6 malattie spirituali. Dialoghi con il Paziente
No all’economia dell’esclusione!
La nuova era della conoscenza e dell’informazione ha condotto l’uomo a una condizione di subalternità, e spesso i processi finanziari che governano l’uomo sono sconosciuti all’uomo stesso. Non ci si accorge di avere la malattia che tende ad escludere molte persone, considerandole inutili avanzi, insignificanti scarti della società. Il denaro e il potere creano una globalizzazione dell’indifferenza, che può intaccare anche le comunità cristiane, dove a volte gli interessi di pochi e la rincorsa ai beni economici o materiali finisce per escludere gli ultimi.
cfr. EG 52-60
Delle malattie spirituali: ispirazione e metodo
Delle malattie spirituali: patologia speciale
Delle malattie spirituali: il Paziente della stanza 113
Dialogo sulle malattie spirituali. Introduzione
venerdì 16 febbraio 2018
il Paziente – Ugo, in 25 anni sono cambiate le persone e gli scenari ecclesiali e sociali, anzi mondiali. Posso assicurarti che ogni generazione è un po’ come ricominciare da capo, chi si trova immerso nella storia non vede che quel piccolo frammento quotidiano e solo con difficoltà riesce a cogliere lo sviluppo di un cammino.
Io – Ne sono assolutamente convinto! E quel che dici vale sia in senso temporale, tra generazioni successive, che in senso spaziale, tra generazioni contemporanee. Per questo, se ricordi bene, si pensò che la soluzione fosse di passare ad una pastorale dove la continuità tra le generazioni fosse assicurata non tanto dalla continuità della persona quanto dalla continuità dei progetti. Altrimenti – come sempre – cambia la persona ed arrivano nuove priorità, nuovi obiettivi, senza che nessuno sia certo di aver esaurito la fase precedente.
il Paziente – Non ti faranno paura le novità, vero? Il vangelo è novità perenne, buona notizia antica e sempre nuova perché capace di abbracciare ogni persona e ogni generazione.
Io – E così tocchiamo il nodo della questione. Non sono io ad essere spaventato dalle novità! Ti ricordi cosa successe con i mennoniti e successivamente con gli amish?
il Paziente – Se non lo ricordo io…
Io – Ah, sì, scusa… a volte mi perdo nella foga del discorso… Ecco, mennoniti e amish sono la dimostrazione di dove si può arrivare rifiutando la novità e rifugiandosi in un mondo fantastico, nostalgico. Alla ricerca di una purezza perduta si sono create comunità senza tecnologia, senza scolarizzazione, senza contatti con il mondo… Una forma di autoesclusione e di ripiegamento su se stessi.
il Paziente – Le intenzioni erano buone. Il Signore guarda il cuore, non l’aspetto esteriore… (NdA: all’autore pare di aver già sentito queste parole in un’altra occasione, la scelta di uno dei primi re di Israele… Però sembra non sia stato altrettanto facile applicare lo stesso criterio nelle occasioni successive…)
Io – Concorderai con me che la contemporaneità, pur in mezzo a gigantesche contraddizioni, non sia da respingere in toto…
il Paziente – Ah, no, questo no! Ricordati che la Chiesa mentre dà aiuto al mondo riceve molto da esso! Perciò deve farsi carico delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto! (NdA: l’autore è certo di riconoscere in queste autorevoli parole un collage di Gaudium et Spes 1 e 45)
Io – Perfetto! Proprio questo volevo sentirti dire! Allora, come tu stesso puoi vedere, qui da noi i poveri – quelli materiali, ai quali dobbiamo provvedere persino la biancheria intima – ci sono, e sono accuditi con amore. Ho visto il personale acquistare di tasca propria i generi di cui avevano bisogno. Oppure donare qualche soldino o un po’ del loro tempo per i casi strappacuore…
il Paziente – Ho visto, ho visto. E ho benedetto tutto! Ho benedetto tutti!
Io – Allora avrai visto pure in che modo vengono accuditi i nostri ospiti nei loro bisogni umani, spirituali, psicologici… A volte i più petulanti possono arrivare a far perdere la pazienza, ma è un attimo solo! Io sono edificato nel vedere tutti i giorni giovani ventenni, e pure tanti adulti, occuparsi delle cose anche le più umilianti con senso del dovere e di affetto. O preparare un piatto di pasta per far mangiare ai nostri ospiti qualcosa di diverso dalla solito pasto preconfezionato dal catering…
il Paziente – Ho visto, ho visto. E quello che è stato fatto a uno solo di questi piccoli è stato fatto a me!
Io – Bene. E ora: hai visto un parroco, un prete, un volontario di questa zona passare anche solo per caso in struttura?
il Paziente – So dove vuoi arrivare.
Io – Sì, Signore, proprio lì voglio arrivare: in cinque anni che presto servizio in struttura non si è visto nessuno. Nessuno ha mai aderito alla mia proposta, di farmi presentare la struttura e le attività presso le loro comunità. Pur chiamati per venire a trovare qualche loro fedele, nessuno si è presentato. Nessun vescovo che ha accettato di venire in visita ha mai portato nemmeno un cioccolatino per i nostri ospiti, moltissimi di loro poveri materiali, tutti loro poveri umanamente, spiritualmente, psicologicamente… Nessun prete, che pure ha ricevuto qualche beneficio gratuito da qualche medico della struttura ha mai chiesto se poteva sdebitarsi in qualche modo o se la Cappella avesse bisogno di qualche cosa…
il Paziente – Forse hanno sottovalutato… forse hanno pensato che bastasse la tua presenza…
Io – Signore mio, tu lo sai. Io non giudico nessuno, constato fatti. E dico che se la comunità cristiana non è in grado di lasciarsi coinvolgere ed interpellare dai poveri non è certo colpa della modernità. E se – come detto – gli operatori che pure sono tanto sensibili e generosi non sono però proprio tutti così praticanti, allora vuol dire che il problema è proprio un altro… E aggiungo un’ulteriore considerazione… “Il vicerè-cardinale costruì molti ospizi per i poveri. Ma prima creò i poveri”… Giusto per ricordare il cardinal Pascual de Aragón-Córdoba-Cardona y Fernández de Córdoba, vicerè di Napoli dal 1664 al 1666…
il Paziente – Vuoi insegnarmi pure la storia, adesso?
Io – Ma no, lo dico per chi non lo sapesse, mi son dovuto documentare per non scrivere stupidaggini… Dunque, Pasquale amava molto la vita mondana, al punto che nel suo palazzo si fece costruire quattro sale da gioco dove si recava compunto come in una sacra funzione (fonte)… Mentre il vicerè giocava con gli amici, il regno di Napoli, reduce dalla peste rovinosa che l’avrebbe per sempre segnato come territorio malaticcio e inguaribile, cadeva in una crisi economico-sociale senza fondo: in città i ceti popolari e medi si impoverirono rapidamente, in campagna i massari furono colpiti da una irreversibile rovina. Il tentativo di Pasquale d’incentivare l’agricoltura e di aumentare l’esportazione delle eccedenze agricole non sortì molti effetti…
il Paziente – E la tua conclusione quale sarebbe?
Io – La mia conclusione è che diffido di vicerè e cardinali che costruiscono ospizi per i poveri (la chiamo carità assistenziale) mentre si preoccupano di meno o per niente di rimuovere le condizioni che generano la povertà (la chiamo carità provvidenziale). Per fare la prima carità bastano benefattori e soldi, per fare la seconda carità occorrono buoni economisti e politici responsabili. E le nostre comunità cristiane non possono rinunciare né agli uni né agli altri. E per rimanere in tema evito di aprire un terzo capitolo sulle nuove povertà, comprese quelle ambientali…
il Paziente – Per quanto il tema sarebbe da non trascurare…