Il peccato? Peccato parlarne male
Anche se il Preconio Pasquale ci fa dire “Felice colpa che meritò di avere un così grande Redentore” in riferimento al peccato di Adamo redento da Cristo, qui non si tratta di parlare del peccato come se fosse una cosa buona, ma di evitare di esporre quanto il Signore ci ha rivelato con la sua “buona notizia” in modo scarsamente aderente alla verità, vanificando così il Vangelo.
L’iconografia antica, il vangelo degli analfabeti, quello che parla e traduce in immagini ciò che lo scritto riproduce con le lettere, rappresenta la risurrezione di Cristo come una vittoria sulla morte (tenuta in catene sotto i piedi del Risorto), le porte degli inferi divelte, il sepolcro di Adamo e di Eva – rappresentanti dell’intera umanità – aperto e Gesù che con infinita tenerezza prende la mano di entrambi per portarli con lui nella vita nuova. Lo hanno capito in modo elementare i cristiani più semplici – quelli che non sapevano leggere e scrivere e che di teologia non avevano letto nemmeno un libro, cfr Mt 11,25 – lo hanno storpiato i cristiani più bigotti.
Bisogna ricominciare dalle fondamenta. Dallo scandalo continuo del personaggio Gesù, ben consapevole di quello che si diceva di lui: “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (cfr Mt 11, 16-19). L’amicizia con le due categorie rifiutate dai bempensanti era nota e viene utilizzata da Gesù per raccontar parabole con effetti speciali (Lc 15,1-10).
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo.
I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”.
Allora egli disse loro questa parabola: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”
Provate a visualizzare la scena. Qualcosa di simile possiamo farlo rivedendo il favoloso Gesù di Zeffirelli (1977, qui su YouTube la prima parte). In particolare prendiamo la vocazione di Matteo che aveva colpito molto anche il Caravaggio (e in tempi recenti papa Francesco): va dal time 1h 22′ 55”’ al time 1h 37′ 04”’. Attenzione alle immagini e ai dialoghi.
Alla risposta di Gesù a Giacomo (“Giacomo, il cuore della legge è il perdono“, 1h 28′ 45”), concetto che fa parte del Simbolo della fede: la Chiesa crede il perdono dei peccati (e non, semplicemente, il peccato).
Al gesto di Matteo che vorrebbe allontanare la prostituta (“Spòstati! Fagli posto!“) e a Gesù che la invita a rimanere: “No, no! Lascia stare! Siedo lì, accanto a lei” (1h 29′ 55”).
Allo sguardo di Gesù che alza gli occhi e guarda verso la porta, dove scribi e farisei sono appostati per osservare lo scandalo, insieme ai discepoli timorosi. E dove si ferma Pietro, inquieto, disturbato dal comportamento dell’affascinante e contraddittorio Maestro (1h 30′ 49”).
Gesù, vedendo arrivare Pietro, sembra felice e decide di raccontare una storia: è quella conosciuta come la parabola del figlio prodigo, la prosecuzione del vangelo citato sopra (Lc 15,11-32). Nel racconto di Zeffirelli sembra che tutta la parabola sia un dialogo tra Gesù (che parla) e Pietro (che ascolta silenzioso, ma le inquadrature ce ne mostrano il conflitto interiore), in un gioco di sguardi e di primi piani. Fino al momentto conclusivo della parabola, quando Pietro capisce che proprio lui, Pietro, si sta comportando come il figlio maggiore, quel figlio piccato dal comportamento del Padre misericordioso, al punto di non voler entrare in casa.
Quella dei peccatori e delle prostitute è la CASA nella quale l’apostolo decide finalmente di entrare, ascoltando le parole del Signore: “È giusto far festa. Tuo fratello era perduto, e l’ho ritrovato. Era morto, e ora vive” (1h 35′ 48”).
E la scoperta più grande di Pietro è che non deve abbracciare il Signore, al quale aveva chiesto perdono, ma il proprio fratello quello che fino a pochi minuti prima aveva considerato il peccatore da rifiutare e rifuggire (1h 36′ 56”).
A volte i cristiani si sono comportati da stolti, incapaci di gioire con il Signore per i fratelli ritrovati. Capricciosamente fermi alla porta, pronti a giudicare il Padre insieme con i figli.
Parla “male” del peccato chi non sa accostarsi al peccatore, con rispetto e benevolenza e offrire continuamente il perdono.
Il perdono precede la conversione, come ben ci mostra Luca. Il perdono che è ricerca e ritrovamento da parte del Signore – e di quanti il Signore ha unto per continuare la sua missione – di tutti coloro che a causa del peccato sono insoddisfatti e irrequieti.