Lo Stato 2.0
Sta succedendo. Mi hanno raccontato ieri come funziona. Semplicissimo.
Gli abitanti di un quartiere, di una zona, di un vicinato creano un gruppo su WhatsApp. Di quando in quando qualcuno si avvede di qualcosa sospetto. Un’ombra furtiva. Un gruppetto anomalo. Un tizio che scavalca un muro. Un lavoro di escavazione in orario non consono. E parte la segnalazione via chat.
Nel giro di 10 minuti arrivano le automobili, piene di uomini agguerriti. Circondano, chiedono spiegazioni convincenti, vagliano la situazione e se del caso puniscono. Botte da orbi. Fino al sangue.
Talora, non sempre, anzi quasi mai, i malcapitati riescono a chiamare le forze dell’ordine. Che, intervenute sul luogo coi loro tempi, fanno quel che possono: identificano qualcuno, soccorrono, disperdono. Nel frattempo giustizia è fatta.
E da alcune zone della Capitale mi giunge voce che è drasticamente calata la microcriminalità, quella fastidiosa, quella dei furti dei cavi di rame e delle grondaie, quella delle macchine spaccate e dei serbatoi trafugati, quella dei miniborseggi, quella che manco più vai in Questura a denunciare, tanto i poliziotti li arrestano e in 24 ore i giudici li rimettono in libertà e poi prova a farli tornare in tribunale per il processo. Da alcune zone della Capitale mi giunge voce che persino le forze dell’ordine ormai consigliano sane, paterne, amichevoli lezioni di socialità a chi mostra difficoltà con la convivenza civile.
Se questo modello si va diffondendo, come temo, qualche domanda è ora di farsela.
Innegabile: laddove uno stato di diritto fatica ad assicurare la giustizia e la salvaguardia dei suoi cittadini, i cittadini sono legittimati a difendersi.
Ma proprio questo fa questione: come mai si sta tornando alla giustizia sommaria? Ai muri e al filo spinato? Alle clave e alle pietre? Perché uno stato funziona meno bene dei suoi cittadini associati? Perché le regole e il loro rispetto sembra che siano incommensurabilmente più lenti e meno efficaci della giustizia-fai-da-te?
Stiamo entrando nel modello di stato 2.0? Quello presagito dalle paure di un film come “La notte dei morti viventi” (1968) o quello dei terroristi suicidi e dei cannibali di “1997: Fuga da New York” (1981)? Lo stato della società corrotta di “Fuga da Absolom” (1994) oppure delle fortificazioni per ricchi ne “La terra dei morti viventi” (2005)? O lo stato che assicura la sua stabilità attraverso “lo sfogo” come nel film “Anarchia – La notte del giudizio” (2014)?
Di sicuro qui non siamo nella finzione cinematografica. E mentre c’è chi si balocca con ministri dimissionari e con porporati di ampia metratura, nuove mafie crescono.