Di Roma, d’ecologia, di fascia verde e d’altre amenità

La nuova fascia verde di Roma sta facendo discutere. Per fascia verde si intende un’area della città in cui il traffico dei veicoli più inquinanti viene limitato e interdetto. Recentemente ne sono stati rivisti i confini e l’area è stata allargata. Le restrizioni entreranno in vigore a breve e saranno assicurate dal monitoraggio di varchi elettronici.
Tutto bene, dunque?

Ecologia e prospettive

La scelta del Comune non può che essere apprezzata sotto il profilo di un passo di responsabilità ambientale. Comunque la si pensi, colloca Roma in un processo che vede coinvolte tutte le più importanti capitali europee. L’abbattimento degli inquinanti atmosferici, ritenuti a buon diritto tra le cause del cambiamento climatico, resta una priorità ineludibile della presente generazione.

È notorio che i mezzi a motore endotermico siano considerati una fonte importante di emissione di inquinanti atmosferici. Gli sforzi prodotti per realizzare autovetture sempre meno inquinanti sono stati premiati da risultati incoraggianti.

Sono abbastanza vecchio da ricordare tutti gli incentivi governativi che in Italia nel corso dei decenni sono stati elargiti agli acquirenti per incoraggiarli a scegliere automobili sempre meno inquinanti.

Il processo ideale dovrebbe spingersi fino ad estendere la fascia verde all’intera città di Roma. Si potrebbe addirittura auspicare che in un futuro non troppo lontano dentro il Grande Raccordo Anulare sia consentito il transito ai soli veicoli elettrici, le cui emissioni sono teoricamente inferiori e comunque dislocate rispetto all’area di utilizzo (di norma, l’energia elettrica necessaria ad alimentarli viene prodotta in zone diverse da quelle dove i veicoli si muovono).

Vecchi problemi

Sempre perché sono abbastanza vecchio, ricordo che almeno un paio di generazioni sono state cresciute nell’illusione che il possesso di un’automobile privata fosse sinonimo di libertà di spostamento. Al tempo stesso tale scelta sosteneva l’economia nazionale, trainata dal lavoro procurato dalle case automobilistiche e dal mercato indotto. Non è un caso che l’Italia si collochi ai primi posti al mondo per numero di automobili private. Roma tra le prime città italiane.

Naturalmente alla libertà di spostamento corrispondeva la necessità di costruire adeguate infrastrutture (strade, autostrade…): più aumentavano le auto più si costruiva e si allargava, più si è costruito e allargato più sono aumentate le auto. Il conseguente consumo di suolo non è stato sempre un fattore di crescita, anche laddove abbia sostenuto l’economia nazionale. Inoltre, a causa del consueto italico vizietto di non prevedere tra i costi di un’opera quelli del suo mantenimento, molte infrastrutture cedono sotto il peso della loro obsolescenza. E Roma ne è diretta vittima e testimone.

Minor attenzione nel tempo è stata dedicata allo sviluppo di una rete di trasporto pubblico capace di assicurare la libertà di spostamento sul territorio nazionale e nelle città e al tempo stesso di limitare il consumo di suolo allo stretto necessario, con una accurata previsione della manutenzione da effettuare ordinariamente. L’Italia si colloca tra le nazioni industrializzate con la minore efficienza generale del trasporto pubblico. Non è necessario fare il paragone con il Giappone per rendersi conto dei ritardi, anzitutto di mentalità, quindi di mezzi e di infrastrutture. Anche in questo campo Roma gode di tutti i privilegi della Capitale di uno Stato in grave ritardo.

Cosa c’entra tutto ciò con la fascia verde?

Nuovi problemi

Le reazioni dei cittadini alla scelta della Giunta capitolina non si sono fatte attendere e hanno messo in luce nuovi problemi, che non possono essere facilmente liquidati come incomprensibile dissenso di facinorosi occupati a proteggere i loro piccoli interessi.

Personalmente ne accennai una per nulla secondaria durante il “dialogo” con il Consigliere Francesco Carpano (qui). Si tratta del fatto che i parcheggi di scambio periferici sono stati inclusi nell’area della fascia verde. Questo rende impossibile che le autovetture non conformi vengano lasciate in sosta per permettere al cittadino di prendere i mezzi pubblici. Una esclusione insensata che non risponde a nessuna logica comprensibile.

Gli stessi mezzi pubblici, peraltro, soffrono di gravi disservizi.

Sull’argomento, a mia conoscenza, l’analisi più accurata e documentata è stata pubblicata qui, nell’inchiesta di Diarioromano a firma di Mercurio Viaggiatore.

In buona sostanza emergono almeno tre macroguppi di problemi:

  1. il processo decisionale che ha portato all’adozione della fascia verde appare viziato da diversi fattori, che potrebbero persino spingersi a configurare un eccesso di potere (restrizioni ingiustificate, favoritismi per l’Azienda dell’Amministrazione, illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa);
  2. il numero di Aziende e di cittadini coinvolti dalle restrizioni è allarmante; se da un lato denota l’esistenza di un parco veicolare tutt’altro che ecologico, dall’altro impone una riflessione sulla possibilità realistica di un suo aggiornamento in tempi relativamente brevi;
  3. la superficialità della decisione non ha tenuto conto della documentata impreparazione del trasporto pubblico ad assorbire il flusso degli utenti conseguente alle restrizioni.

Per tali motivi appare beffarda la sarcastica conclusione cui giunge Alessandro Pino in un articolo scritto per il sito di Luciana Miocchi: gli “inquinatori a oltranza… sfogano platealmente… il fatto di non potersi permettere… una macchina nuova: mera conseguenza del fatto che se si fossero impegnati di più nella vita studiando, adesso potrebbero cambiare auto e soprattutto capire la bontà di un provvedimento che finalmente renderà respirabile l’aria della Capitale, come grazie al cielo sta invece facendo la parte più responsabile, istruita e consapevole dei cittadinə (sic!) che sono la stragrande maggioranza delle romane e dei romani” (fontemirror pdf).

Al perspicace educatore che ha partorito il severo rimprovero sfugge il dettaglio che non tutti possano permettersi di laurearsi presso l’Università Telematica Pegaso, nonostante i più contribuiscano col loro lavoro all’economia e al benessere degli altri, compresi sedicenti scrittori (virgole rare ma messe a caso, uso di lettere inesistenti nell’alfabeto italiano, periodi di 102 parole senza un solo punto, costrutti farraginosi e addirittura privi di reggente) e personal trainer. E che dunque non prevedere, da parte delle Istituzioni, opportune e appropriate misure, anche di carattere formativo ed educativo, in favore delle classi meno abbienti al fine di agevolare la transizione prevista dall’Agenda 2030 è comportamento miope e insensato.

Le soluzioni

La soluzione ricercata in realtà sono “soluzioni”, al plurale. Occorre infatti intervenire facendo sistema e, soprattutto, prendendo coscienza di trovarsi di fronte ad obiettivi plurimi. Ne elenco alcuni, forse i principali, in modo sommario:

  • riduzione degli inquinanti atmosferici
  • transizione energetica
  • riduzione del traffico cittadino
  • potenziamento delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici
  • efficientamento del trasporto pubblico

Fare sistema significa che, per ogni nuovo problema creato da una specifica soluzione, sia già prevista almeno una mitigazione di quel problema, se non una vera e propria soluzione.

In altri termini, per fare un esempio, l’aumento del numero di veicoli elettrici circolanti porta con sé l’esigenza di avere un numero adeguato di colonnine di ricarica e conseguentemente impegnare una considerevole potenza elettrica. La quale, se non viene prodotta attraverso fonti rinnovabili, comporta ugualmente un discreto apporto di inquinanti. Al tempo stesso, se si limita in modo drastico l’uso dell’auto privata, ciò non è sufficiente a dimostrare che il sistema di trasporto pubblico sarà più fluido ed efficiente.

Insomma, la ricetta semplicistica di un’equazione teorica (meno macchine inquinanti = meno inquinamento = più efficienza del trasporto pubblico) è ben lungi dal rappresentare LA soluzione.

L’ideale sarebbe che l’Amministrazione si impegnasse a dialogare con i cittadini e con le Associazioni che possono aiutarla a governare meglio la soluzione dei problemi, consapevole di non essere depositaria di ogni scienza e sapienza ma di dover rispondere della propria attività anzitutto alla cittadinanza, quindi alle urne. Con buona pace di chi teme il loro responso.

E, in ogni caso, prima di promuovere una petizione, come pensa non senza un pizzico di compiaciuta piaggeria Alessandro Pino, per assegnare al Sindaco Gualtieri il “Premio Nobel per l’Ecologia” che non esiste, mi preoccuperei che il Primo Cittadino fosse un po’ più concretamente coinvolto nella quotidianità della città, di cui sembra non percepire più le reali condizioni di vita.