Dell’universo e d’altre sinodalità
Considero questo post il secondo di una trilogia dedicata alla riflessione su Chiesa e sinodalità a partire dal precedente post Di naufragi e d’altre sinodalità, concludendosi con il post Del pallone e d’altre sinodalità di prossima pubblicazione.
Credo che ai fini del nostro discorso sia quasi superfluo precisare che per Chiesa qui non si intende la gerarchia che la rappresenta bensì l’intero Popolo di Dio, pastori e fedeli insieme, e che Chiesa si riferisce nello specifico alla Chiesa cattolica.
L’osservazione iniziale è che Chiesa e umanità, intesa come genere umano ma anche come qualità intrinseca delle persone umane, sono profondamente unite tra loro. In realtà non ci sarebbe motivo di separarle: occupano lo stesso Pianeta, sono l’una “dentro” l’altra, condividono le sorti dei popoli. Si possono distinguere in quanto l’identità ecclesiale non si estende oltre i confini di una determinata realtà religiosa, ma nondimeno la storia prova l’importanza delle reciproche influenze. Stiamo tutti sulla stessa barca.
Alla Chiesa non è indifferente il destino dell’umanità. Non potrebbe essere altrimenti. Per via degli intimi legami con essa e a motivo della sua missione. In quanto portatrice di un messaggio divino (la profonda solidarietà degli esseri umani tra loro e con Dio, come prova l’Incarnazione di Gesù; e la volontà divina che l’esito finale di ogni creatura sia realizzare la felicità, come prova la Risurrezione di Cristo) la Chiesa intende servire l’umanità con il suo insegnamento e con le sue opere.
Tali premesse però trovano il loro complemento nell’azione che l’umanità può compiere perché la Chiesa sia in messa in grado di esprimere la sua missione. L’eventuale naufragio della missione della Chiesa non apporterebbe sostanziali benefici all’umanità. Il fallimento di un messaggio di solidarietà e di felicità divine, al di là dei limiti e delle imperfezioni di chi lo reca, sottrae qualcosa di vitale all’intero genere umano, e non è detto che sia possibile rimpiazzarlo con la beneficenza e con le soddisfazioni umane. Stando sulla stessa barca, l’eventuale naufragio della missione della Chiesa avrebbe conseguenze strutturali negative sull’intero genere umano. E viceversa, una eventuale catastrofe dell’umanità trascinerebbe con sé inevitabilmente la Chiesa e la sua missione.
Con ciò si potrebbero sostenere due tesi. La prima è che la sinodalità della Chiesa risulterebbe molto depauperata se si riducesse alla mera riorganizzazione delle vicende interne e alla riaffermazione di principi dottrinali, trascurando la natura squisitamente diaconale della sua missione verso l’umanità. La seconda tesi sostenibile è che la solidarietà con il genere umano implica responsabilità reciproche per cui la Chiesa deve mettersi in condizioni di essere aiutata a svolgere la sua missione sia dalle realtà sociali sia dalle realtà religiose esterne a lei in un autentico percorso sinodale.
Insomma, percorrere insieme la stessa strada ad intra ma anche ad extra, una Chiesa in riflessione ma anche in uscita.
L’universo si espande
È il 1933. Al California Institute of Technology si tengono una serie di conferenze alle quali partecipano alcuni dei più grandi scienziati dell’epoca provenienti da tutto il mondo. C’è anche un prete belga. Dopo che questi ebbe parlato, Albert Einstein (1879-1955) si alzò in piedi e disse: “Questa è la spiegazione più bella e soddisfacente della creazione che abbia mai ascoltato“.
Georges Edouard Lemaître (1894-1966) in realtà non aveva parlato di creazione, ma aveva esposto la sua teoria dell’atomo primitivo, un quantum non descrivibile nello spazio e nel tempo, da cui avrebbe avuto inizio l’universo. È vero che lo stesso Lemaître l’aveva definito l’uovo cosmico che esplodeva al momento della creazione, ma solo come immagine per cercare di spiegare quello strano fenomeno di un universo in espansione e quindi del suo inizio. Einstein, che teorizzava un universo stazionario per provare il quale aveva introdotto la costante cosmologica (da lui successivamente definita il suo più grande errore, mentre ormai si pensa che sia necessaria proprio per spiegare l’universo in espansione), forse aveva ironizzato sulla nuova teoria cosmologica del professore di Lovanio.
La teoria di Lemaître infatti non ha appassionato tutti, anzi per un certo periodo di tempo la comunità scientifica le preferirà la “teoria dello stato stazionario” di Bondi, Hoyle e Gold che prevedeva un universo senza inizio. Persino la definizione di Big Bang, mai utilizzata dal prete, fu coniata da Sir Fred Hoyle (1915-2001) per designare ironicamente il “fuoco d’artificio” iniziale.
“L’espansione dell’universo è provata soprattutto dalla costante espansione delle capacità umane“. Era il 1966 quando Georges Edouard che stava per morire pronunciò queste parole.
Quando ragione e fede si incontrano
Georges fu un eccezionale uomo di ragione e di fede. È impressionante leggere la mole di studi effettuati, di equazioni utilizzate con 30 anni di anticipo, di sensibilità spirituale e di attenzione pastorale addirittura fino ad imparare il cinese per poter accogliere gli studenti cinesi che si recavano a Lovanio. Malgrado tutte le sue qualità umane e tutti i risultati della sua ricerca testardamente sostenuti pur contro giganti del sapere, il prete scienziato conservò sempre un atteggiamento di sincera umiltà.
Bisognerà attendere fino al 2018 perché l’apporto di Lemaître alla comprensione della cosmologia ricevesse il riconoscimento postumo della comunità scientifica. Solo allora l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) ha espresso la raccomandazione di rinominare la legge di Hubble in legge di Hubble-Lemaître.
Mai il prete scienziato ha dubitato che scienza, cultura, ragione da una parte e fede religiosa dall’altra potessero trovarsi in accordo tra loro. Però sempre nella convinzione che si dovessero rispettare i relativi ambiti di competenza. Scriveva nel 1936: “Fede e ragione, senza mescolarsi in una miscela imbarazzante e sconveniente, né generare conflitti immaginari, si uniscono nell’unità dell’attività umana“. Perciò nel 1951 reagì negativamente al discorso di Pio XII alla Pontificia Accademia delle Scienze, di cui egli era divenuto membro, chiedendo al Papa di essere ricevuto in udienza privata per spiegargli che no, la sua teoria non era una nuova dimostrazione dell’esistenza di Dio. Anzi, personalmente il prete scienziato riteneva (1958) che la sua teoria rimanesse
interamente al di fuori di ogni questione metafisica o religiosa. Essa permette al materialista anche di negare ogni essere trascendente. Egli può porsi di fronte al fondamento dello spazio-tempo con la stessa attitudine di spirito che adotterebbe per eventi che sopravvengono in punti non singolari dello spazio-tempo. Per il credente essa esclude ogni tentativo di familiarità con Dio, come potevano esserlo il “colpetto” di Laplace o il “dito” di Jeans. E si accorda anche con i versetti di Isaia quando parlano del “Dio nascosto”, nascosto anche all’inizio della creazione.
Quando poi da Presidente della stessa Pontificia Accademia si sentì rivolgere da Giovanni XXIII la domanda circa un possibile contributo dell’Accademia ai lavori del Concilio Vaticano II, Lemaître si dimostrò sorpreso e rispose senza troppo entusiasmo.
(non riesco a nascondere una certa personale commossa simpatia per il prete scienziato, al quale mi accomunano due cose: il fatto di esser prete e il fatto che entrambi abbiamo svolto il servizio militare in artiglieria; a parte questo, purtroppo nient’altro; consiglio la migliore biografia da consultare, da cui provengono molte informazioni di questo post: Dominique Lambert, Un atome d’univers. La vie et l’oeuvre de Georges Lemaître, Editions Lessius, Bruxelles 2011)
Umanità in espansione
La domanda di allora però torna oggi sotto una nuova forma (“quale contributo le culture, le società, le scienze – in una parola, l’umanità – possono dare alla missione della Chiesa?“), quando le capacità umane si sono espanse ulteriormente. E probabilmente anche Lemaître darebbe un’altra risposta.
Egli stesso non poteva essere all’oscuro di quanto il Concilio affermava, che la Chiesa cioé “è persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l’attività dei singoli o delle società che lo compongono” (GS 40). Anzi, la Chiesa “non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall’evoluzione del genere umano” (GS 44), addirittura “confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano” (GS 44). Perciò nelle convinzioni dei Padri Conciliari appare
dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta.
In una umanità in espansione, secondo le parole di Lemaître, la Chiesa o è in espansione con essa o semplicemente non è. La comunità dei credenti finirebbe per ripiegarsi su se stessa, con-centrata sotto la spinta della propria gravità, trasformandosi in un buco nero della storia se, invece di porsi all’ascolto attento, al discernimento e all’interpretazione dei vari linguaggi del nostro tempo per capire meglio la verità rivelata, si dedicasse alla cura narcisistica del proprio ruolo, alla propaganda delle proprie idee e delle proprie opere, al vittimismo delle avversioni e delle persecuzioni.
La sensazione che l’ascolto sinodale si possa trasformare in un cortocircuito ecclesiale è forte. Sembrano esistere correnti gravitazionali che trattengono l’espansione della Chiesa. Tra le più lucide analisi in proposito, quella di Paola Bignardi rivolta al Consiglio Presbiterale della Diocesi di Roma (scarica testo): “La vita delle comunità cristiane è sempre più centrata su di sé, sulle proprie attività, sulle proprie iniziative; è una pastorale tendenzialmente «senza mondo»” (p. 115). A lei fa eco Marco Tasca: “Nei confronti del mondo i cristiani sembrano nutrire una sorta di risentimento che si traduce in lamentela e ostentata nostalgia dei tempi andati, che non facilita l’apertura di canali di ascolto minimamente empatici” (p. 127).
Nonostante le apprezzabili intuizioni dei due autori, siamo ancora distanti dal coraggio dimostrato nel Concilio Vaticano II a proposito dei rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Nelle parole dei Padri si legge da una parte la fiducia che la Chiesa riserva all’umanità in cui è immersa e che anche grazie al suo bimillenario apporto è cresciuta; dall’altra la consapevolezza di non poter fare a meno del “prezioso aiuto” di amici e di avversari.
Non quindi la graziosa concessione di un dialogo, bensì il necessario e ricercato supporto della comunità umana alla missione della Chiesa, per comprendere meglio la verità rivelata e per essere in grado di presentarla nella forma più adatta. Ciò getta pure sulle spalle di una umanità in espansione la grande responsabilità di aiutare la Chiesa a rispondere meglio alla sua missione.
Supererò le correnti gravitazionali
Non possiamo nasconderci che le correnti gravitazionali si muovono tanto nel campo ecclesiale quanto in quello dell’umanità di cui la Chiesa è parte. Si tratta delle continue tentazioni dell’autoreferenzialità, del sentirsi in grado di poter fare a meno dell’altro, pur essendo sulla stessa barca, addirittura di assorbire o eliminare l’altro.
La sinodalità non può prescindere dal prendersi cura gli uni degli altri percorrendo insieme la stessa strada.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te.
Umanità e Chiesa non invecchieranno e guariranno da tutte le malattie se si prenderanno cura l’una dell’altra.
Nel video: La cura, Franco Battiato, Roma (live, 2016)