6 malattie spirituali. Dialoghi con il Paziente

No all’accidia egoista!

È la malattia del ripiegamento interiore su se stessi che impedisce di operare e che, attraverso la noia, l’indifferenza, l’indolenza, costringe gli operatori pastorali a rimanere radicati in meschine sicurezze, incapaci di smuovere le persone e le situazioni. Non c’è più entusiasmo, iniziativa, perché si è perso il contatto con la gente e si fanno le cose perché si devono fare. Chiamati a essere sale della terra e luce del mondo, i cristiani diventano stanchi ripetitori di cose in cui non credono più. È “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo”.

cfr. EG 81-83

Delle malattie spirituali: ispirazione e metodo
Delle malattie spirituali: patologia speciale
Delle malattie spirituali: il Paziente della stanza 113
Dialogo sulle malattie spirituali. Introduzione

venerdì 2 marzo 2018

il Paziente – Sei ancora arrabbiato? (NdA: il Paziente della stanza 113 si è voluto evidentemente ricollegare al dialogo precedente)
Io – Eh, abbastanza…
il Paziente – Sai che se gestisci bene la tua rabbia puoi farla diventare uno strumento di crescita e di rinnovamento?
Io – Spiegati meglio… non bisognerebbe essere arrabbiati…
il Paziente – Non fare il finto moralista! La rabbia è uno dei tanti stati d’animo, una delle tante emozioni che nel nucleo più profondo della persona manifestano la reazione a quel che accade… se la governi si mostra utile per cambiare ciò che non va, se la lasci libera di agire può diventare distruttiva, purtroppo… (NdA: all’autore pare di cogliere nelle parole e nel sospiro de il Paziente della stanza 113 una nota di malinconia… che si tratti di ricordi autobiografici?)
Io – A volte, di fronte a certa indolenza e sordità, non si riesce nemmeno ad essere arrabbiati… si lascia correre, si preferisce un sano distacco, una sana indifferenza…
il Paziente – A te capita mai? Dico di preferire distacco e indifferenza…
Io – Uh, spesso! Ma non per ozio e noia, bada, non per accidia! È vero che di carattere tendo a disamorarmi facilmente delle cose ripetitive, ma al tempo stesso mi appassiono a cose diverse, ricerco continue novità, mi piace sperimentare… E qui vedo lo spazio per due considerazioni, una in generale e l’altra in particolare sulla realtà dove mi trovo e sulla comunità allargata, la Diocesi.
il Paziente – Cominciamo da quella generale. Mi manca…
Io – Non prendermi in giro! Lo so che a te non manca la visione d’insieme! Che riesci a prendere in considerazione tutta la molteplicità dei fattori che agiscono sulla percezione di se stessi, delle proprie attività, del contesto…
il Paziente – Ora ricominci la lezione?
Io – Non voglio fare lezioni, ma vorrei anche dire che non mi pare affatto semplice l’esistenza degli esseri umani… ci vedi: siamo immersi in miriadi di difficoltà che cerchiamo di superare tutti i santi giorni, nella speranza di raggiungere una qualche piccola, a volte misera, certezza… anche un po’ di serenità, che non guasta mai… cerchiamo di proteggerci dagli imprevisti… non è peccaminoso ricercare qualche sicurezza, qualche punto di riferimento nella rotta…
il Paziente – No, peccaminoso no. E non ho mai pensato che la vita degli esseri umani fosse una cosa semplice…
Io – Ma la vita non può essere nemmeno solo una continua avventura, una continua sfida… Ti ricordi il periodo in cui nella Chiesa italiana si parlava continuamente di sfide? Tutto era sfidante… i giovani, gli anziani, i poveri, la catechesi, la liturgia, i malati, la parrocchia… quanto riesce a tollerare una persona normale, ordinaria, come me insomma, un clima continuamente sfidante al punto da diventare ostico e ostile?
il Paziente – Il linguaggio di allora era il tentativo dei pastori di rispondere all’urgenza di conversione, morale e pastorale, stimolando i propri fedeli a prenderne coscienza… E non fu facile per loro, pensa sempre che si trattava di persone di una generazione precedente, con una formazione precedente, che dovevano cambiare mentalità e guardare al futuro usando però le categorie del presente… un miracolo!
Io – E se lo dici tu! Sì, un miracolo! Quella era la generazione uscita dall’altra parola d’ordine che aveva accompagnato la Chiesa italiana negli anni ‘70 e ‘80, rinnovamento: rinnovamento della catechesi, rinnovamento della liturgia, rinnovamento della parrocchia, rinnovamento dei gruppi ecclesiali, rinnovamento della pastorale… bisognava rinnovare tutto, senza sapere esattamente come… poi vennero le sfide… e ora è arrivata la “nuova” parola d’ordine, che tanto nuova non è: misericordia!
il Paziente – Rinnovamento, sfide, misericordia… cosa manca secondo te?
Io – Manca la profezia! Sai perché tutta questa noia in giro, perché i pastori intuiscono che non c’è entusiasmo, non c’è spirito d’iniziativa? Perché il loro fiuto pastorale li ha avvertiti che mancano “profeti”, oppure che non si riconoscono e non si ascoltano le “profezie”…
il Paziente – Io non faccio mancare né profeti né profezie, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. Ma occorre essere vigili, ricorda: un giorno non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie…
Io – Quello che dici lo dici per tutti o ti riferisci in particolar modo ai pastori?
il Paziente – Vale per tutti, per chi ha responsabilità pastorali per primi… Sai cosa si oppone alla profezia? Si oppone il conservatorismo tradizionalista, uno dei nemici più subdoli del vangelo… Gli ipocriti sono veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio in nome della loro tradizione, nell’annullare la parola di Dio con la loro tradizione… facendo credere così di rispettare meglio comandamenti e parola di Dio… io non so che farmene di un popolo che mi onori con le labbra, ma il suo cuore sia lontano da me… io che faccio nuove tutte le cose…
Io – Mi sento giudicato e provocato dalle tue parole… Spero che tu rinnovi sempre il mio cuore per riconoscere le profezie e ascoltare solo maestri secondo il tuo volere! E trovi in te la parresia di attuare ciò che lo Spirito dice alle Chiese…
il Paziente – Mi hai detto che c’è una seconda considerazione che vuoi fare, scendendo nel particolare…
Io – Sì, giusto! Una considerazione che vale per la realtà in cui opero e per la comunità allargata della Diocesi. Sperimento in prima persona l’importanza di “fare sistema”, cioè che all’interno di un gruppo umano complesso e organizzato ciascun membro possa esprimersi e collaborare per la riuscita delle iniziative, per il raggiungimento degli obiettivi… fare sistema è liberante e soddisfacente, permette di superare i limiti intrinseci di ogni persona… ma osservo pure che fare sistema è un rischio, sia a livello di “strutture di peccato” dove il singolo si ritrova a collaborare al mysterium iniquitatis senza averne una responsabilità diretta, sia a livello di “sclerotizzazione del sistema” quando a causa dell’invecchiamento, del rifiuto della modernità, dei successi conseguiti, della mancanza di verifiche progettuali strutturate, di visioni miopi si avverte assenza di elasticità e di adattamento dell’insieme, al di là persino delle buone intenzioni del singolo…
il Paziente – Stai ancora restando sul generico…
Io – Sì scusa, mi sono lasciato prendere la mano. Ti faccio due esempi concreti. Qualche anno fa ho assistito qui in struttura alla trasformazione da “clinica” a “residenza”. Una trasformazione non piccola e non digerita bene da tutto il personale. Trasformazione che implicava la rinuncia ad alcuni tratti caratteristici dell’aspetto clinico (di per sé stimolanti e sfidanti…) per accettare la mentalità caratteristica dell’aspetto residenziale, che implica un maggior contatto umano, un coinvolgimento differente nella vita e nell’attività delle persone. La trasformazione non è ancora compiuta in modo perfetto proprio per la difficoltà di abbracciare un cambiamento che mette in discussione certezze acquisite e – perché no? – “vocazioni” maturate in un contesto differente…
il Paziente – Quindi vorresti dire che fare sistema non vi ha aiutato?
Io – Al contrario, forse sarebbe stato proprio il non fare sistema a rendere più grave la situazione. Se la struttura ha retto bene l’impatto della trasformazione è perché alcuni si sono fatti carico e traino mentre la maggioranza ha riconosciuto la necessità di fare sistema! Occorre ancora tempo… e comunque sono le persone a fare la differenza…
il Paziente – Sento che siamo arrivando al secondo esempio concreto…
Io – Sì, la mia convinzione è la seguente: la Diocesi non fa sistema, è dispersa, non persegue obiettivi comuni, è sclerotizzata sull’esistente e poco coraggiosa nelle iniziative, vive dei frammenti dell’ordinario e perde la straordinarietà del presente, ripiegata su se stessa trova difficoltà ad aprirsi e a collaborare con le realtà ecclesiali, sociali, politiche, economiche che ne fanno parte…
il Paziente – Sei molto duro nel tuo giudizio… la Diocesi di Roma ha fatto passi da gigante e tu non eri nemmeno nato… ha dovuto prendere coscienza di essere Diocesi, ha dovuto trovare un luogo unitario persino per la sua curia… ha costruito settori e prefetture, ha cercato, tramite la figura del Vicario Generale, di raccogliersi unita attorno ad una comune pastorale… e ciascuna persona, ciascun credente ha fatto quello che ha saputo fare…
Io – Già, Signore… ma qui devo rimproverare te… se tu non eleggi, non ispiri persone all’altezza delle trasformazioni che richiedi, come pretendi che la chiesa, la Diocesi possa rinnovarsi? Se ti accontenti di mediocri come me, puoi legittimamente attenderti che poi noi siamo “capaci di smuovere le persone e le situazioni”? Il massimo che siamo riusciti a fare è stato burocratizzare ogni cosa, c’è un ufficio per tutto, direttori e incaricati che stampano e pubblicano, vescovi per ogni settore e attività…
il Paziente – Io cerco frutti sugli alberi anche quando non è stagione… Perché come il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone così il fico benedetto, anche se mediocre, riconosce il momento in cui è visitato dalla grazia. Voi abbiate fede! Se avrete fede e non dubiterete, farete cose più grandi di quelle che ho fatto io!