Umanità guarita
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Messa per gli infermi 2 settembre 2015
Orazioni
Colletta
O Dio, il tuo unico Figlio
ha preso su di sé la povertà e la debolezza di tutti gli uomini,
rivelando il valore misterioso della sofferenza,
benedici i nostri fratelli infermi,
perché tra le angustie e i dolori non si sentano soli,
ma uniti a Cristo, medico dei corpi e delle anime,
per la preghiera unanime della Chiesa,
godano della consolazione promessa agli afflitti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Sopra le offerte
O Dio, che vegli con amore di Padre
sulle vicende della nostra vita,
accogli i doni e le preghiere
che ti offriamo per i fratelli infermi,
perché sentano la continua presenza del Signore
che porta su di sé il dolore del mondo.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Prefazio
È veramente giusto lodarti e ringraziarti,
Padre santo, Dio onnipotente ed eterno,
in ogni momento della nostra vita,
nella salute e nella malattia
nella sofferenza e nella gioia,
per Cristo tuo servo e nostro Redentore.
Nella sua vita mortale
passò beneficando e sanando tutti coloro
che erano prigionieri del male.
Ancor oggi come buon samaritano
viene accanto ad ogni uomo
piagato nel corpo e nello spirito
e versa sulle sue ferite
l’olio della consolazione
e il vino della speranza.
Per questo dono della tua grazia,
anche la notte del dolore
si apre alla luce pasquale
del tuo Figlio crocifisso e risorto.
E noi,
insieme agli angeli e ai santi,
cantiamo con voce incessantemente
l’inno della tua gloria.
Dopo la comunione
O Dio, provvido rifugio dei sofferenti,
che in questo pane eucaristico
ci hai dato il pegno della vita immortale,
manifesta la tua paterna bontà
verso i nostri fratelli infermi,
perché, animati dalla speranza che non delude,
sperimentino la forza consolatrice del tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.
Omelia 2 settembre 2015
Col 1,1-8
Salmo 51
Lc 4,38-44
Le due letture che la liturgia ci fa ascoltare oggi si inseriscono bene nella cornice degli Esercizi che stiamo svolgendo, momento di preghiera, di meditazione, di riflessione e di conversione.
Con la lettera di San Paolo agli abitanti di Colosse viene presentata una comunità cristiana, che fin dal saluto rivoltole dall’apostolo riceve buona testimonianza. L’apostolo ne ha sentito parlare dal suo amico e confratello Epafra e ne ha sentito parlare bene. Possimo immaginare che si trattasse di una piccola comunità, come allora era possibile che fossero. Del resto Gesù aveva iniziato la sua attività coinvolgendo solo dodici persone. Siamo certi che ad Efeso non fossero più di una ventina, possiamo ritenere che anche Colosse si muovesse su piccoli numeri.
Il numero esiguo (il “piccolo gregge”) non ha mai spaventato il Signore né la consapevolezza della Chiesa. Interessante invece che la comunità di Colosse, quanto grande essa fosse in realtà, abbia ricevuto buone referenze. È una comunità solida, proiettata fuori d sé, non ripiegata su se stessa, pronta ad annunciare il vangelo. Da essa dobbiamo imparare a non aver timore se vediamo comunità cristiane numericamente piccole; piuttosto i credenti si devono specializzare in un’alleanza feconda con il Signore per portare la buona notizia del suo Regno ad ogni creatura. Come Colosse, crescere nella fede in Gesù, nella carità verso tutti i santi, nella speranza dei cieli, per far sviluppare il vangelo in tutto il mondo.
La pagina di vangelo ci riporta alle origini dell’attività divulgativa di Gesù. Egli accompagna le parole (poche) con le opere (tante), in particolare con guarigioni dalle malattie e liberazioni dal demonio. La buona notizia alle sue radici è rivolta ai malati e ai peccatori. Ancora oggi se una comunità cristiana dovesse chiedersi da dove cominciare, o da dove ricominciare, dovrebbe dare uno sguardo al comportamento di Gesù e ripetere rendendoli attuali i suoi gesti.
Gesù si rivolge a malati e peccatori perché sono i più deboli. La malattia che rende l’uomo bisognoso di accudimento, di tutto, la vecchiaia e l’invecchiamento che vedono declinare le forze, la lucidità, gli interessi, a volte sono anche fonte di tristezza, di ribellione, di rifiuto. L’uomo peccatore – di cui gli indemoniati evangelici sono un richiamo drammatico – manca di libertà, da una parte “posseduto” invece di essere padrone di sé, da un’altra “maltrattato” invece di veder realizzare le promesse di piacere e di soddisfazione del tentatore. Gesù inizia il suo ministero da queste due categorie di persone, preferendo la debolezza e la solitudine agli onori e alle folle.
Entrando in contatto con loro guarisce e libera. Non so se noi saremmo in grado di fare lo stesso. Possiamo senza dubbio imitare Gesù che si rivolge a malati e peccatori, ma in che modo potremmo imitarlo nel suo gesto di guarigione e liberazione? Io penso che la guarigione che ci viene richiesto di attuare sia una guarigione profonda, dell’anima, a livello della nostra umanità.
L’ho imparato da un primario conosciuto tempo fa, che mi raccontava come nel suo reparto fossero ricoverate persone che in molti casi erano in fin di vita e a volte non potevano nemmeno esprimersi, parlare. Lui, che pure non era molto credente, aveva capito come dialogare con queste persone: stringendo loro la mano. Stando loro vicine e accompagnandole con un gesto semplice di umanità: nella loro sofferenza, soprattutto consapevole della vita allo stadio terminale, la mano di una persona amica e vicina dice tutto il senso di una umanità guarita, che si fa prossima, che non abbandona, che veglia e soffre insieme.
Al Signore quest’oggi chiediamo di darci un cuore generoso e dilatato nell’accoglienza dei più deboli, degli ultimi. Dobbiamo imparare da lui a farci prossimo, soprattutto dei malati e dei peccatori, di coloro che sono ai margini dell’ideale di società che i sani e i giusti hanno costruito. Il Signore ci faccia crescere in umanità per essere testimoni credibili del vangelo.