Zibaldone della settimana – 10

Preti secolari, in sostanza

Era il 1997 e un giovane viceparroco durante un incontro tra il Papa e i preti di Roma provò a dire (qui) che nella formazione dei preti c’era qualcosa che non andava. Provò in poche battute a mettere in evidenza la mancata risposta a questioni ineludibili.

Si rammaricava che i preti non fossero sufficientemente formati all’azione dell’insegnamento, a quella di governo, a quella dell’ascolto.

L’insegnamento curricolare di allora non pareva rispecchiasse le esigenze delle condizioni reali che si sarebbe dovuto affrontare.

Forse sarebbe stato il ruolo della formazione permanente sopperire alla formazione curricolare integrandola con quanto necessario alla vita quotidiana.

Ma anche quella sembrava insufficiente a fornire “gli strumenti idonei a superare l’ansia e lo stress” dei preti.

Come pure a dare gli “strumenti indispensabili per un corretto rapporto con il crescente bisogno di comunione tra presbiteri e presbiteri e laici“.

Sono trascorsi 25 anni.

Cosa è cambiato? In apparenza poco.

La mia opinione, consolidatasi nel tempo, è che si tratti meno di problema di strutture (parrocchie, cappellanie…), meno di problema di attività (catechismo, liturgia…), in parte di questioni formative (metodi e contenuti), prevalentemente di persone.

Se hai quelle persone, puoi formarle quanto vuoi, puoi inventarti le messe streaming o metterle ai vertici dell’Amministrazione, se son tipi modesti non c’è da aspettarsi cose eccezionali. Magari accadono, perché il Signore sceglie ciò che nel mondo è disprezzato e stolto eccetera, perché alla fine si stanca pure lui, esaurito, ad ascoltare il grido della sua Chiesa. Ma non ne sarei certo.

In compenso, chi chiede un Concilio Vaticano Terzo (magari nutrendo la segreta speranza di farne parte o come Padre Conciliare o come Perito) mi sembra fin troppo speranzoso che lo Spirito Santo, dopo essersi sgolato nel Concilio Vaticano Secondo, abbia deciso di abbandonarlo al suo destino solo perché giace inascoltato, incompreso e inattuato e si voglia impegnare in uno nuovo! Se non avete ascoltato Mosè e i profeti, figuriamoci se ascolterete uno risuscitato dai morti…

Penso che gli esperimenti senza successo accumulatisi nel corso del tempo postconciliare, lungi dal costituire un utile insegnamento metodologico, abbiano contribuito – tecnicamente – a peggiorare le cose.

In 50 anni si sono susseguite tre Ratio sulla formazione dei preti (1970, 1985, 2016) e due Direttori sulla vita dei presbiteri (1994, 2013). Se i risultati sono stati scadenti, probabilmente ci si dovrebbe porre qualche domanda su quei documenti. E sulla loro applicazione.

A parte il card. Marx, non ho sentito molti altri Sorveglianti ammettere il loro fallimento. Le ultime vicende storiche, di nostalgia tradizionalista e di scandali, mettono in luce la grave crisi che ha colto non solo i preti ma anche l’episcopato nel suo complesso.

Pochi ricordano che i Sorveglianti sono stati scelti tra quei preti formati dalle Ratio e dai Direttori di cui sopra. Non sono tutti pessimi, certo, ma si sono dimostrati inadeguati e in alcuni casi incapaci di misurarsi con i loro errori. Lo so per esperienza personale.

L’assenza di trasparenza nelle decisioni e nell’amministrazione della Chiesa peserà ancora a lungo. Sorveglianti ordinari scelti tra ex direttori spirituali o ex superiori dei seminari non sono affatto garanzia di fraternità, mentre contribuiscono a rendere ancora più vischioso ogni processo.

Aggiungo una osservazione sul “paternalismo clericale“. Ancora oggi si preferisce creare preti irregimentati ma con scarsa autorevolezza, indottrinati ma con pochi obiettivi pastorali, fedeli ma con scarsa autonomia. In definitiva, la crisi dell’esercizio dell’autorità, come principio e come applicazione gerarchica, non lascia margini di soluzione.

Qualcuno, resosi conto di questa crisi, ha cercato una soluzione nella teorizzazione di un modello sacerdotale fondato sulla “leadership” (qui).

Dal paternalismo alla leadership: né l’uno né l’altro si possono considerare strategie evangeliche.

Gli stessi Sorveglianti, consapevoli di dover recuperare credibilità, hanno proposto un loro ennesimo documento sui preti indicando nella “fraternità” la soluzione. Ma se una “fraternità tra leader” già parte con un bias pesante, essendo la fraternità originaria e insuperabile dei cristiani fondata sul battesimo, il resto è chiaramente lobby (cfr Rapporto 2020, cap. 7.2.2).

Sempre nel Rapporto 2020 ho cercato alcune vie interpretative dell’identità del prete, soprattutto diocesano-secolare (per la differenza tra prete diocesano-secolare e religioso-regolare si legga qui, n. 6). Penso sia ancora valido concludere che esse si trovano nel “collaborare alla gioia di quanti egli è chiamato a servire nel mondo” (cfr Rapporto 2020, cap. 7.4).

In sostanza: (1) col-laborazione come metodo; (2) gioia come fine; (3) servizio come missione; (4) secolarità come indole.

A mio modo di vedere, finché qualcuno cerca soluzioni altrove, fuori da queste vie, otterrà risultati insoddisfacenti.