19 feb 19 – Nelle nostre mani, il Corpo di Gesù

Testo: Lumen Gentium 8

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Con il paragrafo 8 si conclude il primo capitolo della Lumen Gentium, quello che dai padri conciliari è stato intitolato Il Mistero della Chiesa. Già con il paragrafo 9 entreremo nel capitolo secondo, Il Popolo di Dio e affronteremo in modo più diretto l’idea conciliare che rappresenta la Chiesa come popolo.

Il Buon Pastore, Mosaico del Mausoleo di Galla Placidia (sec. V), Ravenna

Avrete notato che è stata letta solo una parte del paragrafo in quanto, trattandosi di un paragrafo abbastanza lungo e complesso, avremo modo di riflettervi sopra in due occasioni, la presente e la prossima. Avrete pure notato che dal paragrafo 5 siamo direttamente giunti all’8, saltando i paragrafi 6 e 7, che affido alla vostra lettura personale.

I due paragrafi sono una sintesi offerta dai padri conciliari relativa alle figure utilizzate nell’Antico e nel Nuovo Testamento per identificare la Chiesa. Il paragrafo 6 le elenca praticamente tutte. La Chiesa viene paragonata, ad un ovile, ad una vigna, ad un gregge, ad un edificio alla cui costruzione partecipano i credenti come pietre vive. Viene infine paragonata ad una città, la Gerusalemme terrestre e la Gerusalemme che scende dal cielo. Mi limito qui ad una semplice osservazione. Nel corso del tempo tutta la Scrittura ha sempre parlato della Chiesa (ne ho fatto cenno in una precedente catechesi), Chiesa che si è rivelata in modo completo in un momento storico preciso. Il Signore ha utilizzato tutte le immagini, le figure, nel senso di metafore e di allegorie, secondo le possibilità di comprensione delle persone nel corso del tempo a seconda delle loro capacità umane, storiche, culturali.

Gerusalemme celeste, Mosaico dell’arco trionfale della Basilica di Santa Prassede (sec. IX), Roma

Mentre ad un popolo di pastori, come l’Israele antico, era possibile far comprendere la Chiesa attraverso le immagini dell’ovile, del pastore, del gregge, i cittadini di oggi avrebbero difficoltà persino ad immaginare la gestione di una sola pecora, che forse non hanno mai visto dal vivo. Quando il popolo eletto termina il nomadismo pastorale e inizia la stanzialità agricola è più opportuno spiegare la Chiesa attraverso l’immagine, per esempio, di una vigna. L’agricoltore sa cosa vuol dire coltivare: dalla lavorazione del suolo alla raccolta dei frutti, forse con anni di pazienza prima di ottenere il risultato atteso. Le ultime immagini in ordine di tempo proposte dalla Scrittura per presentare la Chiesa sono quelle legate all’edilizia (edificio) e all’architettura (città). Sembra che ormai l’uomo sia diventato un “cittadino”, l’abitante di un luogo progettato e costruito da lui stesso, artefice del suo destino e non più in balia dei capricci della natura. L’uomo che mette in gioco le sue capacità umane di ideazione, progettazione e realizzazione per vivere insieme agli altri uomini non è un dettaglio nell’economia della storia della salvezza. Significa che Dio ha seguito i passi dell’uomo, per accompagnarlo fino al suo più pieno sviluppo, che ancora non è terminato. Terminerà solo quando in quella città troverà posto anche Dio, anzi la città di Dio troverà posto tra gli uomini. La Chiesa, quindi, anche la Chiesa, segue i passi dell’uomo e in qualche modo anticipa la convivenza dell’uomo con Dio. Di questo concetto torneremo a parlare quando affronteremo il capitolo sul Popolo di Dio.

Il paragrafo 7 tratta del Corpo Mistico di Cristo, immagine per eccellenza della Chiesa, proposta con magistero solenne dall’enciclica Mystici Corporis di Pio XII e relativa ad una dottrina presente fin dagli inizi del cristianesimo ma che si è andata consolidando nella teologia tra il 1920 e il 1930. La Chiesa, secondo questa dottrina, è un corpo, ma non un corpo qualsiasi. L’apologo del corpo è ben conosciuto dall’antichità come immagine della realtà sociale: dietro alla metafora si scorge la vitalità di un organismo, non si è in presenza di una “cosa” completamente manipolabile dall’uomo, anzi il corpo è portatore di una dignità, di una sacralità che meritano rispetto. La teologia e la tradizione ecclesiale, fatte proprie dal Concilio, non si fermano però al significato più intuitivo del “corpo sociale”, ma si spingono fino ad identificarlo con Cristo. Nel corpo della Chiesa si diffonde la vita stessa di Cristo. Lascio anche il paragrafo 7 alla vostra lettura personale.

Il paragrafo 8 si sofferma sulla distinzione tra la Chiesa quale realtà visibile e la Chiesa quale realtà spirituale. La distinzione incuriosisce. Esistono forse due chiese, una spirituale e l’altra visibile? Che valore attribuire alla Chiesa gerarchizzata, istituzionalizzata, con quelle dinamiche umane che si trovano al suo interno? Infatti la Chiesa che si presenta come realtà di governo, di potere non è immune dalle miserie umane di chi ritiene di coltivarvi al meglio le proprie ambizioni, i conflitti, l’arrivismo. Ma è davvero questa la Chiesa Corpo di Cristo? O non sarà invece quella realtà spirituale composta da autentici testimoni di fede, speranza, carità che manifestano in modo completo l’appartenenza al Corpo Mistico di Cristo?

Agostino disputa con i donatisti, Charles-André van Loo (1753), Coro della chiesa di Notre Dame des Victoires, Parigi

Ancora una volta dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. I padri conciliari fin dal paragrafo 1 avevano chiaro che si ponevano in continuità con l’insegnamento dei precedenti Concili. Nell’esperienza bimillenaria della Chiesa alcuni temi risultano già affrontati. Ai tempi di Sant’Agostino, per esempio, la Chiesa attraversa un periodo piuttosto travagliato della sua storia. A seguito delle persecuzioni, alcuni cristiani per debolezza cedono. Gli imperatori avevano stabilito che fosse necessario sacrificare agli idoli e offrire incenso alla propria persona per poter aver salva la vita. Ed alcuni, spaventati dalle torture e dalle minacce, effettivamente cedettero. Inoltre sarebbe stato necessario consegnare i libri liturgici e i libri sacri dei cristiani, un gesto di assoluta gravità in quanto esponeva vescovi e preti al tradimento (in latino consegnare si dice tradere e quindi coloro che consegnano si chiamano traditores). Dunque alcuni vescovi e alcuni preti per debolezza divennero traditori. Furono tutti scomunicati.

Ma, terminate le persecuzioni, i cristiani sopravvissuti essendo caduti (in latino lapsi) chiedono di essere riammessi nella Chiesa. Come comportarsi con loro? Non è domanda da poco. Si era arrivati alla resa dei conti: tu sei colui che fino a ieri eri mio fratello, poi mi hai tradito. Soprattutto hai tradito Cristo e la Chiesa. Un certo Donato delle Case Nere si oppone decisamente alla riammissione dei cristiani traditori. Anzi, si spinge oltre; Donato sostiene che i sacramenti celebrati da un sacerdote in peccato mortale, come l’apostasia, non si possono considerare validi.

Negazione di san Pietro, Caravaggio (1609-1610), Metropolitan Museum of Art, New York

La Chiesa, nella visione di Donato, è composta da persone spirituali, integerrime. La sua preoccupazione è quella di preservare la santità della Chiesa. Si tratta di una delle quattro note caratteristiche della Chiesa, Una Santa Cattolica e Apostolica. Nota tanto importante che un intero capitolo della Lumen Gentium viene dedicato al tem della santità. Non pareva perciò una cattiva idea, quella di Donato. Ma l’errore di Donato era la sua idea di Chiesa, contestata con forza da Sant’Agostino, idea certamente non proveniente da Gesù. Gesù fonda una Chiesa nella quale non chiama i perfetti. Se si osserva il nucleo centrale, quello apostolico, sappiamo che Gesù sceglie personalmente i Dodici, e tra questi sceglie Giuda, il traditore per antonomasia. Ma sceglie pure Pietro, brava persona, buono, semplice e generoso, al tempo stesso traditore; i vangeli, scritti con Pietro ancora vivente, parlano di rinnegamento, noi a distanza di qualche secolo possiamo chiamare le cose con il loro nome: Pietro tradisce Gesù, come Giuda se ne pente amaramente, a differenza di Giuda crede nel perdono del Signore.

Gesù non ha davanti agli occhi una Chiesa composta da persone eccellenti, anche se oggi siamo abituati a chiamare i successori degli Apostoli, i Vescovi, con il titolo di Eccellenza. Gesù non ha pensato di scegliere il meglio dell’umanità per costituirlo come comunità di privilegiati, comunità che dal punto di vista spirituale viaggiasse come un treno, andasse avanti nella storia e spazzasse via tutto. Non è stata questa l’idea di Chiesa mostrata da Gesù nella sua fondazione.

È importante avere davanti al nostro sguardo questa premessa storica. Quello di Donato e dei suoi seguaci, i donatisti, non sarà l’unico caso in cui si invocherà l’immagine di una chiesa spirituale di perfetti. In particolare, in questo luogo dove respiriamo un’atmosfera di ecumenismo, dobbiamo ricordare che Lutero, di fronte agli scandali della Chiesa a lui contemporanea, ragionerà sulla realtà invisibile e spirituale della Chiesa in modo non molto distante da quello dei donatisti. Secondo i riformatori, la Chiesa spirituale è conosciuta esclusivamente da Dio. Mentre noi possiamo vedere solo la Chiesa di persone che non splendono sempre per santità, per moralità, per capacità, la Chiesa di persone sante e che – al di là persino dei sacramenti – hanno raggiunto elevati gradi di purezza morale e spirituale è visibile solo a Dio.

Le obiezioni di Donato, le posizioni di Lutero e dei riformatori, non sono questioni piccole. In fondo solleticano nell’animo di tutti quella che io chiamerei vanità spirituale, l’autocontemplazione della perfezione. A chi non piacerebbe una Chiesa di perfetti? Comunità dove non si litiga, dove tutti sorridono qualsiasi cosa accada, dove anche se vi sono idee diverse nessuna di esse divide. Questo modello di Chiesa suona falso perché non rispecchia la nostra umanità, fatta anche di contraddizioni, fatta anche di purificazione continua, come sentiremo nella seconda parte del paragrafo 8.

Perciò i padri conciliari sviluppano il concetto della sostanziale unità e uguaglianza tra la Chiesa visibile e la Chiesa spirituale. Dopo aver offerto al paragrafo 5 la prima fotografia della Chiesa (chiamata ad imitare il suo Signore, a proseguirne l’opera di salvezza, perciò a servire e a mettere in atto i suoi precetti di amore, umiltà, abnegazione), ora i padri scattano una seconda fotografia, nella quale distinguiamo due fotogrammi. Nel fotogramma odierno incontriamo una Chiesa con due prospettive.

Santa Sofia, con le figlie Elpis, Pistis e Agape

Prima prospettiva. In questa Chiesa l’unico mediatore è Cristo; premessa importante: non sono i preti, non le suore, nemmeno la Chiesa nella sua totalità a mediare tra Dio e gli uomini, ma è esclusivamente l’uomo-Dio, Gesù Cristo. Questa Chiesa invece si riconosce come comunità di fede, di speranza e di carità. C’è una consapevolezza nei padri conciliari, che anche la Chiesa degli ultimi decenni pare aver maturato: nella comunità cristiana non ci si sta perché ci si è scelti tra di noi, perché si è simpatici gli uni agli altri, perché si vuol formare un gruppetto di amici che stanno bene insieme, perché la si pensa tutti allo stesso modo. La comunità cristiana si ritrova intorno alle virtù teologali, che non eliminano la componente umana, ma misurano la realtà della Chiesa; infatti la Chiesa non è né quello che fa – per quanto le opere liturgiche, le opere sociali, le opere caritative siano indispensabili per testimoniare la fede – né quello che sente – “mi sento bene… ho risolto i miei problemi… ho appagato le mie ansie di fronte alla trascendenza” –, ma è comunità di fede, speranza e carità.

I padri conciliari si appoggiano sul concetto di comunità per mettere in luce l’umanità della Chiesa. Essi sostengono che proprio perché la Chiesa è comunità umana, non può prescindere dall’essere visibile. Ed in quanto visibile presenta anche una realtà gerarchica. Affronteremo meglio la natura gerarchica della Chiesa nel capitolo 4, intanto mi preme fare una considerazione. Parlando di gerarchia all’interno della Chiesa i padri non intendono semplicemente sostenere che esiste qualcuno più in alto mentre altri sono più in basso, in un sistema asimmetrico di supremazia e di subordinazione piramidale. In realtà richiamando il concetto di gerarchia i padri conciliari intendono esprimere la certezza che nella Chiesa le cose non avvengono a caso, in modo anarchico, ma avvengono perché, essendo un organismo, al suo interno i processi si muovono ordinatamente, consequenzialmente, nel rispetto di precise priorità stabilite dalla differenziazione degli organi.

Nella visione dei padri conciliari, l’organicità della Chiesa gerarchica è il supporto della realtà spirituale. Ecco la seconda prospettiva di questo primo fotogramma. I padri stavolta prendono in prestito l’analogia da Cristo stesso. Cristo ha usato la sua umanità come uno strumento per la salvezza dell’uomo, per la nostra salvezza. Allo stesso modo lo Spirito Santo usa l’umanità della Chiesa – la sua visibilità, quella comunità di fede, speranza, carità tenuta insieme in modo ordinato – come strumento per la crescita dell’umanità. Da una parte la comunità organica di persone che non si sono scelte, non sempre vanno d’accordo, non sono tutte simpatiche, ma camminano nella fede, nella speranza e nella carità; dall’altra lo Spirito Santo che permea la Chiesa e la usa come mezzo perché l’intera umanità cresca e sia salvata.

Pietà vaticana, Michelangelo Buonarroti (1497-1499), Basilica di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano

Le due prospettive ci offrono quindi il fotogramma di una Chiesa vista contemporaneamente nel suo interno – comunità di fede, speranza e carità – e nel suo agire verso l’esterno – strumento dello Spirito Santo per la crescita dell’intera umanità –. La prima parte del paragrafo 8 si conclude con un pensiero forte: Gesù ha affidato la diffusione e la guida di questa Chiesa – realtà visibile e realtà spirituale – a Pietro e agli altri apostoli costituendola per sempre colonna e sostegno della verità. La Chiesa risulta così ormai definitivamente messa nelle mani degli uomini. Gesù ha preso la cosa più preziosa che aveva, la Chiesa nascente, e l’ha affidata a coloro che ha scelto, pur sapendo che non erano i migliori. In altri termini è come se Gesù avesse ritenuti gli uomini degni della sua fiducia nella prosecuzione della sua opera, al punto da fare un passo indietro e lasciare che fossero gli uomini non solo a decidere di lui il giorno della sua passione ma anche a continuare a decidere del suo Corpo nel corso della storia. La guida della Chiesa, la crescita della Chiesa, la diffusione della verità, sono ormai nelle mani dei credenti in Cristo.

Questo pensiero forte fa nascere in noi un senso di fierezza, unito ad un senso di gratitudine e di lode rivolte a Dio. Egli non ha considerato la nostra fragilità e la nostra piccolezza, a volte anche le nostre miserie, come ostacoli alla realizzazione del suo disegno di amore, non si è fermato davanti ad esse, ha guardato oltre, ha guardato al bene che possiamo fare, tutti indistintamente, anche poco. E quel bene è stato per lui prezioso a sufficienza per convincerlo a chiamarci a far parte del suo Corpo, con in mano la responsabilità del suo Corpo, della Chiesa.