Opzione speranza
Articolo scritto per il Bollettino della Postulazione delle Figlie della Chiesa
Si avvicina il Natale e vorrei riflettere sulla speranza cercando di evitare qualche luogo comune per coglierne l’aspetto più propriamente teologale. Perché la speranza di cui parliamo è anzitutto una virtù e una virtù teologale. San Tommaso sosteneva che Cristo non avesse la virtù della speranza in senso proprio ma solo per alcuni beni che ancora non aveva conseguiti: per esempio l’immortalità e la gloria del corpo (S. Th. III, q. 7 art. 4). La speranza teologale, che ha per oggetto il godimento di Dio, è una virtù tipica del credente, creatura umana nella sua imperfezione e nel suo senso di attesa per qualcosa che ancora non possiede.
La natura virtuosa della speranza non toglie nulla alla libertà di chi l’abbraccia. La speranza teologale si può considerare un dono e al tempo stesso una scelta. Sia da parte di Dio, che sceglie, sia da parte di chi è scelto da lui per ricevere il dono. È come se ciascun credente con la sua risposta libera dovesse quotidianamente rinnovare la decisione di accettare il dono e di fruirne per orientare la sua esistenza. Questo comportamento costituisce l’opzione speranza.
Il tempo liturgico dell’Avvento seguito dal tempo liturgico del Natale sono da ritenersi giustamente i periodi dell’anno nei quali la comunità dei credenti insieme rinnova la sua opzione speranza attraverso simboli e memoria di eventi carichi di significato. Accanto ai simboli naturali (il graduale e sensibile accorciamento delle giornate fino al solstizio d’inverno, le temperature rigide con la quiescenza della flora e della fauna, il bisogno di maggior calore, la tendenza a soffrire di dolori articolari e di malattie da raffreddamento) si collocano le liturgie che restituiscono parole profetiche e visione apocalittiche e le feste legate alla nascita, alla maternità, alla famiglia. L’opzione speranza natalizia della Chiesa è quella che a partire dalla memoria del passato consente di guardare con fiducia il futuro e annunciare ad ogni persona la prossimità di Dio in Cristo.
Tutto il tempo di Avvento-Natale gravita attorno al mistero dell’incarnazione: “Il Verbo si è fatto carne” scrive l’evangelista. Si potrebbe quasi dire che attraverso l’incarnazione Dio esprima la sua particolare opzione speranza. È vero che non ha senso per Cristo parlare di speranza in relazione al godimento di Dio. Ma nell’incarnazione si rivela in modo compiuto il desiderio, l’attesa trinitaria di godere dell’umanità. Infatti se la speranza teologale del credente è quella di poter godere di Dio, la speranza teologale di Dio è quella di poter godere dell’uomo. Della sua amicizia, della sua prossimità, dei suoi umori cangianti, della sua fragilità, della sua creatività, della sua crescita, della sua vita. “E venne ad abitare in mezzo a noi”.
Mentre l’incarnazione però è un evento ormai concluso e quindi non ricade più nell’orizzonte della speranza, l’opzione speranza di Dio si distingue per l’attesa di un evento non ancora compiutamente realizzato in relazione a ciascuna persona umana. Il poeta Dante, autore della Divina Commedia, inventa un verbo (Paradiso IV, 28) che poi fu ripreso anche da altri poeti, come Leopardi (I Canti, XVIII – Alla sua donna) e Carducci (Levia Gravia, VIII – I poeti di parte bianca). È il verbo indiarsi, poeticamente utile per esprimere l’altro versante dell’incarnazione, cioè dell’evento di Dio che si fa uomo, quello dell’uomo che si fa Dio, che appunto si india. L’opzione speranza di Dio, quell’insieme di scelte divine, di propositi trinitari, di comportamenti trascendenti orientato alla salvezza dell’uomo, è finalizzata all’indiazione di ogni creatura umana perché, esattamente come la creatura umana aspira a godere del suo Creatore, anche Dio aspira a godere di ogni creatura umana.
Il Natale del Signore perciò è festa di speranza, sia per noi creature umane sia per Dio, nostro Creatore. L’augurio dunque è di rallegrarci dell’incarnazione del Signore e al tempo stesso di rendere più forte l’opzione speranza, nostra e di Dio.