ora, noi conosciamo bene fin dal catechismo tutta questa vicenda, che ci mostra la progressiva illuminazione degli uomini da parte di Dio rispetto al suo desiderio: che cioè il suo popolo non fosse formato da una persona sola, dalla sua famiglia, non sia un clan, non sia nemmeno un popolo derivato per ragioni familiari, un’etnia, il popolo della carne, ma che sia un popolo nato dall’alleanza con Cristo, popolo della fede, popolo della nuova alleanza. Basta ancora questo?
Con la lettura e il commento dei numeri dal 13 al 16 della Lumen Gentium ci renderemo conto che la consapevolezza maturata dalla Chiesa in tutto questo tempo ci porta a rispondere che no, non ci fermiamo qui, questo non basta. Il popolo di Dio non si restringe ai confini visibili della chiesa, perché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati. Perciò nel capitolo sul Popolo di Dio si afferma che a questo popolo alcuni appartengono, altri gli sono ordinati, si tratta di un popolo variegato.
Perché l’immagine del Corpo Mistico di Cristo andava un po’ stretta al modello di Chiesa che si voleva rappresentare nel Concilio Vaticano II? Perché l’immagine del corpo mistico, fondamentalmente corretta e anche lei di derivazione scritturistica quindi ineccepibile, mette in rilievo soprattutto l’aspetto funzionale della Chiesa. La Chiesa cioè viene rappresentata come un corpo, nel quale Cristo fa il capo e noi siamo le membra e al tempo stesso stabilisce un dentro e un fuori, un corpo e un non corpo. L’immagine mette più in luce l’esclusione che l’inclusione, mette più in luce l’uguaglianza che la diversità. Il popolo, invece, come modello, come rappresentazione, come simbolo, è più inclusivo. Il popolo è costituito da persone diverse, per età, mentalità, cultura, collocazione geografica; anche se in un popolo apparisse maggioritaria una etnia particolare, appartenere al popolo non si esaurirebbe all’appartenenza etnica. Pensiamo, per esempio, alle nostre società occidentali che si definiscono multietniche. Ma quando nascono forme di rifiuto basate su nazionalismo, avversione contro gli immigrati o contro le persone di colore, questo atteggiamento non può rientrare nella sensibilità cristiana: l’idea di popolo di Dio sostiene che l’appartenenza al Popolo di Dio non ha basi etniche o nazionali e nessuno può esserne escluso per tali ragioni.
Talmente importante questo concetto di Popolo di Dio che Papa Francesco, eletto da pochi mesi (sei anni fa domani), nell’udienza generale del 12 giugno 2013 dedica la catechesi del mercoledì al popolo di Dio. Tra le caratteristiche che enuncia, e che abbiamo ascoltato oggi, la prima è: Dio non appartiene a nessun popolo (fonte). Gli italiani non possono dire: Dio appartiene a noi. Gli ebrei non possono dire: Dio appartiene a noi. È invece Dio a crearsi un popolo per sé. Avremo modo ovviamente di tornare su questi argomenti nello specifico. Penso e ripeto che comprendere il secondo capitolo della Lumen Gentium apre davvero alla comprensione dell’intera Lumen Gentium; se non si comprendono alcuni punti basilari, come quello del Popolo di Dio, alcune cose diventano incomprensibili, persino altri testi del Concilio diventano incomprensibili.
Della prima parte del numero 9 voglio sottolineare altre due cose, in aggiunta alla questione storica di Dio che ha voluto rivelare l’identità del suo popolo passando da un rapporto personale con alcuni soggetti al rapporto familiare tipico del clan, al rapporto “etnico” per arrivare al popolo-chiesa-di-dio che supera distinzioni etniche, nazionali, sociali, politiche. E, almeno in un certo senso, religiose, come vedremo.
La prima. Dicono i padri conciliari che Dio scelse un popolo per sé, il popolo israelita manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni. La rivelazione di Dio è quindi rivelazione storica. Cioè avviene nella storia di un popolo, in questo caso del popolo di Israele. Cosa significa? Ogni affermazione ha implicazioni e conseguenze. Dicendo che si tratta di una rivelazione storica i padri ci aiutano a comprendere che Dio cammina con i passi dell’uomo; non è possibile, per esempio, parlare di fecondazione assistita agli ebrei del secondo millennio avanti Cristo, non ne comprenderebbero assolutamente nulla. Se Dio cammina con i passi dell’uomo – a volte piccoli – allora significa che la rivelazione storica di Dio si compie, pazientemente, all’interno di una storia ben precisa, con i suoi limiti temporali, culturali, geografici, spaziali. Ciò che noi cristiani del duemila con un Concilio Vaticano II alle spalle, con una riflessione teologica importante ormai bimillenaria, sappiamo della rivelazione resterà sempre soggetto ai nostri limiti, perciò limitato. Da questo dobbiamo imparare una grande lezione di umiltà: dobbiamo evitare di rendere assoluto non tanto la fede (sì, lei sì) quanto ciò che noi comprendiamo della fede. Ciò che noi comprendiamo della fede sarà sempre parziale, rispecchierà ciò che noi comprendiamo della fede, quello che noi siamo in grado di comprendere ed abbracciare.
La seconda. Il concetto di alleanza attraversa tutta la Scrittura ed è stato ampiamente recuperato dalla teologia del secolo scorso che ha cercato di approfondire l’ebraica berith, cioè l’alleanza che Dio fa con l’uomo, con tutti i significati che possiede questo concetto. Poiché appare quantomeno curioso che Dio ricerchi un’alleanza con l’uomo. Che senso ha? Di solito le alleanze si fanno tra eserciti, e di solito è l’esercito meno potente a ricercare un alleato più potente, non il contrario; le alleanze si fanno tra nazioni, anche di eguale peso politico ed economico… l’importante è che ci sia un interesse. Ma che interesse può avere Dio a fare alleanza con l’uomo? A partire da secolo scorso la riflessione teologica permette di comprendere due aspetti dell’alleanza. Il primo è che il concetto di alleanza spiega anche Cristo. Noi oggi possiamo comprendere chi è Gesù alla luce del concetto di alleanza. Non è difficile comprendere all’interno di questo concetto in che modo natura umana e natura divina in Gesù siano alleate. In che modo volontà umana e volontà divina in Gesù siano alleate. C’è una sostanziale forma di unità, concetto fondamentale per il Concilio, dovuta all’alleanza tra Dio e uomo manifestata da Gesù. L’unità mosra che non si tratta di alleanza fine a se stessa ma si tratta di alleanza finalizzata. L’alleanza rivelata da Gesù è finalizzata alla salvezza dell’uomo, e più ancora addirittura alla sua divinizzazione. Il fine che Gesù si propone è esattamente questo: come lui attraverso l’uomo si fa uomo, così l’uomo attraverso di lui di fa Dio. Il secondo punto decisivo per il concetto di alleanza è la visione antropologica retrostante. Argomento tutt’altro che secondario. La visione antropologica, cioè chi è l’uomo, non in astratto, ma chi è l’uomo per Dio. E l’uomo per Dio è un partner. Non si tratta di un essere insignificante, oppure in qualche modo senza valore, o che sia da mortificare. È partner, cioè ha un valore tale da poter entrare con lui in dialogo, in alleanza. Dunque, nemmeno per Dio si tratta di un aspetto secondario. Questo concetto di alleanza ci aiuta a capire anche perché il Popolo di Dio non è costituito da tante singole entità ma è un’unica grande entità. Non ci salviamo da soli. La verità fondamentale contenuta nel modello di Chiesa come Popolo di Dio è che nessuno di noi si salva da solo. Quando ci presenteremo davanti a S. Pietro, bussando alla porta del paradiso, dovremo essere presentati da qualcuno. E a nostra volta dovremo presentare qualcuno. Altrimenti non si entra.
Avremo ancora necessità di approfondire diversi argomenti sul Popolo di Dio, però teniamo fermo questo: il capitolo secondo della Lumen Gentium è la chiave che apre lo scrigno forse dell’intero Concilio, sicuramente della Lumen Gentium. Il Popolo di Dio. E apre questo scrigno a partire da queste due grandi verità: che Dio si rivela nella storia, e quindi che ciascuno di noi può comprendere solo una parte di quello che un giorno sarà chiaro a tutti; e che l’alleanza con la quale il Signore ha voluto stabilire un rapporto con il popolo eletto prima e con il popolo che è la Chiesa di Dio oggi, questa alleanza ci dà anche la misura del nostro valore umano di fronte a lui. Ringraziamo il Signore per questo.