GMG, slogan, emozioni
La 28ima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro ha consacrato la popolarità planetaria di Papa Francesco. Pontefice dal grande carisma, ha ripetuto con le parole e con i gesti in modo vibrante i capisaldi del suo pensiero: fiducia nella misericordia di Dio, priorità dell’incontro con le persone, abbandono delle roccaforti ecclesiali, cammino verso gli ultimi della terra, esercizio costante di evangelizzazione. Non sono mancati slogan ad effetto, subito rimbalzati dai media: “Gesù ci chiede di giocare nella sua squadra.”; “Attraverso voi giovani entra il futuro nel mondo.”; “Cari giovani Gesù Cristo conta su di voi! La Chiesa conta su di voi! Il Papa conta su di voi!”; “Lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane.”; “Abbiate il coraggio di essere felici”, eccetera (citazioni tratte dal Twitter ufficiale dell’agenzia SIR).
Ai vescovi brasiliani esprime poi un altro dei suoi concetti chiave sotto forma di domanda: “Siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore?”.
Dentro queste parole si cela il successo e il significato del pontificato di Papa Francesco. Egli è capace di “riscaldare il cuore”. In questo bisogna riconoscere che è del tutto simile a Giovanni Paolo II. Entrambi si sono dimostrati in grado di mantenere senza sforzo un elevatissimo standard emozionale sulle folle.
Un altro elemento in comune ai due pontefici è la loro estrazione culturale: entrambi provenienti da mondi molto distanti dalla mentalità occidentale. Giovanni Paolo II nato, cresciuto, formato dentro la Polonia della cortina di ferro, la Polonia della guerra e del dopoguerra impoverita nell’orbita dell’ex Unione Sovietica. Papa Francesco vissuto nell’Argentina dei dittatori e delle rivoluzioni, dei desaparesidos e dei poveri dalla povertà inimmaginabile per noi, nell’Argentina della profonda crisi economica e del default. Due contesti naturalmente diversi, eppure con tanti punti di contatto. Il principale, quell’estraneità o addirittura conflitto con un mondo occidentale decadente, decristianizzato in misura proporzionale al suo artificiale arricchimento, invecchiato senza apparente possibilità di ricambio generazionale e perciò stesso destinato alla sua estinzione.
Un mondo occidentale che tutto sommato agli occhi dell’osservatore polacco o argentino può apparire stanco e vuoto. Per quanto non si possa escludere che alcune lucine colorate e certi lustrini che il mondo occidentale usa per darsi un certo tono esercitino inesorabilmente il loro fascino su chi è costretto a una vita di stenti.
Il cuore di questo mondo occidentale è giocoforza “freddo”: se si è inaridito dietro calcoli economici, dietro sete di denaro e di successo, dietro rigidi schematismi scientifici, dietro forme estetiche ed edonistiche il risultato non può che essere una speciale difficoltà nelle relazioni umane, nell'”incontrare” l’altro nel profondo dell’animo. Persino un rapporto speciale quale quello del fidanzamento ormai viene veicolato almeno per un quarto attraverso Internet e “siti di incontri”, come recita la pubblicità di Meetic, uno di loro.
Non stupisce, non può stupire se la teologia degli slogan e la teologia emozionale, delle quali Giovanni Paolo II era maestro e Papa Francesco dimostra un portentoso possesso, esercitino un grande fascino sulle folle reali e mediatiche di tutto il mondo, soprattutto quello occidentale. Le loro parole “scaldano il cuore”, lo emozionano, gli restituiscono quell’attimo di umanità espropriato dalla società e dalla cultura della produzione e del consumo che lambiscono ogni aspetto della vita occidentale. I giovani (persino quelli non apertamente ostili alla Chiesa cattolica) trovano nelle parole del Papa la consonanza con i loro più profondi interessi e bisogni. I cristiani incerti e quelli demotivati sentono ritornare la forza della loro testimonianza, anzi confrontandosi con l’autenticazione papale della volontà di Dio avvertono nuova legittimazione al modello di vita religioso.
Solo la storia (quella degli storici tra 100 anni e quella della santità alla fine dei tempi) saprà dirci se questa strategia (della teologia degli slogan e della teologia emozionale) è stata quella giusta, perché richiesta dai tempi e perché benedetta da Dio. Certo, tutto concorre al bene di coloro che credono in Dio. Persino una fede imperfetta e tentennante. Nessuno desidera applicare bollini di qualità e sentenziare quale modello di fede sia migliore.
Accanto a tali sicurezze un dubbio si fa strada, anche questo che viene dalla storia della Chiesa. Ripensando ai tanti momenti critici che hanno attraversato culture e società e alle soluzioni che sono state intraprese e osservando che spesso si è cercato rifugio in una teologia che “scaldasse il cuore” piuttosto che illuminasse le menti. E agli esiti di quelle scelte. Nutro il dubbio che non sia un “cuore riscaldato” a determinare scelte esistenziali importanti e definitive; un “cuore riscaldato” da slogan ed emozioni presto o tardi torna a raffreddarsi e occorreranno nuovi sloga e nuove emozioni per continuare a farlo “star bene”, come dimostra il passaggio Giovanni Paolo II – Benedetto XVI (che non appassionava molto le folle) – Francesco. Se il cuore non è caldo di suo, cioè se non intrappola al suo interno la presenza dello stesso Spirito Santo, il fuoco in grado di scaldarlo in modo inesauribile, persino la missione della Chiesa ha fallito il suo scopo.
La società occidentale avverte il bisogno di “scaldare il cuore”, ma pensa di poterlo fare con lo stesso approccio consumistico con il quale affronta ogni altro ambito della vita. Su questo equivoco si sono spese troppo poche parole e a parer mio andrebbe invece fatto qualche passo decisivo. Senza necessariamente alimentare una dicotomia insostenibile tra “mente” e “cuore”, costringendo ogni volta a precisare che nessuno dei due aspetti della persona umana possiede una preminenza sull’altro. Eppure consapevoli che il privilegio accordato ad uno dei due rischia non solo di tradire la creatura così come voluta dal Creatore, ma di compromettere anche l’esito che si era ricercato nelle buone intenzioni.