La difficile strada dei debiti

Ultimo aggiornamento: 16/11/2020 21:53

Wierix Jeronimus (1553-1619), La Parabola del Servo spietato

Il prof. Leonardo Becchetti (@Leonardobecchet) in un editoriale su Avvenire (“Questi debiti da rimettere“, 15 ottobre 2020; link · pdf mirror) confermato in varie interviste (cfr link · pdf mirror) ha sostenuto che sarebbe “arrivato il momento di porre una questione di principio“:  “sarebbe ‘giusto’ che la Bce condonasse il debito creato durante il Covid“, anzi “sarebbe possibile, più in generale, per la Banca centrale europea cancellare porzioni di debito pubblico degli Stati nazionali“.

L’economista pone alcune condizioni: “la prima è che si eviti il rischio di far risorgere l’inflazione“; quindi occorre evitare “il rischio che queste politiche vengano viste come un allentamento della disciplina verso i Paesi meno virtuosi“; infine che “un intervento di questo tipo” non dovrebbe “essere considerato un ‘libera tutti’” in quanto “l’esperimento [sic] di condono del debito nascerebbe sotto circostanze eccezionali e a esse resterebbe circoscritto“.

Alla domanda implicita che sorge spontanea “chi paga tutto ciò?” Becchetti risponde che si potrebbe trasformare il debito detenuto dalla BCE in titoli irredimibili a tasso zero (in definitiva: non si cancella niente, semplicemente non si recuperano né il capitale né gli interessi), il che comporterebbe “perdite ingenti sul bilancio Bce colmate nel tempo coi proventi da signoraggio” (cioè: la BCE dovrebbe assorbire le perdite per il mancato recupero di capitale e interessi incamerando i redditi ottenuti dal battere l’euro, il “signoraggio” appunto, evitando con ciò di trasformare la “cancellazione del debito” in spinte inflazionistiche).

Per dare ulteriore giustificazione – stavolta di carattere morale – alla proposta (“più politica che economica“) della cancellazione del debito Becchetti ricorda che “nell’antichità del mondo ebraico l’istituto del Giubileo realizzava periodicamente un riequilibrio tra creditori e debitori tenendo conto che non sempre situazioni finanziarie ormai incancrenite che paralizzavano relazioni e vita economica ricadevano nella responsabilità delle controparti“.

Nei giorni successivi diverse voci politiche in Italia si sono alzate per chiedere sostanzialmente la stessa cosa. Tra di esse si deve menzionare quella autorevole del Presidente del Parlamento Europeo, Davide Sassoli

alla quale si aggiunge la voce della Deputata ex Presidente della Camera Laura Boldrini

Ci risiamo.

Fu sempre Avvenire un paio di anni fa a lanciarsi in una “operazione verità” sul debito italiano con un articolo del Vescovo Valentinetti al quale cercai di rispondere come sapevo in un pezzo pubblicato sul mio blog (Avvenire non lo prese in considerazione): “Et dimitte nobis debita nostra”: il magistero dice di non pagare i debiti?

Oggi lascio che siano economisti e politici ad affrontare in modo tecnico la proposta del prof. Becchetti, del Presidente Sassoli e dell’Onorevole Boldrini. Qui mi limito ad alcune considerazioni di carattere religioso e morale, comunque chiamate in causa dall’economista.

Il menzionato Giubileo ebraico, con la sua prassi di restituzione delle terre, liberazione degli schiavi/prigionieri, osservanza del riposo agrario, condono dei debiti, non può mai essere portato a esempio o a giustificazione di prassi analoghe per due ordini di motivi.

Il primo motivo è che dopo la fine della cattività babilonese (VI sec. a.C.) “non c’è nessun indizio che la legge sia stata applicata” da Israele (Roland de Vaux, Le istituzioni dell’Antico Testamento, Marietti, Torino 1964, pp. 182-184): gli ebrei stessi hanno ritenuto che si trattasse di una prescrizione di carattere etnico limitata al completo controllo di Canaan e che costituisse un reale pericolo di impoverimento generalizzato. La Shemittah , cioè l’anno sabbatico per la terra che ne vietava la coltivazione con la conseguente carestia/povertà del popolo, è stata aggirata ormai istituzionalmente grazie alla Heter Mechirah (“clemenza di vendita”): gli ebrei vendono la propria terra a non ebrei per un anno in modo da continuare a coltivarla anche durante Shemittah.

Il secondo motivo, ancora più forte del primo, è che per qualsiasi “contratto” entrambi i contraenti erano consapevoli fin dall’inizio che ad una certa scadenza indipendente dalla volontà dei contraenti il “contratto” si sarebbe risolto in un determinato modo. In altri termini, la terra non era acquistata per sempre, ma presa in una sorta di “affitto” il cui canone variava a seconda della distanza temporale dal Giubileo successivo. I debiti non erano semplicemente estinti. Mentre il prestito “a usura” (oggi diremmo a interesse) tra ebrei era vietato dalla Bibbia (a differenza di quello tra ebrei e non ebrei), la forte tradizione dei moderni ghemachim (i fondi senza fondo per prestiti senza interesse tra ebrei) testimonia che il prestito esige da sempre la garanzia di cofirmatari che si obbligano alla restituzione in caso di inottemperanza del contraente. In altri termini, in previsione del Giubileo si rientrava dei prestiti esigendone la restituzione o dal contraente o dai coobbligati. Non si hanno effettive prove che il condono dei debiti in occasione dei Giubilei ebraici sia mai avvenuto, sicuramente non in misura tanto massiva da passare alla storia.

Pur non applicando in modo pedestre la legge biblica, tuttavia la storia del moderno Israele dimostra che l’agire in branco a livello economico-finanziario rappresenta un immenso vantaggio competitivo.

Perciò, se si vuol parlare di condono del debito occorre senza dubbio evitare riferimenti al Giubileo ebraico biblico, pena l’irrilevanza della posizione, e basarsi sulla prassi realmente seguita dal Popolo Eletto. In particolare si deve ricordare e menzionare sempre il fatto che in nessun caso gli atti di clemenza dell’Antico Israele erano unilaterali, estemporanei o dettati da situazioni contingenti, ma erano disciplinati rigorosamente e conosciuti e accettati da tutte le parti. Inoltre non si può ignorare il fatto che mentre i gesti di clemenza dell’Antico Israele erano previsti ogni 50 anni, quelli invocati di recente (facendo leva sulla prassi antica) si sono moltiplicati almeno dal 2000 in poi, e per l’Italia si sono moltiplicati in modo esponenziale negli ultimi anni.

In occasione del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II chiese alle Nazioni di compiere un gesto di magnanimità condonando il debito di paesi in via di sviluppo o comunque impossibilitati a restituirlo. Vi fu una corale risposta che portò al condono di debiti per svariati miliardi di dollari e per decine di nazioni. Anche nel 2005 il G7 cancellò debiti per 40 miliardi di dollari e negli anni successivi, crisi dopo crisi, a livello internazionale furono cancellati debiti per oltre 130 miliardi di dollari. Parlando di paesi in via di sviluppo, giova ricordare che i debiti verso l’estero delle nazioni dell’Africa sub-sahariana nel 2018 hanno toccato quota 285 miliardi di dollari (fonte · pdf mirror).

(fonte: soldionline)

In confronto la sola Italia ha accumulato un debito pubblico che ad agosto 2020 è dieci volte tanto (2.579 miliardi di euro).

Decine di paesi in via di sviluppo totalizzano insieme una frazione dell’intero debito italiano. Dal punto di vista morale si tratta di un fatto che esige una riflessione di grande equilibrio. Che una nazione povera e sfruttata chieda di poter “respirare” col condono dei suoi debiti non sorprende, anzi rispondere positivamente costituisce grave motivo di coscienza. Che una nazione considerata universalmente “cicala” per aver colpevolmente trascurato negli anni l’adozione di misure serie per preservare la propria economia dalla regressione si appelli ad atti di clemenza della comunità internazionale deve indurre a considerazioni di altro genere. Mentre infatti nel primo caso è possibile riconoscere che situazioni finanziarie ormai incancrenite non sempre ricadono nella responsabilità delle controparti (cfr Becchetti), nel secondo caso è difficile non riconoscere le responsabilità collettive che hanno portato al deterioramento della condizione economica generale.

In una seria analisi morale del caso deve essere poi presa in considerazione l’esperienza pregressa. Cosa è accaduto alle nazioni alle quali è stato condonato il debito? Dal Mozambico allo Zambia, nessuna di loro è riuscita a superare la prova di soli 20 anni. Le ragioni sono molteplici, la tendenza ad indebitarsi piuttosto che a sviluppare la propria economia è rimasta inalterata producendo nuovo debito che conduce inevitabilmente in una spirale paternalistica di condoni l’uno dietro l’altro. Il motivo di fondo è che in assenza di modifiche sostanziali, strutturali del comportamento che ha portato ad indebitarsi la prassi dell’indebitamento non si modificherà.

Se ciò vale per paesi dall’economia tutto sommato ridotta, vale ancora di più per una nazione dall’economia avanzata e di grande scala. Tra le condizioni che Becchetti ha elencato per la concessione del condono, tutte squisitamente tecniche, mancano però quelle fondamentali a garanzia dell’efficacia della misura: la trasformazione, cioè, da nazione tendenzialmente incline al debito a nazione tendenzialmente incline alla produttività, all’innovazione e al contenimento della spesa. Senza queste condizioni, un eventuale condono del debito italiano sarebbe l’ennesimo schiaffo ai poveri, quelli veri.

(fonte: cathopedia)

C’è un ultimo aspetto che desidero affrontare restando nel campo della morale e della religione. Gesù parla esplicitamente di condono di debiti in due occasioni, una durante il pranzo in casa del fariseo Simone (Lc 7,36-50), l’altra per rispondere alla domanda sul perdono rivoltagli da Pietro (Mt 18,21-35). Nessuna delle due ha a che fare con l’economia, Gesù sfrutta il racconto del debito condonato per parlare di perdono dei peccati.

Ma nella seconda pericope ci offre l’opportunità di un ulteriore passaggio. L’esempio fatto da Gesù è quello di un debitore di una cifra enorme, diecimila talenti, che ne chiede il condono; il talento era un’unità di peso corrispondente a circa 58,9 kg, quindi il debitore doveva qualcosa come 589 tonnellate non si sa bene di che. Comunque tante. E vengono condonate tutte, non avendo egli da restituire. Il debitore condonato è creditore a sua volta della somma di cento denari: un denario era la paga quotidiana di un soldato, cento sono più di tre mesi di lavoro. E nonostante venisse pregato, il creditore non manifesta la stessa pietà ricevuta.

In questo processo economico-morale di ricadute successive tra chi è debitore e chi è creditore emerge nitidamente che mentre è più facile per un soggetto ricco rinunciare ad un ulteriore guadagno, è molto più complicato per un soggetto povero fare a meno di ciò che gli occorre per vivere. La domanda di cui ancora non riesco a capire se esista risposta e quale essa sia è: l’Italia vuole essere considerata nazione ricca o si riconosce come nazione povera?

Credo che dall’onestà della risposta dipenda in larga parte la moralità della richiesta del condono del proprio debito.