Orator fit

“Poeta nascitur, orator fit”. Così un famoso detto latino: poeti si nasce, oratori si diventa. Il grande e mai dimenticato Achille Campanile ne ha tratto un racconto per il suo Manuale di conversazione (BUR, 1976). Per chi se lo fosse perso, lo riproduco di seguito perché penso che – malgrado non tutti lo conoscano – il racconto umoristico offra spunti interessanti sia alla generazione presente sia alla formazione umanistica delle generazioni future, che da esso potranno trarre ispirazioni di sicuro successo. Buona lettura!


«S’accomodi» disse la domestica a Luigi Vinelli «la lezione sta per cominciare.»
Il professore era il famoso Codaro, oratore. Uno di quegli esseri privilegiati che hanno il dono di poter alzarsi in un momento qualsiasi e improvvisare un discorso in pubblico.

Quanti non hanno sognato o non sognano di possedere questa facoltà? Quante volte, vedendo quei fortunati, voi stessi non avete pensato: Oh, se anch’io potessi, se sapessi! E quante volte, voi che non siete oratori, vi siete avvelenati un pranzo pensando che alla fine avreste dovuto dire due parole, che non potevate farne a meno, che a un certo punto da un capo della tavola sarebbe suonato il vostro nome e tutti avrebbero fatto coro, reclamando da voi un discorsetto; e a questo pensiero avreste preferito darvi alla fuga, piuttosto che affrontare la prova per voi irta di difficoltà e di incognite?

Luigi Vinelli non aveva mai parlato in pubblico e l’impossibilità di farlo, perché sprovvisto di qualità oratorie, era un suo cruccio. Ecco perché era accorso all’inserzione pubblicitaria che garantiva: tutti oratori in una sola lezione. E lui quella sera stessa doveva andare a un pranzo.

Il famoso Codaro entrò nell’aula già affollata di studenti:
«L’incapacità di parlare in pubblico» disse incominciando la lezione «deriva da due ragioni: la timidezza e la mancanza di argomenti. Oserei affermare che le due ragioni si riducono a una, in quanto anche la timidezza deriva novanta volte su cento dal non saper che cosa dire o, meglio, dal credere di non saper che cosa dire.

Un improvviso vuoto si fà nel vostro cervello, per quanto vi sforziate, non trovate un argomento, l’urgenza vi ottenebra la mente e così, anche se si tratta d’una circostanza in cui potreste dire mille cose, vi sembra di non poterne dire nemmeno una e rifiutate di alzarvi e parlare, oppure lo fate nello stato d’animo d’un vitellino condotto al macello, balbettate poche parole impacciate, accennando al fatto che non siete oratore, che siete commosso, e aggrappandovi disperatamente a dei banali “grazie di tutto cuore, a tutti, per tutto”, nei quali l’unico vantaggio del vostro impaccio e del vostro terrore è che essi vengono scambiati per una esagerata commozione che può anche procurarvi degli applausi.

Ma in entrambi i casi trasformate in un insuccesso quello che invece potreste con estrema facilità far diventare un successo clamoroso, in cui sareste subissato di applausi. Ebbene io vi darò il segreto per diventare di colpo oratori».

La scolaresca era tutta orecchi.
«Non si tratta dei sassolini di Demostene» proseguì il maestro. «Immagino anzitutto che voi non siate balbuzienti; e, se anche lo foste, la padronanza dei temi e la disinvoltura con cui tratterete il vostro difetto (purché non sia molto pronunciato, ben inteso; nel qual caso occorrerebbero non meno di due lezioni) vi salveranno.

Né, d’altra parte, il fatto di non essere balbuzienti vi gioverà se non avete argomenti. Anzi! Si tratta invece d’un segreto facilissimo. Una formula… »
«Magica?» interruppe Luigi.
«Quasi» disse Codaro. «Una formula la quale vi permetterà di parlare in ogni momento su qualsiasi tema.»
«Volesse il cielo!» esclamò più d’uno.
«Sarei proprio curioso di conoscere quest’abracadabra» fece un altro allievo, scettico.

«Niente di più semplice» disse Codaro. «Questa formula si riassume in tre parole sole: parlare del futuro. Beninteso, essa vi consentirà di parlare anche del passato, non foss’altro che per contrapporlo. Ma ricordatevi che il passato può commuovere, intenerire anche fino alle lagrime, ma soltanto i concetti imperniati sul futuro sono tali da suscitare quell’entusiasmo a cui ogni oratore degno di questo nome deve aspirare con tutte le forze».

Poiché la scolaresca non pareva avere ancora afferrato il concetto, almeno nelle possibili applicazioni preannunziate come la cosa più facile di questo mondo, Codaro alzò il tono della voce.

«Scendendo ai particolari» aggiunse «vi dirò che dovete tener sempre presente questo concetto: che di qualsiasi cosa, situazione o avvenimento, in qualsivoglia istante e in tutte le possibili circostanze, con ogni immaginabile accidente, si può, anzi si deve, proclamare, con la certezza di suscitare l’entusiasmo degli ascoltatori:

«a) che il fatto di cui parlate è tale da permettervi di considerare con giustificata fiducia l’avvenire; guai se parlerete di fiducia ingiustificata o, peggio ancora, se accennerete all’impossibilità di guardare con fiducia all’avvenire o addirittura se alluderete a giustificata sfiducia (questo è il peggio di tutti); il gelo cadrà come una pesante coltre sull’uditorio, smorzandone ogni entusiasmo; tuttavia, il concetto della fiducia nell’avvenire sempre così come da me esposto, va riservato per la chiusura;

«b) che il fatto di cui parlate si deve considerare non un punto d’arrivo, ma un punto di partenza.
«Parentesi: una sola variante può essere concessa a questa messa a punto, diciamo così, topografica: messi in non cale l’arrivo e la partenza, considerarsi “a una svolta decisiva”.
Direte, per esempio: “Questo a cui siamo (o siete, o essi sono, o io sono, o egli è) giunti (o giunto) non deve essere considerato un punto d’arrivo, ma un punto di partenza.»

La scolaresca rimase male. Tutti speravano di più.
«E voi dite» esclamò Luigi «che questa formula… »
«Vi permetterà di parlare di qualsiasi cosa, in qualsivoglia pubblica circostanza» ripeté Codaro. «Beninteso» aggiunse subito «io suppongo che voi non siate del tutto imbecilli e che, una volta avuto in mano il bandolo d’un ragionamento, sappiate andare avanti un po’.

Del resto in molti casi basterà pronunciare puramente e semplicemente la frase suddetta. Sarete considerati oratori concisi e vi si applaudirà lo stesso e magari di più. Tanto meglio se saprete condirla un po’, il che non è difficile, col minimo indispensabile.

Che so io, potrete dire: “Vi ringrazio d’avermi invitato a parlare, ma non sono certo io, ecc., specie dopo i precedenti oratori che hanno espresso così bene (o: prima di altri che assai meglio di me esprimeranno ecc.); tuttavia, colgo l’occasione per dirvi una cosa sola, poiché non ho né la voglia né il diritto di tediarvi; e la cosa è questa: vorrei che tutti, senza distinzione di grado o di mansioni (o che so io), tenessimo presente che questo a cui siamo giunti non deve essere considerato un punto di arrivo ma un punto di partenza, eccetera come sopra detto”.»

Uno degli allievi chiese di parlare.
«Ammetto» disse «che la frase possa fare un certo effetto a un’assemblea, a un congresso, a un banchetto di industriali, insomma dovunque c’è gente che marcia (figuratamente o no), o s’illude di marciare verso una mèta. Ma ci sono mille altri casi. Per esempio, un pranzo di nozze.»
«Ebbene,» esclamò Codaro «quale migliore occasione per proclamare che una cerimonia nuziale è un punto di partenza? C’è da impiantare una famiglia, da mettere al mondo dei bambini, da dare alla patria e all’umanità nuove energie. Idem a un battesimo, a una inaugurazione, a una tappa del Giro d’Italia.»

«Benissimo,» esclamò l’obbiettore «ma, invece che a una tappa, provi a dirlo alla fine del Giro. Punto di partenza?»

«Perché no? Anzi. La frase diventa piena di significato e, nella peggiore ipotesi, spiritosa: questo non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. Se gli ascoltatori restano seri, aggiungerete: il vincitore non deve arrestarsi, ma proseguire nel cammino delle vittorie, ecc.; oppure: l’organizzazione deve perfezionarsi sempre più, ecc. Se invece l’uditorio ride, aggiungerete: questo non è che il primo giro del circuito, bisogna farne un certo numero ecc.»

«Non mi arrendo ancora» fece l’interlocutore. «La frase calza, ve lo concedo, ed è uno spunto nelle occasioni che ella ha citato e in mille altre, perfino a nozze d’oro e di diamanti. Ma provi a dirla a un funerale».

«Perché no? Tutti intorno sotto gli ombrelli gocciolanti davanti alla fossa aperta. L’oratore: “questa estrema stazione a cui il nostro indimenticabile amico è arrivato, per quanto perdentesi nelle nebbie di una misteriosa lontananza, non va considerata un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Egli non è approdato alle buie porte del nulla per scomparire, fiammella fatua, nelle tenebre. No; al contrario, è oggi che comincia la sua seconda vita, la vera. Egli vivrà nella memoria di quanti lo conobbero. Nelle opere. Nei figli diletti. E vivrà per se stesso nei cieli luminosi. Finito il suo lungo peregrinare triste e faticoso, egli ha spiccato il volo, è partito…»

La scolaresca non poté trattenere un caloroso applauso subito represso dallo scampanellare del docente.
«E per la conclusione?» domandò un’allieva del primo banco.
«Per la conclusione» fece Codaro, asciugandosi il sudore che gli sgorgava dalla fronte in conseguenza del pistolotto «basterà la formula a: «Per tutte le ragioni sopra esposte, sono lieto di dirvi che si può guardare con giustificata fiducia l’avvenire».
«E che c’entra coi funerali?» domandò un allievo.
«L’avvenire del mondo, in genere. La vita non s’arresta.»
Un altro allievo fe’ cenno di voler parlare.
«Ma» obbiettò «dopo un po’ tutti si accorgeranno che dite sempre la stessa cosa.»

«Ohibò!» fece il professore. «Non è il cibo, ma il condimento quello che fa la novità. Per questo ho parlato d’un concetto. È il concetto, quello che vi servirà, non le parole testuali. A voi presentare la braciola cucinata in mille modi. Non è difficile, sol che non precipitiate le cose.

Comincerete col ringraziare, col lodare e poi girerete la frase in modi diversi. Un’altra volta, alzatovi, con aria di mistero, direte: “Signori, vedo laggiù la terra e alle mie spalle i flutti; questo non è un approdo ma un trampolino”. Un’altra volta, invece di sottintendere mezzi nautici, vi appoggerete all’aviazione: “Questo,” direte “non dev’essere uno scalo ma una pista di lancio. Una terza volta dopo aver detto: “Guardiamoci intorno, signori: questa è una stazione (tanto meglio se lo sarà realmente); vedo là i treni, le locomotive sbuffanti, i cartelli indicatori, i semafori. Ma ora vi dirò una cosa: Noi non siamo al lato arrivi, (pausa; poi, alzando il tono) siamo al lato partenze”. (Applausi scroscianti).

Oppure, con tono nostalgico e lo sguardo nel vuoto: “Noi non siamo i viaggiatori che arrivano, ma quelli che partono, quelli che vanno sempre, instancabili verso la meta ecc. ecc. secondo le circostanze.»
La lezione era finita. La scolaresca si alzò e qualcuno disse a nome di tutti, ringraziando:

«Ora ci sentiamo veramente d’affrontare qualsiasi occasione. Saremo oratori. Siamo giunti alla meta desiderata, alla possibilità di parlare in pubblico».
Codaro li guardò con un’espressione divenuta improvvisamente grave.
«Ne sono lieto» disse in tono raccolto «e ne sono anche orgoglioso per la piccola parte che posso aver avuto nella cosa. Tuttavia debbo dirvi che vi sbagliate, che siete in errore.» (La scolaresca trattenne il fiato stupita.) «Voi non siete giunti alla meta.
Al contrario, molto si è fatto, ma ancora molto vi resta da fare per raffinarvi, per potenziare la vostra oratoria e io vorrei raccomandarvi questo: non vi adagiate sugli allori, giovani, non riposate. Ma vigilate e siate sempre pronti a far udire la vostra voce, a dire liberamente la vostra opinione, alto e forte. Perché» e Codaro alzò l’indice «quello a cui siete giunti oggi non va considerato un punto d’arrivo, ma un punto di partenza!»
La scolaresca applaudì a lungo. Tutti sentivano gonfiarsi il petto di grandi propositi.

«Comunque,» concluse Codaro sono lieto di constatare il vostro zelo e la vostra certezza in voi stessi. Cose che ci permettono di guardare con giustificata fiducia l’avvenire.»
Un secondo applauso risuonò nell’aula, entusiastico. Lieti, convinti, accesi, gli allievi uscirono lentamente, commentando il discorso.