Dal matrimonio alla civiltà dell’amore
Comunità delle Famiglie
Dal matrimonio alla civiltà dell’amore
18 gennaio 2015
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1. Trasformazione nello Spirito Santo
- Di Spirito Santo ne parla Giovanni il Battista: “Io vi ho battezzati con acqua, ma egli (riferendosi a Gesù, più forte di lui) vi battezzerà con lo Spirito Santo” (Mc 1,8): la vita cristiana è crescendo sinfonico di doni trasformanti
- Gesù si ricorda che deve essere ancora battezzato: “C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,50): la vita cristiana è anche ansia e angoscia per la fedeltà alla testimonianza
- Il Risorto “alita” lo Spirito Santo per la remissione dei peccati: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22): la vita cristiana è corresponsabilità nell’opera divina della bonificazione delle persone
- Il protagonista di ogni sacramento è lo Spirito Santo; con la preghiera chiamata “epiclesi” (invocazione) la Chiesa (anch’essa in qualche modo “sacramento”, cfr LG 1) invoca la presenza trasformante dello Spirito (sottolineo trasformante).
- Se il mio/nostro matrimonio non è un punto di arrivo, ma la “materia” che lo Spirito Santo trasforma, in cosa si deve trasformare il mio/nostro matrimonio?
2. Famiglia e civiltà dell’amore
- Matrimonio sacramento: non un fatto “privato” (riguarda solo noi due), ma un evento “pubblico” (ha una ricaduta benefica sull’intera società e dalla società deve trarre benefici)
- Vita coniugale: l’intimità ineffabile di due persone che si amano deve essere rispettata e protetta (fa parte della promessa dell’onore)
- Famiglia come progetto originario di Dio: in un certo senso il matrimonio è “funzionale” al conseguimento dell’obiettivo che Dio manifesta fin dalle origini, cioè di costruire un’umanità a immagine e somiglianza della Trinità (comunione, amore, compenetrazione, servizio)
- Famiglia quale cellula della civiltà dell’amore: il potere trasformante della famiglia si esercita nel de-romanticizzare il concetto di amore e nell’instaurare una “umanizzazione del mondo”
- La missione di rimettere il peccato: sostituire la tristezza, l’angoscia, la menzogna, la schiavitù con legami autentici e creativi
- Rinnovo delle promesse matrimoniali
a) Confessione della vita: ricordare, narrando, l’avventura che ha visto come protagonisti i fidanzati, gli sposi, i figli, il Signore…
b) Confessione della fede: riconoscere il primato di Dio, la sua opera, il suo disegno provvidente e misterioso
c) Confessione dei peccati: ammettere le proprie colpe e imperfezioni, verso Dio, verso se stessi, verso gli altri, verso il creato
d) Confessione della lode: ringraziare e lodare quanti ci hanno fatto del bene, sia Dio che le persone che ci amano, chiedendo loro di continuare a farlo
3. Testi
San Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie 2/2/1994 (Gratissimam sane, n 13)
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/documents/hf_jp-ii_let_02021994_families_it.html
Carissime famiglie, la questione della paternità e della maternità responsabili si inscrive nell’intera tematica della «civiltà dell’amore», di cui ora desidero parlarvi. Da quanto finora è stato detto risulta in modo chiaro che la famiglia sta alla base di quella che Paolo VI ha qualificato come «civiltà dell’amore», espressione entrata poi nell’insegnamento della Chiesa e diventata ormai familiare. Oggi è difficile pensare ad un intervento della Chiesa, oppure sulla Chiesa, che prescinda dal riferimento alla civiltà dell’amore. L’espressione si collega con la tradizione della «chiesa domestica» nel cristianesimo delle origini, ma possiede un preciso riferimento anche all’epoca contemporanea. Etimologicamente il termine «ci- viltà» deriva da «civis» – «cittadino», e sottolinea la dimensione politica dell’esistenza di ogni individuo. Il senso più profondo dell’espressione «civiltà» non è però soltanto politico, quanto piuttosto «umanistico». La civiltà appartiene alla storia dell’uomo, perché corrisponde alle sue esigenze spirituali e morali: creato ad immagine e somiglianza di Dio, egli ha ricevuto il mondo dalle mani del Creatore con l’impegno di plasmarlo a propria immagine e somiglianza. Proprio dall’adempimento di questo compito scaturisce la civiltà, che altro non è, in definitiva, se non l’«umanizzazione del mondo».
Civiltà dunque ha lo stesso significato, in certo modo, di «cultura». Si potrebbe perciò anche dire: «cultura dell’amore», pur essendo preferibile attenersi all’espressione diventata ormai familiare. La civiltà dell’amore, nel senso attuale del termine, si ispira alle parole della Costituzione conciliare Gaudium et spes: «Cristo… svela… pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». Si può perciò affermare che la civiltà dell’amore prende avvio dalla rivelazione di Dio che «è amore» come dice Giovanni (1 Gv 4, 8.16), ed è descritta efficacemente da Paolo nell’inno alla carità della Prima Lettera ai Corinti (1 Cor 13, 1-13). Tale civiltà è intimamente connessa con l’amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5) e cresce grazie alla costante coltivazione di cui parla, in modo così incisivo, l’allegoria evangelica della vite e dei tralci: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-2).
Alla luce di questi e di altri testi del Nuovo Testamento è possibile comprendere che cosa s’intende per «civiltà dell’amore», e perché la famiglia è organicamente unita con tale civiltà. Se prima «via della Chiesa» è la famiglia, occorre aggiungere che anche la civiltà dell’amore è «via della Chiesa», la quale cammina nel mondo e chiama su tale via le famiglie e le altre istituzioni sociali, nazionali e internazionali, a motivo proprio delle famiglie ed attraverso le famiglie. La famiglia infatti dipende per molteplici motivi dalla civiltà dell’amore, nella quale trova le ragioni del suo essere famiglia. E in pari tempo la famiglia è il centro e il cuore della civiltà dell’amore.
Vero amore, tuttavia, non c’è senza la consapevolezza che Dio «è Amore» – e che l’uomo è l’unica creatura in terra chiamata da Dio all’esistenza «per se stessa». L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio non può «ritrovarsi pienamente» se non attraverso il dono sincero di sé. Senza un tale concetto dell’uomo, della persona e della «comunione di persone» nella famiglia, non ci può essere la civiltà dell’amore; reciprocamente, senza la civiltà dell’amore è impossibile un tale concetto di persona e di comunione di persone. La famiglia costituisce la «cellula» fondamentale della società. Ma c’è bisogno di Cristo – «vite» dalla quale traggono linfa i «tralci» -, perché questa cellula non sia esposta alla minaccia di una specie di sradicamento culturale, che può venire sia dall’interno che dall’esterno. Infatti, se esiste da un lato la «civiltà dell’amore», permane dall’altro lato la possibilità di un’«anti-civiltà» distruttiva, com’è confermato oggi da tante tendenze e situazioni di fatto.
Chi può negare che la nostra sia un’epoca di grande crisi, che si esprime anzitutto come profonda «crisi della verità»? Crisi di verità significa, in primo luogo, crisi di concetti. I termini «amore», «libertà», «dono sincero», e perfino quelli di «persona», «diritti della persona», significano in realtà ciò che per loro natura contengono? Ecco perché si rivela tanto significativa ed importante per la Chiesa e per il mondo – prima di tutto nell’Occidente – l’Enciclica sullo «splendore della verità» (Veritatis splendor). Solo se la verità circa la libertà e la comunione delle persone nel matrimonio e nella famiglia riacquisterà il suo splendore, si avvierà veramente l’edificazione della civiltà dell’amore e sarà allora possibile parlare con efficacia – come fa il Concilio – di «valorizzazione della dignità del matrimonio e della famiglia».
Perché è così importante lo «splendore della verità»? Lo è, anzitutto, per contrasto: lo sviluppo della civiltà contemporanea è legato ad un progresso scientifico-tecnologico che si attua in modo spesso unilaterale, presentando di conseguenza caratteristiche puramente positivistiche. Il positivismo, come si sa, ha come suoi frutti l’agnosticismo in campo teorico e l’utilitarismo in campo pratico ed etico. Ai nostri tempi la storia in un certo senso si ripete. L’utilitarismo è una civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle «cose» e non delle «persone»; una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose. Nel contesto della civiltà del godimento, la donna può diventare per l’uomo un oggetto, i figli un ostacolo per i genitori, la famiglia un’istituzione ingombrante per la libertà dei membri che la compongono. Per convincersene, basta esaminare certi programmi di educazione sessuale, introdotti nelle scuole, spesso nonostante il parere contrario e le stesse proteste di molti genitori; oppure le tendenze abortiste, che cercano invano di nascondersi dietro il cosiddetto «diritto di scelta» («pro choice») da parte di ambedue i coniugi, e particolarmente da parte della donna. Sono soltanto due esempi tra i molti che si potrebbero ricordare.
È evidente che in una simile situazione culturale la famiglia non può non sentirsi minacciata, perché insidiata nelle sue stesse fondamenta. Quanto è contrario alla civiltà dell’amore è contrario all’intera verità sull’uomo e diventa per lui una minaccia: non gli permette di ritrovare se stesso e di sentirsi al sicuro come coniuge, come genitore, come figlio. Il cosiddetto «sesso sicuro», propagandato dalla «civiltà tecnica», è in realtà, sotto il profilo delle esigenze globali della persona, radicalmente non-sicuro, ed anzi gravemente pericoloso. La persona, infatti, vi si trova in pericolo, così come, a sua volta, in pericolo versa la famiglia. Qual è il pericolo? È la perdita della verità su se stessa, a cui si unisce il rischio di perdita della libertà e, conseguentemente, di perdita dello stesso amore. «Conoscerete la verità – dice Gesù – e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 32): la verità, soltanto la verità, vi preparerà ad un amore di cui si possa dire che è «bello».
La famiglia contemporanea, come quella di sempre, va in cerca del «bell’amore». Un amore non «bello», ossia ridotto a solo soddisfacimento della concupiscenza (cfr 1 Gv 2,16), o ad un reciproco «uso» dell’uomo e della donna, rende le persone schiave delle loro debolezze. Non portano a questa schiavitù certi moderni «programmi culturali»? Sono programmi che «giocano» sulle debolezze dell’uomo, rendendolo così sempre più debole ed indifeso.
La civiltà dell’amore richiama la gioia: gioia, tra l’altro, perché un uomo viene al mondo (cfr Gv 16, 21) e, conseguentemente, perché i coniugi diventano genitori. Civiltà dell’amore significa «compiacersi della verità» (cfr 1 Cor 13, 6). Ma una civiltà, ispirata ad una mentalità consumistica ed antinatalista, non è e non può essere mai una civiltà dell’amore. Se la famiglia è così importante per la civiltà dell’amore, lo è per la particolare vicinanza ed intensità dei legami che in essa si instaurano tra le persone e le generazioni. Essa tuttavia resta vulnerabile e può facilmente subire i pericoli che indeboliscono o addirittura distruggono la sua unità e stabilità. Per effetto di tali pericoli le famiglie cessano di testimoniare a favore della civiltà dell’amore e possono perfino diventarne la negazione, una specie di contro-testimonianza. Una famiglia sfasciata può, a sua volta, rafforzare una specifica forma di «anti-civiltà», distruggendo l’amore nei vari ambiti del suo esprimersi, con inevitabili ripercussioni sull’insieme della vita sociale.
4. Rinnovo delle promesse matrimoniali
Davanti alla comunità cristiana
riunita nella preghiera
noi [ NOME DELLA SPOSA / NOME DELLO SPOSO ]
ricordiamo il giorno nel quale per grazia di Dio
abbiamo sigillato il nostro amore
nel sacramento del matrimonio.
La distanza nel tempo non ha affievolito la grazia ricevuta ma,
nonostante le nostre imperfezioni,
ci ha resi maggiormente consapevoli delle promesse
che ci scambiammo allora.
Rinnoviamo perciò quest’oggi il nostro patto:
promettiamo di continuare ad amarci e onorarci,
di continuare a sostenerci a vicenda
nei momenti felici e in quelli più tristi e dolorosi,
di essere reciprocamente fedeli
e di voler collaborare con Dio nel dono della vita.
Promettiamo di aiutare ciascun membro della nostra famiglia
a realizzarsi e a perfezionarsi come persona umana
e a conoscere, amare, servire Dio e i fratelli.
A voi che ci ascoltate chiediamo di benedirci e
di accompagnarci con la vostra preghiera.