Dopo 30 anni. Intervento nell’incontro con Papa Francesco
Testo letto l’11/06/2024 nell’incontro con Papa Francesco e i sacerdoti della Diocesi di Roma ordinati dal 1985 al 2013 presso l’Aula Magna della Pontificia Università Salesiana.
Sono Ugo Quinzi, prete dal 1991 e attualmente assistente spirituale (cappellano) presso una Struttura di Riabilitazione Psichiatrica.
L’ultima volta che sono intervenuto durante un incontro del Vescovo di Roma con i suoi preti correva l’anno 1997.
Parlai della necessità di rivedere alcuni aspetti della formazione seminaristica e della formazione permanente. L’Osservatore Romano pubblicò un estratto del mio intervento, subito letto da alcuni, anche in Curia, come “contestazione“. Succede.
L’intervento completo si trova nel mio blog all’indirizzo https://www.ugoquinzi.it/caro-papa-e-una-questione-delicata-si-tratta-della-formazione-del-clero/
Trent’anni nei ritmi della Chiesa rappresentano un periodo di tempo del tutto trascurabile.
Però che io sappia praticamente poco o niente di quanto dissi allora ha avuto seguito. Questo fatto mi rassicura molto: non potrò certo rimproverarmi di aver fatto qualche danno alla Chiesa!
In sintesi estrema, riallacciandomi a quel precedente intervento, penso che l’aver sottovalutato l’importanza di una compiuta formazione umana degli aspiranti all’ordine sacro vada di pari passo con una certa difficoltà ad interpretare identità e ruolo del sacerdote diocesano-secolare nel contesto contemporaneo.
Ne è testimonianza, a solo titolo di esempio, la superfetazione episcopale della Diocesi di Roma. Quando una Chiesa locale sente la necessità di farsi governare da molti Sorveglianti (traduzione letterale del termine greco episcopo, vescovo), cioè quando ha bisogno di tanta grazia supplementare per gestire la sua vita ordinaria, non possiamo nasconderci che esiste un problema. Si potrebbe forse definire un problema di deresponsabilizzazione del presbiterio.
Ho un aneddoto in proposito che vorrei raccontare. Terminate le restrizioni per la pandemia, durante il primo incontro con i colleghi della prefettura dissi che secondo me, come presbiterio di Roma, sarebbe stato importante porre un segno tangibile e pubblico di riconoscimento del lavoro svolto dai sanitari ed esprimere in tal modo la gratitudine dei cappellani. Un collega intervenne sostenendo che non toccava a noi proporre azioni collettive ma che semmai sarebbe stato compito dei Vescovi dirci cosa fare. Il Vescovo presente, dal canto suo, non disse nulla in proposito né prese posizione.
Questo modo di concepire il rapporto tra preti e Vescovi, a loro volta selezionati dall’ordine dei preti, dimostra un infantilismo che affonda le sue radici nei deficit formativi a cui facevo cenno 30 anni fa e che sono causa oggi, tra le altre cose, dell’overlapping delle funzioni episcopali, con inevitabile stress dei gerarchi diocesani e conseguente calo di rendimento.
In quanto cristiano e in quanto ministro ordinato non mi aspetto che sia un Sorvegliante a indicarmi cosa devo fare. In questo senso trovo convincente la posizione di Lorenzo Milani riguardo al compito del vescovo secondo lui di tipo ispettivo (sorvegliante…), per cui il prete opera e il vescovo vigila. Prima dell’obbedienza gerarchica c’è la matura personalità del prete al servizio della Grazia. C’è il primato della Grazia. A seguire c’è il discernimento pastorale del Vescovo.
Con questo sistema di distinguere l’«obbedienza prima» dall’«obbedienza dopo», si può dare ai giovani preti una lezione di «ribellione obbedientissima».
Perché colui il quale segue a volta a volta soltanto la sua coscienza, con la migliore delle intenzioni, avendo già progettato fino in fondo un’assoluta obbedienza in caso di stangata, è perfettamente obbediente, è perfettamente sottoposto ai vescovi e non blocca il progresso teologico, pastorale, sociale, politico, del suo insegnamento.
Don Lorenzo Milani, L’obbedienza nella Chiesa, Libreria Editrice Fiorentina (2011), p. 40
Non avendo più avuto modo di seguire la situazione, chiedo a lei, Santità: che sensazione ha? Secondo lei la Chiesa di Roma negli ultimi 30 anni, più o meno, è riuscita finalmente ad elaborare un suo modello di sacerdote diocesano-secolare e se sì quale è; a ripensare la formazione anche umana strumentale all’identità e al ruolo dei preti che sceglie per servirla; a restituire all’episcopato funzioni più aderenti alla specifica missione ecclesiale dei Sorveglianti?
Ecclesia semper reformanda.
In definitiva, Santità: secondo lei è possibile, auspicabile che l’azione rinnovatrice della Chiesa di Roma non si esaurisca nell’ennesimo piano per cambiare le strutture? È possibile, auspicabile che, lasciandosi condurre dallo Spirito, dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante, con genio e creatività – e, aggiungerei, con un sano acume critico – trovi la strada per essere libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva? (cfr Papa Francesco, Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù, Discorso al V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, 10/11/2015).
Grazie per il suo ascolto. Ci benedica.