L’italico vizietto

«La giustizia è come una tela di ragno
trattiene gli insetti piccoli,
mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi»
(Solone)

In realtà, gli italici vizietti sono tanti. Qui ne leggeremo alcuni. Anzi, solo due; perché, a ben pensarci, l’italico vizietto sono due.

Il primo è quello di fare una legge per il gusto di trasgredirla. Ma non basta. Fatta la legge, di arricchirla di tanti, tanti particolari, sempre più piccoli, sempre più contorti, onde trarre un maggior gusto a trasgredirli tutti, fin nei minimi dettagli. La legge antifumo, per esempio. (Vedrai: adesso mi faranno passare per il Solone della situazione. Solone si dice fosse un greco tutto d’un pezzo. Ligio al dovere proprio, esigente con quello altrui. Grande legislatore ateniese, diventato un modo di dire: riferito a tipi un po’ moralisti un po’ fissatelli con la giustizia. Io però mica ci riesco a tenermi il cecio in bocca. Non sono Solone ma nemmeno Charlie Chaplin ai tempi del cinema muto. E poi la cosa in sé non la trovo proprio comica comica).

Nel medioevo, quando io fui giovane, si fumava ovunque. Nei bar, nei cinema (come dimenticare quei film visti tra nuvole di fumo, uscendo dalla sala mezzi intossicati?), negli uffici, sui mezzi pubblici e – non ci crederete mai – persino negli ospedali e nelle scuole. Poi la gente protestò. Santa protesta. Se ne fossi capace pubblicherei un saggio. Titolo: “Storia della protesta”. Sottotitolo: “Perché l’umanità non capisce, finchè qualcuno non si arrabbia e protesta”. Insomma, la gente protestò. Non perché si ammalasse, sia ben chiaro. Per quanto non fossero pochi quelli che si ammalavano. Chi non fumava protestò invece il proprio diritto a respirare aria pulita, a non puzzare di fumo, a non dover pagare le conseguenze del vizio degli altri. Oddio, sarebbe piaciuto anche a me se avessero parlato dei diritti umani, del valore della tolleranza, del rispetto dovuto alla salute (propria e altrui) e di tante altre belle cose di cui pure i fumatori, tra un tiro e l’altro, osservando le volute che salgono in cielo, si riempiono bocca e polmoni.

Per fortuna non siamo aquile, obbligate a volare alto. La legge antifumo fu fatta lo stesso. Correva l’anno 1975, 11 novembre, per l’esattezza. L’articolo uno della legge si apriva con queste parole: “È vietato fumare: nelle corsie degli ospedali; nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado; negli autoveicoli di proprietà dello Stato”. E comparvero i cartelli: “Vietato fumare”. L’italico vizietto cominciò a manifestare così tutta la sua virulenza. Qualcuno si accendeva la sigaretta direttamente sotto il cartello del divieto. Anche perché l’articolo due della legge prevedeva che ad accertare l’infrazione fossero i soliti: vigili, poliziotti, carabinieri e altra gente in divisa. Figuriamoci se, con tutte le cose importanti da fare, avevano il tempo di andare in giro a multare la gente per una sigaretta.

Allora comparvero altri cartelli: “È severamente vietato fumare”. L’aggiunta dell’avverbio aveva l’intenzione di far tremare le vene ai polsi degli incauti: la severità incute sempre un po’ di timore. Ma rapidamente ci si rese conto che altro non era che una nuova sfida per l’italico vizietto: vuoi mettere il gusto di trasgredire una norma che vieta “severamente”? Poi sono arrivate la legge del 2001 (la svolta!), quella del 2003, quella del 2004, quella del 2005… E ad ogni legge, nuovi dettagli. Persino l’inasprimento delle pene in caso il fumatore dia sfogo al suo vizio in presenza di una donna incinta o di un minore di anni 12. L’italica fantasia ha così conquistato tutto lo spazio utile per sbizzarrirsi. Non sono a conoscenza di casi specifici, ma credo di non essere molto lontano dalla realtà se ipotizzo che qualcuno abbia voluto dar prova del suo vizietto col massimo della trasgressione: accendersi la sigaretta in ospedale, nella sala parto, mentre una donna incinta sta per dare alla luce un neonato.

Facciamola breve. Chi non può permettersi di soddisfare l’italico vizietto in modo tanto trasgressivo deve ripiegare. E all’Istituto Ruiz i fumatori – ahiloro – hanno ripiegato. Non ci sono ambienti che siano stati risparmiati. I bagni (studenti e personale di ogni ordine e grado, un classico), le scale (vere camere a gas), le aule (“Ma adesso non c’è nessuno!”, si è giustificato un fumatore colto da me nell’atto di inebriarsi di fumo in un’aula vuota), la guardiola all’ingresso (però con tanto di posacenere, per evitare il fastidioso sudiciume sul pavimento; per inciso, alcuni posaceneri li ho visti anche nelle stanze del potere: innocui quanto inutili soprammobili o temibili oggetti di inconfessabili trasgressioni?), i laboratori (a tutto vantaggio della sicurezza, ovviamente). Le palestre non lo so, ma intuisco. Infine l’ingresso dell’Istituto: però lì si fuma fuori, e perché dare la colpa ai poveri tabagisti, se sono le italiche correnti aeree le responsabili, in quanto spingono il prodotto della combustione di centinaia di sigarette all’interno dell’edificio?

Frase storica: “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani” (Massimo D’Azeglio). Parafrasi storica: “Fatta la migliore legge antifumo d’Europa, ora bisogna convincere gli italiani a rispettarla” (io).

E qui entra in azione il secondo italico vizietto. Mica facile da definire. Però tanto diffuso e tanto gravido di conseguenze. Un fumatore, da me interpellato sul motivo per cui fumasse in presenza di altri (non fumatori) in un luogo dove la legge lo impedisce, ha risposto di aver chiesto il “permesso”. Difficile negare il “permesso” ad un collega, ad un amico, ad un compagno di classe. A qualcuno che in una prossima occasione ti potrà essere utile per un’altra cosa (una sostituzione, un lavoro ben fatto, un compito in classe, un ombrello…). O peggio: a qualcuno che potrebbe rigarti la macchina (la moto…), farti sparire un libro o farti un dispettuccio piccolo piccolo, ma fastidioso quanto una mosca nella minestra.

Tecnicamente questo comportamento rappresenta uno dei pilastri basilari della mentalità mafiosa. L’italico vizietto di pensare tutto in termini di “favori”, di “vivi e lascia vivere”, di bisogno di “protezione”, di “chiudere un occhio”, di “io non c’ero e, se c’ero, dormivo”, ebbene sì, è proprio lui l’ubertoso terreno sul quale trovano facile radicamento negazioni piccole e grandi dei diritti altrui. Non ne sono capace, lo sapete. Ma se lo fossi mi piacerebbe pubblicare un altro saggio. Titolo: “Psicopatologia dell’italico impecoramento”. Sottotitolo: “Le italiche ovine paure, dall’avvento del fascismo al tramonto di Gaetano Badalamenti”.

Ammetto di avere un’idea, non so quanto percorribile. Io penso che esista una soluzione all’italico vizietto. O meglio, che si possa risolvere il primo grazie alla soluzione del secondo. Immaginiamo per un momento – ma solo come pura fantasia, la realtà continuerà ad essere diversa; lo dico con buona pace di tutti – ecco, immaginiamo per un momento soltanto che più di un qualcheduno rinunci al secondo italico vizietto, quello della mentalità mafiosa. Immaginiamo ora, sempre per pura fantasia, che costoro non siano tabagisti (osserviamo come, per definire una persona sana in quanto non dipendente dalla nicotina, siamo costretti ad usare una negazione!) e che si rendano conto che un tabagista sia in procinto di accendere la sigaretta in loro presenza, quantunque con grazia e cortesia porga l’italica domanda: “Dà fastidio? Posso?”. E se non la porge, è lo stesso.

In questo mio delirio di ipotesi surreali immagino ossessivamente solo una scena. Che tutti i non tabagisti urlino in coro: “NO! VIETATO FUMARE!”, penserete voi. Eh no. Immagino invece che tutti i non tabagisti si accodino davanti al nicotinomane e, in cambio del permesso accordato nonché del loro silenzio, si accontentino del pagamento del minimo della sanzione pecuniaria prevista dalla legge: 27,50 euro a testa ogni sigaretta fumata.

“Tutti gli uomini hanno un prezzo” (Totò Riina). Spiacente, per Solone e anche per Charlie Chaplin.

Post scriptum. Ho scritto questo articolo una notte in ospedale al capezzale di mio padre, scomparso lo scorso 7 febbraio. Le patologie che lo hanno invalidato negli ultimi 20 anni e condotto alla morte sono state causate direttamente dal fatto che in passato mio padre sia stato fumatore.