Il valore di un papa
Non so in che modo si possa giudicare il valore di un Papa. E se i suoi contemporanei sono in grado di esprimere in modo corretto un giudizio sul suo operato. Esempi di illustri cantonate ci vengono dal passato: Dante Alighieri se la prese con Bonifacio VIII e con Celestino V, per operato come persone e come Pontefici. Dopo qualche secolo di pregiudizi, alimentati dalla grande influenza esercitata dal Poeta sui suoi lettori, finalmente oggi siamo in grado di valutare quelle due figure sotto una luce diversa, meno negativa. 700 anni di pregiudizi.
Inoltre: è proprio necessario esprimere un “giudizio” su una persona che ricopre un così delicato incarico nella chiesa cattolica e il cui ruolo resta da sempre al centro di polemiche, esposto come tutti i ruoli pubblici e di autorità alla critica, alla venerazione, al fascino, alla rabbia, agli umori in genere del popolo? Per chi poi si professa credente, la figura del Papa – di ogni Papa – è indissolubilmente legata alla sua ri-presentazione della figura di Cristo. Con espressione tanto forte quanto da approfondire, egli viene indicato come “vicario di Cristo in terra”. Sono molti i teologi che si domandano se effettivamente Cristo abbia bisogno di un “vicario in terra”, o – posto che la formula tradizionale possieda una certa qual dose di verità – cosa voglia dire “vicario di Cristo”. Non a caso molti oggi preferiscono riferirsi al ruolo del Papa, al cosiddetto “ministero petrino”, come ad un “servizio all’unità” della chiesa; la figura del Papa sarebbe così una sorta di “principio di unificazione”, una patente di continuità storica dell’identità delle comunità dei credenti diffuse nello spazio e nel tempo e riconosciute con il titolo di “chiesa”.
Il Papa polacco “felicemente regnante” (come ancora si sente dire di un papa nell’esercizio del suo ministero), benchè gravemente malato – tanto da far temere che non sia più in grado di reggere il peso delle sue responsabilità, nonostante, o forse proprio perchè, i suoi più stretti collaboratori ci tengano a precisare il contrario -, questo Papa merita certamente un giudizio che la storia difficilmente potrà mutare. Un giudizio sui “fatti” piuttosto che sulle “emozioni” che inevitabilmente, e non senza conflitti, suscita tra i suoi contemporanei. Un Papa “mediatico” che soccombe alla sua mediaticità, che proclama il vangelo dai tetti e non si cura di apparire anche quando non può più farlo con la sua voce.
In breve possiamo ricordare qualche fatto. La lunghezza del pontificato pone Papa Giovanni Paolo II tra i più longevi vescovi di Roma. L’attentato subito a pochi anni dalla sua elezione fa accostare la sua figura a quella degli antichi confessori della fede. Le riforme che ha portato a termine per proseguire nell’opera iniziata dai suoi predecessori in ossequio al Concilio Vaticano II sono un monumento per numero e per qualità: riforma del Codice di Diritto Canonico, riforma della Curia, riforma del sistema di elezione del Papa, riforma del Vicariato di Roma, riforma del Benedizionale, rinnovo dei Patti con alcuni grandi Stati, compreso quello italiano e via proseguendo. E’ il Papa del passaggio millenario, insomma niente di particolarmente significativo, se non per quel valore simbolico di cui è carico il terzo millennio cristiano. E’ il Papa dello scisma di Mons. Lefebre e della ricomposizione dello scisma, con concessioni fatte agli scismatici che non hanno precedenti nella storia. Ha strizzato l’occhiolino ai credenti di praticamente tutti i gruppi religiosi conosciuti, riservando una grande attenzione ad ebrei – nella cui sinagoga romana entrò primo tra tutti i pontefici – e i musulmani – nella cui moschea mediorientale entrò primo tra tutti i pontefici -. Ha volato, visitato decine di stati, stretto la mano a governanti e dittatori, e tra questi ultimi, senza nessuna preferenza politica, ha catturato le simpatie di Pinochet e di Fidel Castro. Ha ammaliato orde di giovani convocati nelle 20 giornate della gioventù, nate da un’idea dell’ONU, ma, come ebbe a dire lo stesso Giovanni Paolo II: “L’ONU ha indetto, la chiesa, il papa hanno fatto”. Giovani tanto affascinati da quella figura da aver creato uno stile: quello dei “papa-boys”.
In oltre venticinque anni di pontificato è riuscito a rinnovare l’intero collegio cardinalizio, seppellendo praticamente tutti i suoi elettori di allora e accompagnando al cimitero anche quelli che aveva creato lui, con inevitabili frustrazioni di quanti pensavano (speravano!) di potergli succedere sul soglio di Pietro; ma ha dedicato un analogo trattamento ai grandi uomini politici, come Reagan e Pertini, per tacere dei leaders dell’ex URSS precedenti a Gorbaciov e della sua amata Polonia. Infine, ma non per ultimo, ha dato un contributo decisivo al crollo delle traballanti ideologie di ispirazione comunista con conseguenti ripercussioni sugli assetti politici e addirittura geografici della vecchia Europa. Dentro i confini della chiesa, Giovanni Paolo II non sarà mai dimenticato per la mole di documenti cha ha prodotto.
Instancabilmente. Indefessamente. Su tutto. Lui personalmente e i Dicasteri della Santa Sede, nonchè i suoi collaboratori – ma tutto sotto la sua supervisione, il suo impulso, la sua approvazione. Con la curiosa caratteristica di poter assistere, negli ultimi 25 anni di storia della chiesa, a cambiamenti di opinione non tra un papa e l’altro, ma nello stesso papa, e quindi alla smentita del detto: “Un papa bolla e uno sbolla”.
(marzo 2005)