Pellegrini verso Dio

Questo articolo è la meditazione dettata durante un corso di Esercizi Spirituali. Per il corso completo e il download dei testi clicca qui.

Preghiamo

Anima di Cristo, santificami.
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami.
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Nelle tue piaghe, nascondimi.
Non permettere che io mi separi da te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell’ora della mia morte chiamami
e comandami di venire a te
a lodarti con i tuoi santi
nei secoli dei secoli. Amen!

All’inizio di un Corso di Esercizi Spirituali dobbiamo svolgere alcuni “compiti” tutt’altro che formali.

Ringraziare Dio

Il primo pensiero si rivolge a Dio come pensiero di gratitudine. Talvolta le abitudini, per quanto buone, possono farci dimenticare una profonda verità, cioè quella della gratuità della grazia. Alcuni tra noi possono far fatica a riconoscere che l’essere qui nel corso dei prossimi giorni non è solo la risposta ad un’esigenza interiore (come per esempio la necessità del riposo o di un tempo di rinnovamento) o a un obbligo esteriore (come può essere l’obbligo canonico). Non dobbiamo invece smarrire il percorso tracciato, direi quasi inciso nel nostro essere, un percorso fatto di doni offerti e ricevuti che parte da lontano, dal momento del nostro concepimento se si guarda sotto il profilo del tempo umano, da sempre se si guarda sotto il profilo di Dio (sub specie aeternitatis). La bussola del cammino non può che essere il senso di gratitudine che sale dalle profondità del nostro essere per ogni dono ricevuto, dal più piccolo al più grande.

Graziagratuitàgratitudine. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” appare nel vangelo (Mt 10,8) proprio in quel discorso di carattere apostolico nel quale riconosciamo la mission del cristiano. Mentre ci sentiamo investiti di un compito tanto esaltante come quello di annunciare la “buona notizia” (“date“, al tempo presente), contemporaneamente anzi con un attimo di precedenza siamo sollecitati a fare memoria dell’inizio del cammino (“avete ricevuto, al tempo passato). Il termine greco δωρεαν (doreàn), tradotto “gratuitamente”, può anche essere letto in modo equivalente “in dono“: “in dono avete ricevuto, in dono date“. Dal senso del dono scaturisce la nuova consapevolezza del cristiano che all’interno di un corso di Esercizi Spirituali è chiamato a fare memoria dei doni ricevuti, per esprimere quel senso di gratitudine a Dio che lo spinge a sua volta a mettere in gioco il dono, perché anche altre persone “rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16).

Assumere qualche impegno

Non appartiene alla mia sensibilità personale concepire un corso di Esercizi Spirituali come un luogo dove regni l'”impegno“. La consapevolezza e l’accoglienza del dono mal si conciliano con l’imporre “pesi sulle spalle degli uomini” (Mt 23,4). Ovviamente sempre che “impegno” sia considerato un “peso” da sopportare. Esistono però “impegni” che non costituiscono un gravame, ma che al contrario ci “aiutano a sopportare”. Anzi che sono autentici strumenti di grazia. Ripenso alle parole del Signore quando ai discepoli incapaci di operare una liberazione offre la chiave risolutiva: certe oppressioni non si risolvono “se non con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21).

Ecco, mi piace pensare ad un’occasione come quella degli Esercizi Spirituali nella quale le persone possano essere liberate dal peso oppressivo della colpa e del peccato, purificate dalle tossine di un ambiente spesso ostile,  e possano respirare l’aria purificata dello spirito, tornando ad attingere alle fonti della grazia la stessa “vita divina ricevuta in dono” dal giorno del nostro battesimo (Rito del battesimo, 112). La disponibilità ad accogliere quella che si configura quale “novità di vita” (cfr Rm 6,4) si rinnova grazie al tempo degli Esercizi e si manifesta nella consapevolezza degli “impegni” che ci assumiamo, in particolare due: quello del digiuno e quello della preghiera.

Mentre per la preghiera penso sia sufficiente ricordare che gli spazi di preghiera liturgica non esauriscono la possibilità della preghiera che si prolunga a livello personale nel modo che più appartiene a ciascuno di noi, per quanto riguarda il digiuno desidero spendere qualche parola in più.

Di certo tutti conosciamo il significato di “digiuno” che in senso proprio indica l’astensione dal cibo, dal nutrimento. Il valore di questo gesto però non si limita al semplice salto del pasto; la Scrittura ci viene in aiuto con i profeti che avevano ben chiaro il digiuno gradito a Dio, quello nel quale il popolo si lacera il cuore e non le vesti (cfr Gl 2,13). Così Isaia (58,5-7):

È forse come questo il digiuno che bramo,
il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse questo vorresti chiamare digiuno e
giorno gradito al Signore?

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?

Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato
 nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?

La forza di questa Parola risiede nel fatto che riesce a coniugare un gesto esteriore (digiuno) con una “spiritualizzazione” del gesto stesso che diventa a sua volta “azione” gratuita di liberazione. Il Signore ci indica chiaramente quali sono le sue aspettative, la sua volontà in relazione al digiuno che lui gradisce: bonifica dal male e dal peccato nel segno del perdono e della misericordia, cura del debole e del bisognoso nel segno dell’amore solidale.  Che il Signore ci faccia la grazia di digiunare sempre in questo modo!

Se grazie ai Profeti il baricentro del senso del digiuno si sposta dal gesto esteriore all’azione di liberazione, possiamo allora essere ben certi che il gesto esteriore deve essere capace di esprimere in modo “sensibile” quello che il nostro spirito ha già assunto come determinazione. Il digiuno del cibo può voler dire “penitenza“; ma accanto a quello, il digiuno della parola (silenzio) assume il significato di una piena ricettività davanti a Dio che parla. Il digiuno della tecnologia (cellulari, computer…) vuole aprire la nostra mente al primato di Dio, confermando che la nostra attenzione è solo per lui. Il digiuno delle comodità (con qualche rinuncia personale a qualcosa di voluttuario) e la scelta dell’essenziale apre all’accoglienza della volontà di Dio: “mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,34). Sono molte le forme di digiuno che possiamo scegliere a livello individuale, quella che io raccomando come “impegno” comune di questi giorni è il silenzio.

Fare memoria

In tutti i corsi di Esercizi che predico dedico sempre una parte alla memoria che è giusto prestare a chi gli Esercizi Spirituali li ha “inventati“: Sant’Ignazio di Loyola. In realtà se oggi noi possiamo approfittare di questa occasione di “rinascita” spirituale lo dobbiamo a lui e alla sua esperienza che è divenuta paradigmatica per le generazioni a venire. A dimostrazione che un dono ricevuto dal Signore e messo a disposizione dei fratelli si rivela una fonte inesauribile di grazia. Ignazio propone gli Esercizi con un obiettivo ben preciso. Egli attribuisce agli “esercizi spirituali”  un valore di strumento, definendoli come “ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente” (ES 1,2). Ma il genio di Ignazio precisa anche il valore finale degli esercizi che si propongono

di preparare e disporre l’anima
a liberarsi da tutti gli affetti disordinati
e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina
nell’organizzare la propria vita
per la salvezza dell’anima (ES 1,3-4).

Come si nota, Ignazio traccia un percorso umano che si potrebbe riassumere in 5 fasi:

  1. preparazione remota dell’anima
  2. liberazione da tutti i legami che non rendono libera la persona (non ordinati ad un fine superiore)
  3. ricerca della volontà di Dio
  4. organizzazione della propria vita
  5. salvezza dell’anima.

Il cammino tracciato da Ignazio parte dall’anima che si prepara e si conclude con l’anima che possiede il Paradiso. Si muove tra la liberazione dai pesi e dai legami e la scoperta che seguire la volontà di Dio significa realizzare completamente la propria vocazione umana e cristiana. Nel concreto questo cammino si realizza “organizzando” la propria vita, non lasciandola priva della sua struttura qualificante: “Io corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria” afferma lo stesso Paolo (1Cor 9,26).

L’appuntamento degli Esercizi ha dunque l’obiettivo di farci riprendere in mano l'”organizzazione” della nostra vita o, se per qualche motivo l’avessimo perduta di vista, darcene una nuova ripercorrendo i passaggi indicati da Ignazio. Nessuno può farlo al nostro posto. Non è questo il compito degli Esercizi né del predicatore. Sempre bene ricordare le parole riservate da Ignazio a quelli che “danno” gli Esercizi. Ignazio raccomanda ai “predicatori” di non essere prolissi, di toccare con sintesi alcuni punti, di accompagnare chi “contempla e medita” con “breve e sommaria spiegazione”; non è necessario, infatti “sapere tutto”, anzi ricorda che ” non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente” (ES 2,4). Dunque preghiamo davvero il Signore che durante questi Esercizi “scaldi ciò che è gelido e pieghi ciò che è rigido” perché nessuno di noi resti insensibile alla sua grazia, ma tutti docilmente accogliamo lo Spirito che ci è “dato in dono” (Rito della confermazione, 32); e soprattutto assista il predicatore perché non rovini il Suo lavoro!

Sant’Ignazio non scrive solamente gli Esercizi Spirituali (“Gli Esercizi non li aveva scritti tutti di seguito, ma quello che accadeva nell’anima sua e trovava utile, ritenendo che avrebbe potuto giovare anche ad altri, lo annotava“, Autobiografia 99), ma sotto la pressione dei suoi compagni affida il racconto della sua vita dettando la sua autobiografia. Scritta in terza persona, come se riguardasse un altro, in essa il Santo curiosamente si identifica con un “pellegrino” e per questo il testo riceve il titolo di “Il racconto del pellegrino“. Infatti al momento della sua conversione Ignazio depone gli abiti cavallereschi facendo a scambio con quelli di un povero e comincia il suo “peregrinare” (Autobiografia 17-18). Penso sia importante sottolineare nell’esperienza di Ignazio e, come vedremo, in quella di molti altri padri dello spirito questo aspetto di tensione, di dinamismo che li spinge a non fermarsi, ad essere veri figli dello Spirito: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8).

Elevare lo sguardo al futuro

Sarebbe infruttuoso in ogni caso che al “fare memoria” non seguisse l’apertura verso il futuro. Ripensando alle parole dell’eucarestia (cioè “ringraziamento“)  troviamo già nell’espressione “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11,24) una visione del tutto originale della storia, una visione divina.

Gesù pronuncia quelle parole quando ancora è tra i suoi discepoli e l’accenno alla memoria, come se il Signore si fosse già proiettato nel passato, deve essere apparso abbastanza incomprensibile a loro. Nella stessa espressione si trova pure il verbo “fate” chiaramente coniugato al presente, quindi con un riferimento che ad un ascoltatore dei tempi nostri sembra rimandare al passato, all’ultima cena, mentre la prospettiva colta dagli apostoli e trasmessa alla Chiesa è quella di un “eterno presente” il quale annoda insieme i fili del passato e del futuro. In quella prima eucarestia viene deciso per sempre il destino dell’umanità, quindi anche il nostro, anche quello delle generazioni che ancora devono venire, un destino nel quale il Signore si è consegnato nelle mani dell’uomo e ha desiderato legarsi a lui in una comunione intima e inscindibile, nutrendolo della sua stessa vita divina.

La differenza tra il tempo (passato, presente, futuro) non redento, quello di Adamo, e il tempo redento, quello di Cristo, non è tanto nella visione del passato o del presente, ma nello sguardo verso il futuro. Dopo il peccato di Adamo il tempo procede verso il futuro e mentre si allontana dal momento in cui Adamo aveva parlato con Dio faccia a faccia (cfr Gn 2,16-17; 3) assume contorni incerti e terrorizzanti, che spingono gradualmente l’uomo a considerare tutti alla stregua di nemici e Dio uno “sconosciuto” nei confronti del quale provare solo timore. Nemmeno promesse e alleanze ripetute e rinnovate riescono a tranquillizzare verso un futuro che appare tanto più distante quanto più si ha l’impressione di avvicinarvisi; così il salmista può dire, non senza una punta di mestizia:”Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte” (Sal 90,4).

Il tempo redento da Cristo, che abbraccia tutto il tempo adamitico ricapitolandolo (cfr Ef 1,10), modifica radicalmente la prospettiva del futuro. Si potrebbe racchiudere tale prospettiva in un’unica parola – μακαριος (macàrios) – che vuol dire felicebeato. Infatti fin dai suoi primi insegnamenti Gesù di Nazareth presenta la storia umana come una storia straripante di senso, dove nulla è affidato al caso e nulla va perduto. Una storia nella quale lui si incarica di vincere il peccato e la morte e all’uomo è fatto dono della vita eterna, la stessa vita divina, nella “beatitudine“: “Beati i poveri in spirito… Beati gli afflitti… Beati i miti… Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia… Beati i misericordiosi… Beati i puri di cuore… Beati gli operatori di pace… Beati i perseguitati per causa della giustizia…” (Mt 5,3-10). Grazie a Cristo possiamo leggere nelle righe del presente le parole del futuro conoscendo con sicurezza e serenità ciò che ci attende.

Per questo penso che gli Esercizi Spirituali debbano essere anche un esercizio verso il futuro. Un tempo si chiamavano “propositi“, oggi , senza rinnegare la saggezza di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, sappiamo che i credenti possiedono lo sguardo profetico del battesimo, cioè la capacità di elevare lo sguardo (“quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” Gv 12,32) oltre le apparenze e spingersi a contemplare il futuro radioso dei salvati. Fin da subito sarà importante che prendiamo le distanze da ciò che non ci fa “elevare lo sguardo al futuro” lasciandoci ripiegati su noi stessi prigionieri del nostro angusto presente.