Morte di Giovanni Paolo II
Dio Padre ha chiamato a sè Giovanni Paolo II, ponendo fine alla sua sofferenza e al suo pontificato. Non alla sua vita. Che ora è davvero compiuta nell’abbraccio del Padre. Molti di noi abbiamo pregato non tanto perchè il Signore conservasse ancora il suo servo alla guida della chiesa, ma proprio perchè ponesse termine alle sue sofferenze. Non credo sia stata una cattiva preghiera. Ma in questo momento mi sento anche di dover dissentire con quanti hanno detto o scritto che la sofferenza del papa, resa pubblica, esibita – qualcuno ha parlato di “ostentazione” (vedi Feltri, direttore de “Il Giornale”), mentre invece bisognerebbe parlare di “ostensione” -, abbia infranto le regole del buongusto o del pudore. Un senso di disagio, quando non di fastidio, ha attraversato la coscienza di molti spettatori. La sofferenza, il degrado della salute come conseguenza dell’avanzare dell’età, non deve essere mostrato. Rappresenta una sconfitta per l’uomo illuso di poter modellare la propria eternità a piacimento. Rappresenta un preciso e assolutamente inopportuno richiamo al tempo che passa, all’età che avanza, alla morte che incombe. Esibire la sofferenza dà fastidio.
Mi spiace. Soprattutto per le tante persone intelligenti che hanno impegnato la loro autorevolezza in questo tipo di discorso. Abbiamo concesso alla televisione, ai giornali, al cinema di esibire – più o meno fintamente – l’intimità delle persone – più o meno professionisti dell’immagine – nei momenti e nelle azioni ordinarie dell’essere umano (dalla cucina alla copula), e persino nei sentimenti e negli atteggiamenti più brutali, subdoli e meschini. Qualche voce di dissenso ogni tanto si è levata, ma giusto per alimentare ancora maggiori pruriti mediatici e stanare il voyerismo dal fondo degli “spettatori”. Questa concessione – vale la pena ricordarlo – riesce ad alimentare un floridissimo mercato, e anche se qualcuno dall’animo puro fa fatica a capire perchè i soldi vorrebbero essere “il motore delle cose”, non è difficile ammettere che la sofferenza non riesce a trovare sponsors paganti. La sofferenza esibita di Giovanni Paolo II non ha contribuito ad alzare le vendite di nessun grande network commerciale. Le ideologie si saranno senza dubbio spaventate del fatto che molti si sono stretti, con umanità e simpatia, attorno al vecchio malato che ancora aveva voglia di vivere, di trasmettere valori (i critici diranno che erano i “suoi” valori, non sempre condivisibili; sì, certo, ma nessuno potrà mai affermare che il vecchio malato ci ha guadagnato sopra: anzi, ha pagato duramente in termini di immagine e consenso), di incoraggiare i suoi correligionari e di “lottare” per la pace tra i popoli e la riconciliazione tra le religioni.
Il valore di questo papa si misura anche sulla sua testardaggine. L’ha dimostrata in molte occasioni. Soprattutto in campo dottrinale, dove ha tenuto le sue posizioni sfidando potentati laici e frangie ecclesiali dissidenti. Testardaggine non equivale ad aver sempre ragione. Ma di certo contribuisce a far sì che ciascuno raffini le proprie posizioni, le renda meno fluide. A pensarci bene, in questo senso, Giovanni Paolo II è debitore di molto del suo successo a due fattori non secondari.
Il primo è stata la stabilità, la durata del suo pontificato. Una persona che rimane al suo posto per quasi 30 anni diventa un punto di riferimento. Questo spiega in larga parte l’enorme impatto emotivo che è riuscito a suscitare quest’uomo. Un punto di riferimento è necessario a tutti. Si immagini che il polo nord magnetico cambi posizione con un periodo di 365 giorni. Non sarebbe più affidabile. Nessuno lo terrebbe più presente. Il papa che è durato tanto a lungo ha prodotto simpatie e antipatie, opinioni e contro opinioni, scelte e rinuncie: nessuno ha potuto più ignorare la sua persona e il suo pensiero. E in un certo senso, le generazioni degli ultimi trent’anni devono essegli grate per aver dato loro l’opportunità di avere qualcuno da amare o da odiare, per il nostro scopo non ha importanza quale dei due sentimenti, ma comunque qualcuno con cui entrare in una relazione, ancorché mediatica.
Il secondo è stato il modello. Giovanni Paolo II ha offerto un modello “alternativo” con il quale confrontarsi. Un modello non basato su argomenti considerati effimeri (dal denaro al sesso, dal divertimento al potere) bensì basato su elementi “spirituali”, qualunque significato si voglia attribuire a “spirituale”. E tutti i delusi da modelli meno “alternativi”, o anche quanti pur praticando stili di vita ispirati a modelli differenti hanno simpatizzato per il papa “alternativo”, non dovevano temere di ritrovarsi in un vuoto valoriale, in una terra di nessuno. In ogni momento era possibile fare riferimento al modello del vecchio malato, ma convinto delle sue idee e perciò irremovibile, per ritrovare il senso perduto, il filo di Arianna nel marasma del quotidiano alternarsi di gioie e dolori, di sconfitte e fallimenti, di esaltazioni e depressioni.
Molte delle mie riflessioni su Giovanni Paolo II che vedono la luce in questi giorni sono tratte da materiale già scritto. Altre sono dettate dal precipitare degli eventi. Tutte sono frutto di un sincero affetto e di un grande rispetto che mi lega al mio vescovo. Sono sempre più convinto che solo le persone che si amano hanno il diritto di dirsi tutto. Io che sono figlio avrò sempre un padre che amandomi mi rimprovererà le mie scorrettezze; e mio padre avrà sempre un figlio un pò criticone, ma sul quale potrà contare in ogni circostanza della vita.
(aprile 2005)