L’Italia chiamò… Ovvero, la politica e la rivoluzione

Ho letto il post di Massimo Fontana su Facebook sollecitato da un amico. In sintesi, si tratta della rilettura degli eventi contemporanei alla luce del background economico alla base della Rivoluzione Francese nonché degli errori successivi.

In realtà, con le elezioni italiane del 4 marzo e la successiva formazione del governo, la sensazione che ho io è la seguente: i populisti peppo-ruspisti sono l’ultimo argine verso forme di rivolta popolare che serpeggiano preoccupanti. Non è per nulla simpatico sentir rispondere alle mie obiezioni sui metodi e sulle attitudini “rivoluzionarie” dell’attuale compagine governativa: “Magari venisse la rivoluzione! Magari si rompesse tutto! Dopo possiamo ricominciare…

È quasi certo che questi signori faranno tanti danni, più dei benefici che promettono, ma rappresentano lo sfogatoio di una classe media che si è vista impoverire e svuotare del suo elementare diritto di sopravvivere col suo onesto (…) lavoro, senza doversi preoccupare troppo di tasse, tributi, accise e imposte che erodono la sua capacità di spesa e di confidenza nel futuro.

Ora c’è da sperare:
▫o che falliscano, per i più aperti al cambiamento rivoluzionario con torce e forconi
▫o che vincano, per i più restii allo spargimento di sangue e alle lotte intestine

In realtà nessuna di queste due soluzioni è priva di “violenza“. Sarà da capire quale dose di violenza è in grado di accettare il “popolo“, fin dove tollererà di sentirsi soffocato in qualche modo.

In tutto questo brilla l’assenza di una opposizione autorevole e credibile. Non dico forte, per non correre il rischio di essere equivocato. Né da sinistra né da destra.

Troppo frammentata e deprivata di autorevolezza presso quella classe media e operaia che sarebbe la sua naturale ragione politica, la sinistra ha giocato le sue ultime carte con Renzi, al quale vanno riconosciuti tanti meriti, che però nella sostanza si è mostrato incapace di amministrare il suo personale patrimonio politico. Forse troppo personalizzato e legato a un carattere borioso e spaccone che mal si addice all’anima dell’aspirante statista.

La destra sociale ha fallito la sua unica opportunità di dimostrare di aver rotto col passato mussoliniano. Troppa contiguità con le nostalgie del Ventennio la penalizzano di fronte ad un elettorato che pur simpatizzerebbe ma vorrebbe comunque una chiara e definitiva condanna dell’interpretazione fascista di destra sociale.

Si apre poi il capitolo sui liberali. Troppo chic per qualsiasi rivoluzione, i liberali (saldamente abbracciati ai radicali tanto da potersi ribattezzare radical-liberali) finiscono per essere interpretati quali difensori degli interessi forti, quelle banche che stritolano il ceto medio e operaio, quegli imprenditori che delocalizzano e licenziano. O assumono a stipendi da fame. La debolezza dei radical-liberali è intrinseca alla loro natura elitaria.

Se si volesse prevedere qualcosa sugli sviluppi futuri a partire dai dati a disposizione bisognerebbe avere una sfera di cristallo. Perciò sono più propenso a sostenere la tesi di chi dice: lasciamoli lavorare. E non per sfida o ammiccando. Sul serio!

Anzitutto ho la certezza che sì i mercati temano gli antieuristi, ma anche che i mercati seguano i soldi. Se i peppo-ruspisti sono furbi sapranno pure vendersi bene e i mercati non si faranno pregare.

Poi direi che la grande incognita sono le persone. Il governo logora chi non ce l’ha, ma il sistema (il potere, i soldi…) stritolano chi vi sta dentro. Come reagiranno al sistema quattro sprovveduti, fino a ieri arruffapopolo e fancazzisti? Sapranno resistere alle sirene delle piaggerie? O davvero la responsabilità fa maturare gli immaturi?

Infine: le opposizioni (sinistra, destra, radical-liberali) troveranno la quadra interna per avere il coraggio e la forza di azioni politiche?

Far parte di un gruppo che autoalimenta le proprie convinzioni sapendo peraltro di aver ragione è sterile se non in vista di un concreto contributo alla vita politica e sociale.

Gettarsi nell’agone vuol dire esporsi, prendere posizione. Fino a non molto tempo fa era toccato a giglio magico & C. prendersi oneri ed onori, ora ai peppo-ruspisti.

Sarebbe molto interessante se qualche opposizione, con strumenti democratici e per nulla elitari come i dibattiti, i circoli, gli incontri nei bar torrefazione (!) ritrovasse con la base elettorale quel filo di collegamento intelligente e cordiale che è stato perso. Come metodo.

Come contenuto, sarà davvero importante ricucire lo strappo con l’UE dei burocrati per indurre, dal di dentro, una riforma sostanziale delle istituzioni europee alla luce di una rinnovata visione di Europa. Nulla vieta che si giunga agli Stati Uniti d’Europa, ma allora moneta federale e debito federale dovranno andare insieme; il Parlamento europeo dovrà avere maggiore autorità e fare da contrappeso a una Commissione che governi realmente; il diritto di veto o l’unanimità delle decisioni del Consiglio europeo dovrebbero essere un lontano ricordo, ammesso che vi fosse ancora bisogno del Consiglio europeo… E la Costituzione europea? Dov’è? Perché è bloccata l’integrazione di tutti gli altri Stati a causa della mancata ratifica solo di due (Francia e Paesi Bassi)?

Per tutti poi l’obbligo di non dimenticare che

Il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni

Sir Winston Churchill