Modelli di famiglia. Una tweetstory come spunto di riflessione

Tutto comincia dal tweet di don Dino. È stimolante e rispondo.


Risponde anche Paolo. Uno stimolo a precisare il mio pensiero.


Secondo me la piega dell’ideologia va interpretata. In effetti non esiste una famiglia tradizionale tout court, come ampiamente dimostrato dall’antropologo Levi-Strauss. Persino tentare un’analogia tra modelli diversi di famiglia potrebbe risultare gravoso, in assenza di un chiaro analogatum princeps. Il concetto fondamentale da tenere presente invece è quello di comunità umana, come ben dimostra la lex orandi della Chiesa: “O Dio, in te, la donna e l’uomo si uniscono, e la prima comunità umana, la famiglia, riceve in dono quella benedizione che nulla poté cancellare, né il peccato originale né le acque del diluvio” (cfr Liturgia del Matrimonio, prima preghiera di benedizione degli sposi).

Nel considerare il concetto di famiglia si devono tenere in debito conto le conclusioni delle scienze biologiche e umane. Ne era ben consapevole il Concilio Vaticano II quando, con la Gaudium et Spes, invitò a ricercarne il contributo: “Gli esperti nelle scienze, soprattutto biologiche, mediche, sociali e psicologiche, possono portare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia” (GS 52). Tale contributo non perviene con apodittica certezza a determinare che i fondamenti della famiglia siano rintracciabili negli aspetti biologici o psicologici.

Del resto è ambiguo anche confinare un tema di carattere universale, come quello della famiglia, entro categorie, persino religiose, che non siano plastiche e rinnovabili. Questa acquisizione fa parte della consapevolezza del Concilio, che invita i cristiani a collaborare con tutti gli uomini di buona volontà: “I cristiani, bene utilizzando il tempo presente e distinguendo le realtà permanenti dalle forme mutevoli, si adoperino per sviluppare diligentemente i valori del matrimonio e della famiglia; lo faranno tanto con la testimonianza della propria vita, quanto con un’azione concorde con gli uomini di buona volontà” (GS 52; il grassetto è mio).


Sul terreno etico è quindi necessario ricercare una corretta convergenza tra diverse forme applicative dei modelli di famiglia. Rifiutando di cadere nella trappola della “famiglia ideale“, che non esiste! E contemporaneamente contestualizzando in modo sempre più incarnato la volontà del Creatore, che cioè tutte le persone umane possano realizzare la felicità, in ogni condizione di vita.

Per chi fosse ancora abituato a ragionare in termini di europacentrismo etnico, geografico, culturale, religioso è consigliato osservare la differenza tra il planisfero della proiezione di Gall-Peters (in verde) e il planisfero della proiezione di Mercatore (in azzurro). Quest’ultima – universalmente nota e tra le più usate al mondo – molto utile alla navigazione, ma molto distorsiva della verità geografica, meglio rappresentata invece della prima delle due. E – involontariamente, indirettamente – molto distorsiva della verità antropologica. Ciò che per un europeo è il sud del mondo, in realtà è un enorme crogiuolo di culture, religioni, tradizioni refrattarie ad essere misurate da categorie del Vecchio Continente diventate troppo anguste. Mentre l’Europa invecchia e muore (unico continente a perdere popolazione e cristiani) si affaccia una novità ineludibile: gli europei non hanno più forze culturali, economiche, sociali da imporre come standard e devono imparare a convivere con standard diversi, a volte modelli più vincenti dei loro.

Il medioevo europeo fu un periodo di grandi ispirazioni, molte delle quali si devono esattamente ai monaci (come per esempio l’invenzione del Parmigiano Reggiano). È stato Jean Leclercq (I monaci e il matrimonio. Un’indagine sul XII secolo, SEI, Torino 1984) a mettere in luce il ruolo rivestito dal monachesimo nell’affinare il concetto di matrimonio per amore, rifiutando per esempio forme di matrimonio combinato e di matrimonio per interesse che non solo mortificavano il significato del matrimonio ma rendevano più infelici le unioni e le famiglie. Insomma è ingiusto negare il contributo del cristianesimo all’evoluzione di un modello familiare che fosse rispettoso delle persone e dei ruoli e puntasse alla qualità delle relazioni e alla realizzazione della felicità dei membri della famiglia. Semmai il dubbio dovrebbe sorgere intorno al perché oggi si rifiuta la bontà di certe ispirazioni. Non del Parmigiano Reggiano – dico – che piace a tutti, ma di un modello matrimoniale e familiare che sembra aver perso il suo mordente. Di sicuro non c’è bisogno della fede cristiana per ammettere che il Parmigiano Reggiano è un formaggio molto buono e che il modello matrimoniale/familiare ispirato dalla fede cristiana è uno tra i più avanzati. Per quanto gli altri modelli matrimoniali e familiari si possano considerare tali anche senza ricorso alla religione (come del resto pure formaggi diversi dal Parmigiano Reggiano…).


La linea del Concilio Vaticano II si ispira ad una intuizione centrale: la Chiesa (la sua natura di popolo di Dio, la sua missione che prosegue l’opera del Messia) è quasi un sacramento dell’unione dell’umanità con Dio e delle persone umane tra loro (cfr Lumen Gentium 1). Perciò anche la famiglia cristiana (il ricorso all’aggettivo dimostra l’esigenza di qualificare ulteriormente il concetto universale espresso dal sostantivo) appartiene al genere del sacramento: nata dal matrimonio, essa è manifestazione della presenza e dell’opera del Salvatore e della natura della Chiesa. Il suo ruolo di famiglia non si esaurisce in una relazione interna ma partecipa alla missione della Chiesa, che è la stessa di Cristo, ed è quindi proiettata in uscita, fuori di sé, nel mondo da amare “al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio” (GS 92).


La famiglia è la prima forma di comunità umana, che realizza almeno in embrione la volontà di Dio (l’intima unione delle persone umane tra di loro). In questo senso è compito di tutti fare in modo che il bene insito in ogni forma di comunità umana non sia disperso, ma anzi venga valorizzato e accresciuto. Il riconoscimento giuridico di talune realtà familiari o comunque la loro protezione da parte della società non mette in crisi il valore religioso della “famiglia cristiana” più di quanto dovrebbe metterlo in crisi consentire che una comunità umana venga privata di elementi essenziali alla sua espressione. La tensione alla perfezione non impedisce di accettare il principio di progressività nella formazione della coscienza personale, come parimenti può diventare stimolo di crescita sociale nella misura in cui il bene, per quanto piccolo, ovunque praticato non venga mortificato.

La domanda aperta rivolta oltre che ai credenti anche a tutti gli uomini di buona volontà resta ancora in piedi: cosa sta tramontando del modello di famiglia proposto e abbracciato dal cristianesimo? Quali sono gli “elementi mutevoli” che si possono tranquillamente abbandonare senza con ciò rinunciare alle finalità religiose della famiglia? E in che modo la famiglia cristiana è ancora di aiuto, di servizio, è sacramento per la realizzazione di una umanità redenta?

La dimostrazione di quanta fatica faccia oggi la Chiesa nello sforzarsi di capire e di adattare ai tempi il messaggio evangelico è data dalla polemica interminabile che è scoppiata attorno ad un tema importante sì, ma non prioritario: quello della comunione ai divorziati. Come se tutto ciò che la Chiesa avesse da dire a proposito della famiglia e della comunità umana si riducesse ad un problematico dibattito interno sulla disciplina dei sacramenti. Non stupisce perciò che – esprimano posizioni a favore o contro qualcosa – credenti e non credenti trovino sempre meno allettante e applicabile un modello di famiglia percepito come cristianamente distante e umanamente sterile. Se soluzioni facili e alla portata di mano sembrano non esservi, non sarà certo il concentrarsi sulle questioni secondarie a renderle possibili… Dum Romae consulitur

C’è un’aggiuntina, a tutto questo. Il processo in atto ormai da diversi decenni – una sorta di demitizzazione della famiglia, con conseguenti schieramenti pro e contro la “famiglia tradizionale” – non presenta solo lati oscuri e ostili alla visione cristiana. In linea di principio qualsiasi purificazione storica dei valori, delle scelte etiche, del vissuto umano non può che essere accolta come un grande vantaggio nel cammino di crescita dell’umanità, e quindi della chiesa.

La comunità cristiana dovrebbe essere contenta se vengono smontate certe striscianti ipocrisie, certi comportamenti comunemente coperti da tacito consenso pur essendo in pieno contrasto con il rispetto delle persone umane: la violenza tra le mura domestiche, il tradimento, l’egoismo solo per citare qualche esempio. Nessuno ad alta voce approverebbe l’idea di riconoscere la “famiglia tradizionale” o la “famiglia cristiana” in certe concrete attuazioni.

Sono sicuro che farà molto bene anche alle “famiglie cristiane” confrontarsi con modelli diversi dal proprio, di sicuro abbandonando – ove vi sia – la presunzione della propria superiorità e accettando – quando necessario e opportuno – la correzione delle inevitabili storture umane.

Tutto lasciandosi condurre da uno spirito di dialogo e condivisione dei valori: “stay human” (Vittorio Arrigoni).