22 feb 19 – Un faticoso cammino di comprensione
Testo: Lumen Gentium 8
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Credo che l’intero paragrafo 8 della LG sia la dimostrazione di come la Chiesa nel corso del tempo abbia dovuto affrontare una realtà che noi, oggi, ben possiamo comprendere. Infatti fin dal momento in cui il Signore ha fondato la Chiesa e l’ha messa nelle mani degli uomini e delle donne che la costituiscono, non è avvenuto che istantaneamente i membri della Chiesa ne abbiano compreso in modo completo natura e missione. Anzi nel corso di questi 2000 anni di storia sono stati fatti tanti sforzi da parte dei cristiani per capire un po’ più raffinatamente il mistero della Chiesa. E non può dirsi un processo già completato; il Concilio Vaticano II rappresenta una pietra miliare nella storia e nella vita della Chiesa, è vero, ma allo stesso tempo non si può considerare la pietra definitiva. Quando il Signore vorrà, ci aiuterà a comprendere qualcosa di più.
Il nostro paragrafo 8 dimostra quanto sia stato faticoso il cammino di comprensione, in due direzioni: la prima si ritrova nel rapporto che la Chiesa Cattolica ha con il Corpo Mistico di Cristo; la seconda direzione è nella consapevolezza che la Chiesa è santa e allo stesso tempo bisognosa di purificazione, di conversione. Però se è bisognosa di purificazione vuol dire che tanto santa non è. Come si risolvono queste due questioni?
Nella catechesi precedente abbiamo fatto cenno al paragrafo 7 della LG in cui si parla del Corpo Mistico, per quanto non l’abbiamo letto, rimandando ad un approfondimento personale. La tesi di fondo dell’enciclica Mystici Corporis di Pio XII, che consolidava la dottrina precedente, è che il Corpo Mistico di Cristo sia la Chiesa Cattolica, che le due realtà in sostanza coincidano. La visione della Mystici Corporis non è però totalmente accolta dal Concilio Vaticano II[1]. Durante la fase preparatoria della LG molti vescovi chiesero di inserire l’espressione chiave: al di fuori dell’organismo della Chiesa Cattolica si trovano parecchi elementi di santificazione e di verità. Fino al giorno prima si era convinti che la Chiesa Cattolica fosse l’unica Chiesa esistente, che totalizzasse gli strumenti di grazia e quindi che al di fuori di lei non si potesse riconoscere nulla di valido e di utile. Essa si identificava tout court con il Corpo Mistico di Cristo, non era necessario cercare altro altrove. Eppure i padri conciliari sostennero che al di fuori del suo organismo visibile si trovano “parecchi elementi di santificazione e di verità”. Attenzione: il testo latino scrive il termine plura, un grande numero, moltissimi[2].
Quando i padri conciliari presero la decisione sul modo di interpretare il rapporto tra la Chiesa Cattolica e il Corpo Mistico di Cristo, si abbandonò il concetto di identificazione univoca; si abbandonò quello che fino ad allora era stata la certezza di tutti, cioè che Corpo Mistico di Cristo e Chiesa Cattolica coincidessero perfettamente. La Commissione Preparatoria della Costituzione adottò un’espressione che non essendo stata spiegata ulteriormente ha indotto i teologi ancora oggi a scrivere fiumi di inchiostro su due parole: questa Chiesa, una santa cattolica apostolica, Corpo Mistico di Cristo organizzato come società, “sussiste nella” Chiesa Cattolica[3]. La Commissione non usa il verbo essere, che avrebbe semplicemente ribadito la dottrina precedente, ma trova un’espressione ellittica, da intendere non in senso filosofico ma nel senso comune dei termini, che apre la strada a nuove interpretazioni. I padri conciliari chiesero a Paolo VI di chiarire il senso dell’espressione “sussiste in”, e il Papa rispose che andava inteso alla luce dell’espressione successiva: al di fuori della Chiesa Cattolica si trovano parecchi elementi di santificazione e di verità. Le due espressioni sono legate tra di loro: infatti se al di fuori della Chiesa Cattolica si ritrovano molti elementi di santificazione e di verità vuol dire che la Chiesa Cattolica non completa tutto il Corpo Mistico di Cristo, e dunque non si può sostenere che la Chiesa Cattolica è il Corpo Mistico di Cristo.
Ci troviamo di fronte al colpo di genio del Concilio Vaticano II. Ricordate l’accusa più grande che venne fatta all’antico popolo di Israele da parte del Signore? Israele, per il fatto di essere popolo eletto, pensava di poter guardare gli altri popoli, gli altri uomini dall’alto verso il basso: noi siamo il popolo eletto, tutti gli altri, se vogliono salvarsi, devono venire da noi. Il rimprovero più grande che il Signore muove al popolo di Israele è: “Fate frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre” (Mt 3,8-9). Il rimprovero forse più grande che il Signore potrebbe fare alla sua Chiesa è lo stesso. Dicono esplicitamente i padri conciliari che “la Chiesa… non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere… l’umiltà e l’abnegazione”; non è costituita per una sorta di autocontemplazione, con la sensazione di sentirsi un po’ superiore agli altri, ma per operare il bene. Paolo VI afferma che l’espressione “al di fuori della Chiesa Cattolica si trovano parecchi elementi di santificazione e di verità” deve essere letta alla luce del documento conciliare sull’ecumenismo, Unitatis Redintegratio.
Anzi, Paolo VI sostiene che l’intero documento LG si comprende solo alla luce del documento sull’ecumenismo (Sullivan, p.31), cioè che la Chiesa Cattolica dopo duemila anni riconosce che sì la sua parte è importante, decisiva, ha la completezza di tutti gli strumenti di salvezza: la Parola di Dio, i Sacramenti, la gerarchia, il Papa, tutti gli strumenti di salvezza. Ma che se tali strumenti non si usano o si usano male, non si può pensare che il fatto di averli sia sufficiente. Come se qualcuno dicesse: a casa ho tutte le pentole, tutte le stoviglie, ma non cucino. E che ci fai? Abbiamo tutti gli strumenti di salvezza possibili e immaginabili ma non li usiamo, non salviamo. È un bel guaio, non possiamo tenerli come se fossero ninnoli in una vetrinetta.
I padri conciliari in UR 3; 14 sostengono che i nostri fratelli delle Chiese Orientali – la Chiesa Cattolica non può attribuirsi l’etichetta “chiesa” come se fosse l’unica –, i nostri fratelli delle comunità ecclesiali – se sono “ecclesiali” una certa qualità di Chiesa l’avranno pure loro – hanno parecchi mezzi di santificazione e di verità, che se li usano fanno salvezza come, e in qualche caso più, della Chiesa cattolica (Sullivan, p. 37-38). I padri conciliari ci stanno dando una lezione di umiltà unica. Qui io trovo davvero realizzate le parole che loro suggeriscono come “fotografia” della Chiesa: l’umiltà, l’abnegazione.
Posso anche aggiungere un suggerimento di carattere morale-spirituale. Alleniamoci quotidianamente a riconoscere il bene che sanno fare gli altri. Da questa espressione del CVII proviene un messaggio chiaro: se non impariamo a riconoscere anche al di fuori delle nostre convinzioni (se non si fa la processione in quella maniera, se non si dice il rosario in quella maniera…), a riconoscere il bene che si trova negli altri e che sanno fare gli altri, significa che abbiamo qualche problema persino con il nostro bene. La Chiesa di Dio è chiamata a riconoscere e a coltivare il bene ovunque esso si trovi.
Continuano i padri. Questi elementi di santificazione e di verità – parecchi – “appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica”. Gli elementi di santificazione e di verità, che noi possiamo riconoscere anche in Chiese e Comunità ecclesiali che non sono Chiesa cattolica, hanno una matrice ecclesiale, uno stampo, che li riconduce al Corpo mistico di Cristo e li riporta alla stessa Chiesa cattolica. Talora l’ecumenismo è un percorso difficile, non ci possiamo illudere che dopo centinaia o migliaia di anni di divisioni tutto si rimetta a posto improvvisamente.
Racconto una mia piccola esperienza personale. La terza domenica del mese, alla sera, insieme ad un gruppo di volontari andiamo alla Stazione Termini per distribuire i pasti ai senza fissa dimora. Alle 20:30 circa 150 persone riescono a mangiare quello che si è riusciti a preparare. Insieme ai volontari viene anche un pastore battista, accompagnato dalla moglie e dalla figlia. Il pastore, la moglie e la figlia. Vi garantisco che per le persone cattoliche che conoscono questa famiglia si tratta di una forte testimonianza di carità. Credo che siano più edificate dalla loro presenza che da quella di un prete e di un frate francescano.
Non dobbiamo dimenticare che l’ecumenismo è anche saper riconoscere il bene che gli altri sanno fare. Il Signore ha scritto questo bene all’interno della realtà umana. Il bene realizzato fuori della Chiesa cattolica spinge verso l’unità cattolica. Riesce a costruire persino all’interno della Chiesa cattolica ulteriori forme di grazia; perciò la frequentazione ecumenica è fondamentale. È fondamentale conoscersi, stimarsi, volersi bene, conoscere le dinamiche, i pensieri, i modi di concepire la fede.
La seconda parte del numero 8 fa un ulteriore passaggio che nel corso degli anni ha lasciato uno strascico di fiumi di inchiostro. La Chiesa, che è santa… Gesù non conobbe peccato, venne per redimere i peccati del popolo… invece la Chiesa “comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento”[4]. Attenzione, non si parla dei singoli cristiani. La consapevolezza che i singoli cristiani siano peccatori c’era già. Nel corso del tempo, come ho detto fin dall’inizio, quanto abbiamo faticato per assumere convinzioni che oggi sono comunemente accettate. Un peccatore fa parte o non fa parte della Chiesa? Commetto un peccato mortale: sono sempre nella Chiesa o ne sono fuori? Se commetto un peccato mortale resto, non mi allontano dalla Chiesa e la Chiesa non si allontana da me. C’è voluto un Concilio, il Concilio di Costanza (Rahner, 419), per stabilire che i peccatori, anche in peccato mortale, sono parte della Chiesa. Su questa consapevolezza quindi non ci sono oggi dubbi. Ma la Chiesa? La Chiesa nel suo complesso?
Forse tutti, cominciando da me, soffriamo di un problema, quello dell’idealizzazione. Perciò idealizziamo anche la Chiesa. Cos’hanno fatto i padri conciliari? Hanno fatto una scelta di campo. Potevano continuare sulla linea del Corpo mistico di Cristo. Invece ad un certo punto dicono no, questa realtà del Corpo mistico è chiara ma non ci aiuta a capire tutto della Chiesa.
Per comprendere la Chiesa – dicono i padri conciliari – scegliamo il modello del “popolo di Dio”. Popolo di Dio, dice qui nel numero 8, è pellegrino, cammina. Grazie a questo modello si comprende in che senso la Chiesa viene considerata peccatrice. Si tratta di un popolo in cammino, cioè sa dove deve andare ma non ha ancora raggiunto la meta. Non sa per dove camminare; nel corso della storia di errori ne abbiamo fatti tanti, come Chiesa. Abbiamo la responsabilità della salvezza degli altri, ma non siamo noi a salvare. È importante questa consapevolezza. Non siamo noi a salvare gli altri, Gesù salva gli uomini. Abbiamo allora il compito, come Chiesa, di portare questo Gesù agli uomini e – come dicono i padri conciliari – dobbiamo assolvere al nostro compito con le nostre debolezze e le nostre miserie. In questo senso ritornano le parole di San Paolo. Ricordate che Paolo racconta di se stesso, a causa di un pungolo nella carne (non sappiamo cosa fosse questa cosa che lo disturbava tanto), pregò il Signore insistentemente di essere liberato. Dice San Paolo che si sentì rispondere: “Ti basta la mia grazia; è nella debolezza che si manifesta la mia forza“.
Ecco qui un altro bagno di umiltà nel quale ci fanno immergere i padri conciliari. La Chiesa non si presenta bene quando è forte. Forte di cosa? Della sua gloria, delle sue conquista? La Chiesa si presenta forte quando è capace di conversione, di rinnovamento, di cambiamento, di purificazione. Allora è forte la Chiesa. Personalmente ho la convinzione che questo sia un tempo abbastanza travagliato che altrove ho chiamato di “chiesa debole” proprio perché in molti aspetti della nostra vita ecclesiale ci stiamo dimostrando fragili esattamente nella direzione del rinnovamento: come Chiesa non vogliamo cambiare.
È molto difficile cambiare, perché vuol dire che quello che facevamo fino ad ora non va più bene. Nasce subito una domanda di difesa: ma cosa ho sbagliato? Nulla. Semplicemente non va più bene. Cambiare significa riconoscere le proprie insufficienze. Nessuno di noi si può mettere su un piedistallo. Nessuno è privo di insufficienze. Magari ci fossero più persone leali e schiette che ti dicono: “Guarda, questa cosa qua non va bene, rischi tanto”! È una forma di amore.
La Chiesa è santa perché il Signore la rende santa, non per virtù propria. Allo stesso tempo bisognosa di purificazione perché è costitutivamente un popolo in cammino che non ha ancora raggiunto la meta. È la visione di Sant’Agostino, qualche teologo più recente la trova non del tutto soddisfacente, ma forse può ancora andar bene per spiegare almeno una parte di quanto diciamo (cfr Rahner).
Credo che finalmente nella conclusione del numero 8 abbiamo avuto il secondo fotogramma della fotografia che i padri ci hanno proposto. Una Chiesa non più trionfante, non più autocontemplativa; una chiesa umile, capace di riconoscere il bene anche al di fuori di se stessa; con l’umiltà di riconoscersi in cammino e quindi bisognosa di purificazione.
Se possediamo questa conquista interiore sarà tutto più facile, in caso contrario saremo in presenza di una chiesa debole, stanca, che continua a fare cose di sempre, senza avere i risultati sperati, che magari hanno le chiese sorelle. Ringraziamo il Signore per questa fotografia della Chiesa e chiediamogli la forza di riconoscere il bene compiuto dagli altri e di essere sempre disposti a rinnovarci.
1 Non a caso tra i tradizionalisti che criticano il Concilio Vaticano II viene aspramente messo in discussione il concetto di popolo di Dio, considerato persino un tradimento della teologia classica. Si legga in proposito il testo di Lamendola F. nel quale si giunge alla conclusione che “popolo di Dio” sia “un’idea giudaica; un’idea veterotestamentaria” e che “la Chiesa riceve la sua connotazione neo-testamentaria più evidente nel concetto di «Corpo mistico di Cristo»” (website · pdf mirror).
2 Il gesuita padre Sullivan ha dedicato uno studio alla genesi e alla storia dell’espressione subsistit in nel suo testo Sullivan F.A., Noi crediamo la Chiesa. Lineamenti di ecclesiologia sistematica, Casale Monferrato 1990, pp. 29-39, al quale si rimanda.
3 Sarebbe sufficiente in proposito rileggere la trascrizione di una conferenza del 1985 del domenicano padre Tyn (website · pdf mirror) nella quale si afferma, tra le altre cose, che “Non c’è nessun contrasto con la definizione tradizionale della Chiesa, nella quale, appunto perché definizione, viene impegnato il verbo essere: la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica” (p. 9, nota 6). La posizione “filosofica” di p. Tyn di fatto viene sottoposta a critica radicale da p. Sullivan, pp. 32-33.
4 All’argomento dedica un articolo il gesuita padre Rahner K., Il peccato nella Chiesa, in AAVV, La Chiesa del Vaticano II. Studi e commenti intorno alla Costituzione dommatica «Lumen Gentium». Opera collettiva diretta da Guilherme Baraúna, o.f.m., Firenze 1965, pp. 419-435.
Felice di aver ascoltato il 5 marzo 2019, dalle labbra di Papa Francesco, che
(fonte)
Le sue parole mi confermano nella fede e nella convinzione di aver interpretato giustamente il senso più profondo del Concilio.
Spero che la preghiera/catechesi di Santa Maria in Via Lata sia un servizio utile per penetrare maggiormente il mistero e la missione della Chiesa.