Formazione permanente dei preti

Il tweet di Marco Vitale

rimanda a un suo pezzo sulla formazione permanente dei preti (link • mirror pdf). Largamente condivisibile la ricostruzione (impietosa) di bilancio e destino della “formazione permanente“. Conoscendo Marco, ritrovo in quello che scrive i tratti della tua personalità, equilibrata e attenta.

Nondimeno mi sorgono alcune perplessità. Il modello di formazione permanente è ancora prevalentemente quello basato sulla trasmissione di contenuti top – down. Sostengo da tempo che tale modello è riflesso di un meccanismo tutto ecclesiale volto alla “gestione delle persone” (rivelantesi però refrattarie ad essere gestite se non in quei casi carrieristicamente rilevanti) al posto della “gestione dei processi“.

Ancor più: se si parla di “progettazione” dell’intervento formativo si comprende che nulla può essere progettato sulle persone senza partecipazione e consenso delle persone. Un processo formativo di adulti (dato per scontato ma non dimostrato che non abbiano mai più proseguito un aggiornamento culturale e teologico in forma privata, e già questo potrebbe rivelarsi indicativo) è uno strumento finalizzato a sostenere il processo di crescita umana, forse anche spirituale, ma principalmente professionale di un soggetto.

Tuttavia finché persiste la visione del prete a “360 gradi” bisognoso di “padre adulto e amorevole” da ricercare nel confratello/collega (o addirittura esistono preti così) nessuna formazione permanente potrà andare oltre “un onesto calendario di incontri“. Preciso: onesto nella misura in cui rarefatto calendario di generici incontri tra colleghi.

Faccio un banale esempio di carattere personale. Nei 30 anni che son prete ho cambiato cinque incarichi: due da viceparroco, uno da parroco, poi insegnante di religione, quindi cappellano in psichiatria. In nessun caso l’amministrazione diocesana ha richiesto corsi professionalizzanti. In particolare per gli ultimi due, a contenuto altamente specifico. E sì che persino fare il viceparroco con delega ai giovani non è lo stesso che seguire gli adulti nei movimenti ecclesiali.

La mia specializzazione accademica, risalente a 30 anni fa? Spiritualità della formazione degli adulti. Tutto e niente.

Contestualmente la formazione permanente proponeva questioni, temi e stili che nulla avevano a che fare con quello che concretatamente avrei dovuto affrontare nella quotidianità. Oggi quel tipo di formazione lo chiamerei piuttosto schizofrenia pastorale indotta. Ovviamente ho provveduto a formarmi permanentemente per conto mio…

Le cose non sono affatto migliorate in tempi recenti, nei quali gli incontri tra colleghi si basano su uno stile che richiama i bei tempi del seminario, dove uomini maturi mostrano preoccupanti regressioni adolescenziali e gli incontri si svolgono ai limiti di sedute di auto mutuo aiuto (ne ho parlato e scritto qui). La stessa scelta dell’amministrazione diocesana di creare una equipe per la formazione permanente che ha come membri un docente universitario e i rettori dei seminari diocesani appare piuttosto curiosa.

La formazione permanente, a mio avviso, è ancora ben lontana dall’aver compreso che se ad uno strumento vengono deputate troppe funzioni o lo si carica di troppe aspettative lo strumento diventa inutile e frustrante. Così come è lontana dall’aver compreso che se si vogliono creare occasioni di aiuto di soggetti fragili occorre sviluppare percorsi di ben altro spessore. E allo stesso tempo è lontana dall’aver compreso che la rigidità di una qualsiasi istituzione permanente fatica ad adattarsi alle esigenze mutevoli di una realtà in rapida evoluzione, se rifiuta il protagonismo degli interessati preferendo la specializzazione apicale.

Trascurando poi il ruolo della comunità cristiana, che pure sulla formazione permanente pare restare ai margini. Ma questo è un altro discorso…