11 dic 18 – Indole escatologica della chiesa

La Comunità delle Suore Figlie della Chiesa “Mater Unitatis” mi ha chiesto di guidare la preghiera serale presso la Chiesa di Santa Maria in Via Lata. In precedenza, per circa 50 anni la presidenza della preghiera è stata mantenuta dal servita padre Ermanno Toniolo, uno dei più grandi studiosi di mariologia viventi.

A partire dall’11 dicembre 2018 due volte a settimana (tranne in tempi particolari, come le Novene dell’Immacolata e di Natale, la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani e la settimana di Pasqua) prevedo di ispirare la preghiera all’Ufficio delle Letture del giorno corrente e di offrire una riflessione catechetica sulla natura e sulla missione della Chiesa alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II.

Inoltre prevedo di pubblicare sul mio blog un testo che raccolga il contenuto di ciascuna catechesi, corredato dalla fonte commentata.

Un grande ringraziamento a padre Ermanno per il servizio sapiente e illuminato svolto da lui durante questi dieci lustri. Soprattutto un cordiale e riconoscente pensiero alle Figlie della Chiesa e alla loro superiora, suor Rita Andreatta, per la fiducia che hanno riposto in me nell’affidarmi il delicato compito di proseguire il cammino così autorevolmente segnato.


Testo: Lumen Gentium 48

Ringrazio anzitutto Suor Rita delle parole che ha detto nella presentazione. Con Suor Rita ci conosciamo da tanti anni e quindi è sorella e amica. Ritengo che essere accolto qui, nella Chiesa di Santa Maria in Via Lata, grazie a lei e da voi per la preghiera della sera sia un altro dei grandi regali ricevuti dal Signore.

Vi ha detto che mi chiamo don Ugo e che sono prete della Diocesi di Roma, ma non vi ha detto che tra i regali che il Signore mi ha fatto c’è quello di essere Cappellano di una Struttura Residenziale Psichiatrica. Lavoro quindi con le persone con disagio psichico e con il personale che se ne occupa; la Chiesa richiede giustamente che il servizio in favore dei malati e degli infermi non escluda nessun genere di malattie.

Per il resto la Chiesa non mi ha fatto mancare guai. Diciamo che quando il Signore fa qualche regalo poi ci pensa la Chiesa a farlo scontare…

Proprio della Chiesa vorrei, insieme con voi, riflettere stasera. Anzi la mia intenzione è quella di lasciarci accompagnare anche in futuro dalla riflessione sulla Chiesa. Posso assicurare che questo inizio di ministero con la presenza mia tra voi è stato deciso non tanto a tavolino, o meglio non tanto scegliendo il giorno in base al contenuto delle letture dell’Ufficio. Provvidenzialmente si tratta proprio di una lettura tratta dalla Lumen Gentium.

Tra i documenti conciliari la Lumen Gentium è fondamentale. L’intero Concilio Vaticano II tutto sommato aveva come scopo quello di chiedersi: “Tu, Chiesa, che dici di te stessa? Chi sei?” (1). La risposta a questa domanda si trova esattamente in questo documento: Lumen Gentium, che infatti riguarda la natura e la missione della Chiesa.

Non deve sembrare così peregrino, quasi strano domandarsi ancora oggi chi sia la Chiesa, anche se sembra di conoscerla bene. Se andando un pochino a graffiare il primo strato superficiale di conoscenze che possediamo ci rendiamo conto che la Chiesa non è semplicemente quella somma di persone che fanno un servizio – le suore, i preti, i capi, i vescovi – o la somma di certe ritualità – i sacramenti, le celebrazioni – dobbiamo riconoscere di dover approfondire meglio la conoscenza della Chiesa, la quale è qualche cosa di più di tutto questo.

Il capitolo 48 della Lumen Gentium appena ascoltato, con un salto di diversi capitoli ci porta subito alla natura escatologica della Chiesa. “Escatologica” pare una parola difficile, ma significa semplicemente ciò che fa riferimento alle “cose ultime”. E, tra le cose ultime, la fine del mondo.

La natura della Chiesa è “escatologica” perché la Chiesa ha a che fare con la fine di tutte le cose. Non è proprio la cosa più insignificante di questo mondo. La Chiesa ha a che fare con le ultime cose, ha a che fare proprio con quello che uno vede lontano e magari si augura anche che sia lontano, certamente è lontano, ma comunque arriverà. Noi infatti non conosciamo un processo fisico, non conosciamo una realtà di questo mondo infinita ed eterna. Non la conosciamo perché non c’è. E quindi anche questo mondo bellissimo, anche questa chiesa bellissima, un giorno non ci saranno più. Ma la Chiesa ha a che fare esattamente con queste ultime cose.

Del brano che abbiamo ascoltato evidenziamo tre punti. Il primo punto è quello della santità. I padri conciliari ne parlano all’inizio e verso la fine del brano. All’inizio dicono che nella Chiesa per grazia di Dio “acquistiamo la santità”. Non conosco il nome di tutti i presenti, ma penso che un giorno nelle litanie dei santi dovranno essere ricordati anche loro, perché tutti dobbiamo diventare santi.

Verso la fine del brano i padri parlano della santità della Chiesa e la definiscono “imperfetta”. C’è una prima grande verità che emerge dal Concilio Vaticano II. Quell’idea anche un po’ barocca di Chiesa trionfante, piena di ori, piena di stucchi, di questa Chiesa, dobbiamo essere un pochino umili, tutti, me per primo, e riconoscere che questa santità che la Chiesa manifesta è imperfetta. La misura della perfezione sapete qual è? Le ultime cose.

Infatti quando io guardo verso le ultime cose e scorgo il Paradiso, mi rendo conto che la santità che c’è qui è imperfetta. Quando guardo verso le ultime cose e dico: “Un giorno mi toccherà morire” – è vero, tocca a tutti – e poi guardo al presente, dico: “Bè, sì, questa santità è imperfetta. Devo diventare migliore”. Quando penso alla possibilità di un giudizio, vale a dire che qualcuno dica: “Ugo, ma come ti sei comportato? Come mai quella cosa, Ugo?”, quella santità del presente viene giudicata imperfetta. L’escatologia ci aiuta a vivere il presente. Per questo la Chiesa ha una natura escatologica, perché la Chiesa ci aiuta a vivere l’oggi guardando con un occhio, un po’ strabico, alle ultime cose e dicendo: “Quando arriveranno le ultime cose, come vorresti essere? Bè, allora comincia subito ad essere santo”. Questo pensiero ci aiuta ad essere umili nelle situazioni direi più quotidiane, a non montarci la testa, e a non far sembrare gli orpelli esteriori più preziosi di quello che realmente valgono.

C’è un secondo punto molto interessante in questo capitolo 48, cioè quando i padri conciliari presentano il discorso sulla relazione tra Cristo e la Chiesa: Cristo che ha voluto la Chiesa come suo corpo, che l’ha riempita del suo Spirito Santo, che l’ha inviata per una missione. Ecco: inviata per una missione. Torniamo sempre discepoli, ripetiamoci sempre le domande giuste: qual è la missione di questa Chiesa? I padri lo dicono molto esplicitamente: prolungare nel tempo l’opera della salvezza attuata da Gesù. Proseguire nel tempo l’opera della salvezza di Gesù. L’opera della salvezza di Gesù non è completa, non è stata terminata. Quando sarà terminata l’opera della salvezza di Gesù? Le ultime cose… alla fine, allora sarà terminata. Ma adesso no, non è stata ancora terminata. Chi terminerà quindi l’opera di salvezza di Gesù? Gesù ha fatto una scelta, che non so quanto sia chiara per ciascuno di noi… se questa sera ci rendessimo conto del significato di questa scelta fatta da Gesù e delle sue implicazioni potremmo davvero dire di aver compreso la Chiesa, la sua missione, la nostra missione… Gesù ha scelto questo: tornando al Padre lasciare che fosse la Chiesa a completare la sua opera di salvezza. E se non lo fa la Chiesa? Mica lo so, chi può farlo. Non lo so. Perché Gesù ha lasciato alla Chiesa questo compito. Lo ha lasciato alla Chiesa. Non ha detto: “Guarda, tu fai. Se non ci riesci vengo io”. No, no. Ha detto: “Io salgo al Padre, vi invio, andate, predicate il vangelo a ogni creatura, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, guarite i malati, sanate i lebbrosi, risuscitate i morti”. Lo ha detto alla Chiesa. Poi è andato. Il Capo asceso al cielo non ha lasciato solo il suo Corpo, ma è il suo Corpo che nel tempo prosegue questa opera di salvezza.

Sulle nostre spalle è posta una grande responsabilità. Sapete che noi non abbiamo il compito di salvarci. Quello non lo abbiamo noi. Per quanto sembra che i padri conciliari in questo capitolo dicano il contrario (“nella Chiesa… realizziamo la nostra salvezza“), il senso deve essere esplorato in armonia con l’intero documento. La nostra salvezza è già iniziata, ed è Cristo (“la promessa restaurazione, che attendiamo, ha già avuto inizio in Cristo“). Noi abbiamo ora la missione di continuare l’opera di Cristo. Cosa ha fatto Cristo? Ha puntato il dito contro tutti i peccatori? No. Ha cominciato a scegliere e condannare le persone: “Tu salvato e tu dannato”? No. Ha forse detto: “Caricatevi di tutti i pesi, di tutte le cose…”? No. Ha forse abolito la legge antica e ha ordinato: “Fate le leggi della Chiesa, in cambio”? No, non lo ha detto, per l’esattezza. Quanta conversione ancora da fare, quanta strada per assomigliare un pochino di più a Cristo e continuare la sua opera di salvezza! Quanta strada ancora!

Il terzo punto. Nel parlare dell’escatologia i padri conciliari ovviamente ci fanno alzare gli occhi verso il futuro. Ma verso quel futuro cosa portiamo? Salvo miglior giudizio, per la prima volta in maniera esplicita un Concilio Ecumenico dichiara in modo chiaro e inequivocabile che verso quel futuro non andiamo solo noi come spiriti eterei ma si dirige tutto il genere umano insieme al creato. Il creato. In questo capitolo, in maniera autorevole, i padri conciliari dicono che l’intera creazione è chiamata ad entrare in Paradiso. La creazione, tutto, perché è stato creato per l’uomo. E siccome l’uomo non si può concepire senza la creazione nella quale vive immerso… Come possiamo concepirci senza vedere i colori, ascoltare i suoni, una musica, carezzare un gatto? Come possiamo concepirci così? È una cosa piuttosto strana, il non avere più nessun tipo di passione, non avere più nessun tipo di emozione. I padri conciliari dicono esattamente questo: l’intero creato entrerà nel regno di Dio.

Considerando l’indole escatologica della Chiesa si comprende meglio perché Papa Francesco scrive l’enciclica Laudato Si’. Mica per caso! Se io so che sto portando l’intero creato verso il Paradiso ho una enorme responsabilità. Non siamo chiamati a salvare semplicemente gli spiriti eterei, siamo chiamati a salvare questo mondo così com’è. Così com’è. E a riportarlo al Padre forse un pochino meglio di come ce lo ha dato, sicuramente non rovinato.

La natura escatologica della Chiesa è quindi saper misurare il presente con il metro del futuro. Rispetto alla santità, rispetto alla missione della Chiesa, rispetto a quello che è il nostro dovere di custodire, conservare e amare questo creato. E riportarlo al Padre anche meglio di come lo abbiamo ricevuto.

Ringraziamo il Signore del dono che ci ha fatto, della Chiesa e dell’escatologia. Di questa Parola e di questo Concilio. Spero di poter continuare nelle prossime occasioni ad approfondire il tema della Chiesa. Grazie.

 


  1. Il cardinal Montini, futuro papa Paolo VI, intervenne nella XXIV sessione pubblica il 5 dicembre 1962 con un discorso memorabile (qui). Fu lui, risuonando alle parole pronunciate da Giovanni XXIII all’apertura del Concilio (fonte), a indicare la direzione che avrebbe dovuto prendere il Concilio rispondendo alle domande: “Che cos’è la Chiesa? Che cosa fa la Chiesa?“.