Etica della responsabilità e Servizio Sanitario Nazionale
Il nuovo paradigma di partecipazione alla vita sociale viene spesso indicato come un’applicazione dell’etica della responsabilità. Il mio obiettivo qui è quello di esplorare uno scenario reale tra i tanti possibili ipotizzando una conseguenza nel campo del welfare e in particolare dell’assistenza sanitaria.
L’espressione “etica della responsabilità” è relativamente recente, nel campo filosofico. Viene felicemente interpretata da Max Weber in Tra due leggi (1916). Il filosofo e sociologo tedesco sta esplorando il significato dei valori in una società pluralista, scoprendo ben presto che, in un mondo ormai vuoto di dèi e di miti, resta solo l’uomo a imprimere significato, grazie al suo agire razionale.
Non potendo scegliere tutti i valori, diversi quanto diverse sono le interpretazioni, l’essere umano si concentrerà su qualcuno tralasciandone altri. Siamo a livello di quella che Weber chiama “collisione dei valori”.
Sul piano dell’etica il “politeismo dei valori” (come lo aveva già in qualche modo definito John Stuart Mill) apre a due possibili scenari: quello dell’etica dei princìpi (Gesinnungsethik), detta anche etica delle intenzioni o delle convinzioni, e quello dell’etica della responsabilità (Verantwortungsethik).
L’etica dei princìpi tende a fare riferimento a principi assoluti; è, per intenderci, l’etica dell’uomo religioso o quella del sindacalista o del rivoluzionario. Essi si comportano ispirandosi a valori imprescindibili ai quali tendono a piegare la realtà.
A differenza di questa prima, l’etica della responsabilità tende a misurarsi con il fine dell’azione e i mezzi per conseguirla, badando piuttosto alle conseguenze dell’azione stessa.
Per Weber ovviamente i risvolti politici delle due etiche sono diametralmente opposti. Nella celebre conferenza Politik als Beruf (1919) gioca con il significato di “Beruf” in tedesco, che vuol dire tanto “professione” quanto “vocazione”. Con il risultato che il titolo della conferenza può essere sia “Politica come professione” che “Politica come vocazione”. Fin dall’inizio appare chiaro in che modo si orientano le due etiche.
Il filosofo, in definitiva, riconoscerà che solo l’etica della responsabilità è un’etica propriamente politica. L’etica dei princìpi è apolitica, è l’etica del cristiano che segue solo i suoi valori ispiratori e non si chiede se siano capaci o meno di trasformare il mondo. L’etica della responsabilità invece ha un forma politica perchè si misura di continuo con la domanda circa le conseguenze delle azioni: “Giacché si danno in definitiva due sole specie di peccati mortali sul terreno della politica: mancanza di una “causa” giustificatrice (Unsachlichkeit) e mancanza di responsabilità (spesso, ma non sempre, coincidente con la prima)”.
La ragione della lunga esposizione intorno alle origini del pensiero sull’etica della responsabilità risiede nel fatto che quest’ultima si connota per avere radici palesemente distanti dal terreno cristiano. Mi interessava metterlo adeguatamente in luce al fine di chiarire che si tratta di una forma di etica la quale, nel caso rimanga ancorata ai princìpi da cui trae ispirazione, in definitiva non potrebbe essere abbracciata tal quale da una persona ispirata a qualche religione. Anche se, al tempo stesso, tale etica dimostra di avere alcuni intriseci punti di debolezza; non ultimo quello relativo al fatto che anch’essa possiede alcuni “princìpi” da cui trae ispirazione, cadendo in un’intima contraddizione.
Tuttavia, con qualche correzione ideologica, resta pur sempre un’etica affascinante sul terreno politico. In qualche modo si tratta di una ripulitura filosofica del ben noto italiano Machiavelli, con quel motto a lui attribuito del fine che giustificherebbe i mezzi. Weber non giustificherebbe tutti i mezzi, di certo non giustifica l’uomo politico che non ha ben chiaro il fine da raggiungere.
E’ possibile però chiedersi se l’etica della responsabilità debba essere intesa solo nel senso che fa parte del corredo politico di un governante. Per Weber sì. Non pare che egli si ponga la questione di un’etica della responsabilità del popolo, e questo rappresenta un altro limite della sua interpretazione.
Ai nostri giorni, e con la maturate condizioni della vita sociale, anche il concetto di “etica della responsabilità” può essere soggetto a qualche modificazione. La “cosa pubblica” impone che il senso di responsabilità non sia relegato o peggio delegato solo a quanti la dirigono. In quanto “pubblica”, la gestione di uno stato determina la diffusione capillare del senso di responsabilità in tutti i cittadini. In questo senso il correttivo da introdurre sarebbe quello del “bene comune”.
La responsabilità di cui parliamo non è vuota o astratta, nè si pone come tale solo davanti a qualche specifico problema attuale (come sosteneva Weber parlando delle azioni e delle loro conseguenze). L’etica della responsabilità si qualifica come etica perchè ha a che fare con il “bene”; inoltre, trattandosi di una visione politica, il bene è quello della collettività. Dunque l’etica della responsabilità diventerebbe l’etica di quanti si preoccupano di realizzare il bene della collettività, si tratti tanto di governanti quanto di comuni cittadini. Tutti, in tal senso, sono responsabili di se stessi ma anche del bene che possono e debbono procurare agli altri attraverso la loro azione.
Con queste ultime osservazioni ci avviamo alla terza parte del mio pensiero per esplorare un campo di applicazione possibile dell’etica della responsabilità. Viene internazionalmente riconosciuto che il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) dell’Italia si propone come uno dei più evoluti al mondo, se non per la sua efficienza quantomeno per la sua capacità di rispondere alle esigenze del welfare state. E’ pubblico (gestito dalle amministrazioni pubbliche), è aperto a tutti (indipendentemente dalla capacità contributiva), è gratuito (le spese sono a carico dello Stato e le partecipazioni dei cittadini sono modeste e in qualche caso non dovute).
Se non fosse per la gigantesca voragine di bilancio che ha creato, saremmo portati a dire che si tratta di una felice applicazione del principio costituzionale di una sanità gratuita. Proprio per mantenere un sistema di tale portata lo Stato ha avvertito l’esigenza di apportare dei “ritocchi” grazie ai quali si vorrebbe continuare a garantire l’assistenza di sempre ad un prezzo inferiore. La consueta quadratura del cerchio. Nel corso del tempo si sono realizzate varie modifiche del sistema, alcune sostanziali, come la trasformazione delle “mutue” (associazioni di utenti che “mutualisticamente” finanziavano la spesa sanitaria a vicenda) fino all’attuale creazione di “aziende” (con budget di spesa, dirigenti e autonomie tipiche di un comportamento aziendale). Recentemente, in considerazione del fatto che il disavanzo introdotto dal SSN non diminuisce, lo Stato ha agito sul fronte delle spese, costringendo le aziende a riduzioni di personale ed esternalizzazioni.
S’impone la domanda: che responsabilità dobbiamo riconoscere al cittadino in relazione alla cura della sua salute? E’ palese che siano pochi quanti, in modo esplicito e razionalmente teorizzato, non abbiano a cuore la propria salute. Di solito si tende a pensare che chi mostra disinteresse per la propria salute o addirittura si dedica ad atti di autolesionismo sia già di per se stesso un malato, se non altro di mente. Dall’altra parte, la maggioranza di coloro che ricorre a medici e farmacisti quando la salute sembra non sostenere più, si aspetta non solo una cura ma anche una guarigione. In considerazione del fatto che la stragrande parte di costoro non ha cercato in modo esplicito e razionalmente teorizzato la propria malattia o infermità, è doveroso che uno Stato moderno si preoccupi di assicurare cure e farmaci.
L’ultima parte del mio intervento vuole presentare una proposta che, nel segno dell’etica della responsabilità, riesca a coniugare riduzione del rischio, cura del paziente, esigenze della collettività. Abbiamo assistito nel tempo alla trasformazione delle “mutue” in “servizio” fino a raggiungere lo status di “azienda”. Il passo successivo atteso da uno Stato moderno è quello di esercitare la sanità pubblica attraverso lo strumento dell'”assicurazione”. In questo processo siamo totalmente distanti dal modello statunitense. Negli USA in pratica non esiste una sanità pubblica e quindi tutti i cittadini sono costretti in qualche modo a sostenere le spese delle proprie cure.
Il modello proposto qui è un modello di “assicurazione sanitaria nazionale” e si riferisce al modo in cui il contribuente partecipa alla spesa dello Stato per la salute propria e altrui.
In pratica, come in ogni assicurazione, occorrerà che si ponderino con attenzione le condizioni di rischio dell’assicurato, laddove però per rischio si intende la possibilità di essere vittima di una patologia in qualche modo conseguente alle proprie libere azioni. Per fare un esempio, un fumatore è esposto in modo estremamente più radicale al tumore al polmone e ad una serie di malattie cardiovascolari di quanto non lo sia un non fumatore. Il “rischio” ponderato di un fumatore è quindi maggiore di quello di un non fumatore.
In un sistema sanitario di tipo “assicurativo” occorre rendere consapevole l’utente che alcuni suoi comportamenti incidono sulla sua salute e che la sua salute è un bene in qualche modo pubblico, quando per curarla se ne deve occupare la collettività. E’ quindi giusto, in questa prospettiva, che chi corre un rischio maggiore (fumatori, tossicodipendenti, alcolisti, solo per fare qualche esempio), in quanto volontariamente provocato, sia soggetto ad una spesa sanitaria maggiore (malus).
Analogo discorso vale per le aziende che producono materiali inquinanti e che devono tutelare la salute del lavoratore e dei cittadini. Le aziende virtuose sono quelle che rispettano le normative e quindi non sono causa nè di malattie nè di incidenti. Al contrario, le aziende a maggiore rischio, perchè non rispettano le normative e quindi causano malattie e incidenti, sono anche quelle che maggiormente dovranno contribuire al servizio sanitario.
Altri contribuenti di un piano assicurativo come quello sanitario pubblico saranno le stesse comunità locali: un comune che non operi efficacemente per la salute (smaltimento dei rifiuti, inquinamento atmosferico, ecc) dei propri cittadini dovrà farsi maggiore carico dell’onere di curarla vuoi con azioni idonee alla riduzione del rischio, vuoi con un contributo maggiore verso l’assicurazione sanitaria nazionale. Non bisogna dimenticare nemmeno che chi provoca incidenti stradali comporta un carico economico sull’intera collettività. Se dall’incidente deriva la necessità di prestare soccorso e cure agli infortunati, il rimborso del costo di tali azioni dovrebbe essere a carico dell’assicurazione del veicolo esattamente come lo è il costo delle riparazioni ai danni subiti dalle cose.
Infine, ma non ultimo: la leva assicurativa dovrebbe agire in senso premiale (bonus) verso quanti sono virtuosi. Tra i vari esempi si potrebbe collocare la deducibilità fiscale delle spese sostenute per mantenere efficiente il proprio stato fisico (palestre, piscine, macchine e attrezzi, ecc).
Non è sicuro che un modello di sanità pubblica basato sull'”assicurazione sanitaria nazionale” riesca a colmare il gap esistente tra entrate economiche e costi. Però appare come un modello che merita di essere preso in considerazione per la sua forte e coinvolgente capacità di esercizio e promozione di responsabilità e probabilmente come una delle poche scelte veramente sostenibili nel campo del welfare state.