Ti darò torto…
Omelia in occasione del 30° anniversario dell’ordinazione presbiterale
Ogni volta che ci incontriamo tu mi dici che se tutti i preti fossero
come me, allora… Ora che il ricco t’ha vinto col mio aiuto mi tocca
dirti che hai ragione, mi tocca scendere accanto a te a combattere il ricco.
Ma non me lo dire per questo … ch’io sono l’unico prete a posto. Tu credi di
farmi piacere. E invece strofini sale sulla mia ferita.
E se la storia non mi si fosse buttata contro…
non m’avresti mai veduto scendere lì in basso, a combattere
i ricchi. Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione. Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione. Ma come è poca parola questa che tu m’hai fatto dire. Come è poco capace di aprirti il Paradiso questa frase giusta che tu m’hai fatto dire… Fratello, quando per ogni tua miseria io patirò due miserie, quando per ogni tua sconfitta io patirò due sconfitte, … quel giorno, lascia che te lo dica subito, io non ti dirò più come dico ora: “Hai ragione”. Quel giorno finalmente potrò riaprire la bocca all’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo:
“… hai torto. Beati i poveri perché il Regno dei Cieli è loro”.
(don Lorenzo Milani)
Sapete oggi cosa festeggiamo? Il compleanno di Annamaria!
Ok, non solo, e oltre il compleanno di Annamaria? Non è esatto: non festeggiamo don Ugo, come qualcuno ha detto. Festeggiamo i 30 anni di ordinazione presbiterale di don Ugo. Trent’anni fa diventavo prete e promettevo fedeltà e servizio alla Chiesa di Roma; un po’ come in un matrimonio, quando due sposi si promettono fedeltà e amore. Non andranno d’amore e d’accordo sempre, ci saranno pure momenti che uno si sente tradito e pensa di mollare tutto e di andarsene, ma poi alla fine ci ripensa e dice: bè, in fondo ho promesso, cerco di mantenere, e così giorno dopo giorno si arriva a trent’anni.
Da prete, in un certo senso, ho sposato la Chiesa di Roma. Ora, siccome voi siete una parte della Chiesa di Roma, posso dire di aver sposato voi!
Quindi oggi festeggiamo i 30 anni del nostro matrimonio! È la festa mia? No no, è la festa del nostro matrimonio, è la festa di noi tutti! Per questo vi ho fatto gli auguri… ce li facciamo reciprocamente!
Per questo è stato bello che insieme abbiamo atteso e preparato questo momento e ora lo stiamo celebrando. Ringrazio i Dirigenti della Struttura che ci hanno dato questa opportunità, ringrazio ciascuno di voi qui presente, ringrazio chi ha preparato e servirà il buffet, ringrazio per le cose belle che avete detto e scritto, per gli addobbi, per chi ha scritto le preghiere dei fedeli, per tutto. Il buffet avrei voluto offrirvelo io, ma qualcuno ha desiderato regalarlo: e noi ringraziamo e mangiamo!
Quando sono diventato prete era sabato ed era la Festa dell’Ascensione. Oggi però è un giorno diverso e le letture sono quelle che abbiamo ascoltato. Nel foglietto che vi ho fatto distribuire trovate anche la citazione di una lettera di don Lorenzo Milani. Vorrei proporvi due pensieri, prendendo spunto un po’ dal Salmo, un po’ da Lorenzo Milani.
Pare che i salmi siano stati scritti e cantati dal re Davide, circa mille anni prima di Cristo. Sono poesie davvero belle, così belle che Dio se ne è appropriato e le ha fatte diventare Parola sua. Davide non lo sapeva, forse, ma quando cantava i salmi Dio stava lì, come facciamo noi quando ascoltiamo della buona musica, che si appassionava alle parole e alla musica di Davide e la canticchiava pure lui. Oggi noi abbiamo canticchiato, insieme a Davide e a Dio, queste parole: “Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome. Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza“.
Quando siamo in sintonia con una bella canzone, ci sembra quasi che le parole e la musica siano un po’ anche nostre. Anzi, ci fa bene all’anima sentire che qualcuno, prima di noi, le ha pensate e ha provato le nostre stesse emozioni. Per quanto mi riguarda ho scelto queste parole perché sono quelle che mi hanno scavato dentro. Quasi parlando con Dio dopo 30 anni da prete mi sento di ripeterle insieme a Davide per il nostro matrimonio: grazie Signore, ci avevi promesso tante cose belle e sono arrivate, anche più di quello che ci avevi promesso, abbiamo avuto tanti bisogni, tu forse non ce li hai soddisfatti tutti, ma almeno ci hai dato la forza per andare avanti. E grazie anche a te, Chiesa di Roma, mia sposa, che in 30 anni continui a sorprendermi per farmi innamorare di te ed andare avanti insieme.
Vedete quanto è importante la forza per andare avanti? Chi mi segue nella Messa feriale e viene il sabato, nel quale preghiamo venerando la Madonna, mi sente ripetere spesso che Maria è Madre. Noi, come figli, possiamo rivolgerci a lei quando ci sentiamo male, come da bambini ci rivolgevamo a nostra madre quando avevamo la febbre o quando ci sbucciavamo un ginocchio. E mamma ci prendeva in braccio, ci coccolava, ci dava un bacetto e tutto sembrava passare. Ci consolava. La consolazione è terapeutica, è una cura. Mi sentite ripetere questa frase: che ce ne facciamo della guarigione senza la consolazione? Si può essere guariti e sani ma non provare nessuna consolazione, si può essere malati e infermi ma essere consolati e pacificati dentro. Cosa è meglio? La forza di andare avanti ce la dà la consolazione, non la salute! Magari poter avere entrambe, ma chi se ne importa della salute, se siamo consolati. Dio ci dia la forza e ci consoli sempre! Io mi sento fortificato e consolato grazie al nostro matrimonio, grazie a voi e a Dio! Un giorno, se vi fa piacere, vi parlerò della consolazione. Una parola bella, che dice in sostanza: ti sentivi solo ma ora non lo sei più, c’è qualcuno accanto a te, con – solare.
Vi sto annoiando? Sinceri! Se non vi sto annoiando vorrei aggiungere solo un ultimo pensiero. Qui ci sono medici, infermieri, psicologi, terapisti, operatori, personale amministrativo… chi pensate che sia più importante? Il Direttore Sanitario? Il Medico Responsabile? Il Direttore Amministrativo? Se don Lorenzo Milani vi potesse rispondere ora, vi bacchetterebbe. Sapete, vi direbbe, chi paga lo stipendio a tutte queste persone? Glielo paga chi è malato, glielo pagano le vostre malattie. Eh già, se non ci fossero i malati tutto questo ambaradam non esisterebbe.
Le persone che lavorano in Samadi diventano ricche o comunque riescono a mantenere la propria famiglia perché esistono persone che soffrono a causa di qualche malattia. Già posta in questo modo, la questione dovrebbe spingerci a riflettere con lucidità. Niente sensi di colpa né cinismi. Lucidità. Le nostre carriere, i nostri stipendi, la nostra relazionalità sociale… tutto ruota attorno al malato e alla sua sofferenza.
Ora, per dirla con Milani, al malato darò ragione in tutto. Il malato avrà sempre ragione, e noi, quelli che lo assistiamo, saremo sempre in difetto, in debito.
Non parliamo poi dello stigma che circonda chi soffre di malattie psichiatriche, una sofferenza nella sofferenza. Considerati impresentabili, spesso persino le famiglie si vergognano, inaffidabili, si preferisce “assisterli” invece di “coinvolgerli“, per qualcuno sono morti e sepolti in comunità e strutture apposite. Impossibile darvi torto, avete ragione. E per questo motivo mi troverete sempre al vostro fianco, dovessi andar contro cardinali e vescovi…
Detto tra di noi sì, ci sono malati a volte insopportabili, che urlano parolacce e fanno la cacca in giro, ma ci sono anche preti o medici o operatori insopportabili, però sussurrano gentilezze e fanno la cacca solo negli appositi sanitari, sottili ipocrisie dei sani: se non abbiamo fatto un matrimonio di solo interesse, allora guardare al malato come all’altra parte di sé, quella che con la sua malattia, la sua sofferenza ha assicurato a noi carriera, benessere e vita, dovrebbe spingerci ad avere per lui almeno uno sguardo di maggiore benevolenza.
Poi però con Milani dirò: tu malato psichiatrico, sei stato ritenuto impresentabile? Io più di te. Ti hanno detto che sei inaffidabile? A me lo hanno detto il doppio. Per i tuoi è come se non esistessi, come se fossi morto? Pure io sono stato dato per morto. Quindi posso parlare a buon diritto e dirti da prete quello che ho letto sul Vangelo: “Hai torto a lamentarti… beati gli afflitti, perché saranno consolati… beato chi ha fame e sete della giustizia, perché sarà saziato“. Quando? Un po’ adesso, ma poco, un altro po’, tutto il resto, un altro giorno, in Paradiso, nessuna fretta per nessuno, ma arriva, là dove i ruoli saranno rovesciati: dove chi stava in alto dovrà bussare e in portineria troverà quel malato che aveva trattato male, dove chi non riusciva ad alzarsi dal letto privo di entusiasmo ritrova la gioia di vivere e chi pensava di trovare felicità nei soldi dovrà elemosinarla da chi glieli aveva fatti guadagnare. C’è chi la chiama legge del contrappasso. Per me è solo questione di giustizia. E lo Spirito Santo – Paraclito, Consolatore – lo sentite dentro di voi, che sta cercando di convincervi riguardo alla giustizia, come leggiamo nel Vangelo, ascoltatelo, non scacciatelo, dategli retta.
Ma di questa storia parleremo un’altra volta.
Mio Dio
mio fine e compimento
io sono il tuo ieri
e tu sei il mio domani
io sono la tua radice in terra
e tu sei il mio fiore in cielo
e insieme cresceremo
davanti al volto del sole
(K. Gibran)