Un Dio ingiusto
L’articolo apparso sulla pagina domenicale del Sole24ore del 3 maggio 2009 merita una lettura, se non altro perchè il filosofo autore, morto nel 2002, sembra fare una sorta di sintesi di tutti gli j’accuse rivolti a Dio.
Un estratto dal libro “A Brief Inquiry Into the Meaning of Sin and Faith”
1. Mi sono spesso chiesto perché le mie credenze religiose siano cambiate, e ciò sia avvenuto in modo particolare durante la guerra. Ho iniziato da fedele della Chiesa episcopale per abbandonarla completamente a partire dal giugno del 1945. Non affermo affatto di capire perché le mie credenze siano cambiate né credo che sia del tutto possibile comprendere tali cambiamenti. Possiamo registrare quel che è accaduto, darne dei resoconti e fare delle ipotesi, ma tutto questo va preso per quel che è. Può esserci qualcosa, ma forse no.
Tre episodi spiccano nella mia memoria: Kilei Ridge; la morte di Deacon; l’avere notizia dell’Olocausto e il riflettere su di esso. Il primo episodio avvenne attorno alla metà di dicembre del 1944. Era terminata la battaglia che la compagnia F del 128° reggimento di fanteria della XXXII divisione condusse per conquistare la cresta sopra la città di Limon sull’isola di Leyte; la compagnia si limitava a mantenere la posizione. Un giorno arrivò un pastore luterano; durante la funzione pronunciò una breve omelia in cui affermò che Dio puntava i nostri proiettili contro i Giapponesi e allo stesso tempo proteggeva noi dai loro. Non so perché, ma questa affermazione mi irritò. Rimproverai il pastore (che era un tenente) perché diceva ciò che io assumevo lui sapesse perfettamente – era un luterano – che erano menzogne sulla divina provvidenza. Che ragione poteva mai aver avuto se non portare conforto alle truppe? La dottrina cristiana non doveva però essere utilizzata per questo scopo, anche se sapevo perfettamente che lo era.
Il secondo episodio – la morte di Deacon – fu nel maggio del 1945, sulla pista di Villa Verde sull’isola di Luzon. Deacon era una persona splendida; diventammo amici e dividemmo una tenda nel reggimento. Un giorno il primo sergente venne da noi alla ricerca di due volontari, uno che doveva andare con il colonnello dove questi potesse osservare le postazioni giapponesi, l’altro che doveva donare sangue di cui aveva estrema necessità un soldato ferito nell’ospedale da campo lì nei paraggi. Entrambi acconsentimmo, ma quel che ciascuno di noi avrebbe fatto dipendeva da chi avesse avuto il gruppo sanguigno adatto. Poiché il mio lo era e quello di Deacon no, andò lui con il colonnello. Senza dubbio i Giapponesi dovettero averli individuati, dato che ben presto iniziarono ad arrivare nella loro direzione 150 colpi di mortaio. Deacon e il colonnello saltarono dentro una trincea, ma, quando una granata vi atterrò dentro, morirono entrambi sul colpo. Ero totalmente incapace di trovare consolazione né potevo cacciare via dalla mia mente l’episodio. Non so perché questo episodio mi abbia così colpito, al di là del mio affetto per Deacon, poiché la morte era un evento comune. Ma penso mi abbia colpito, nei modi di cui farò menzione tra poco.
Il terzo episodio è in verità qualcosa di più di un episodio, dal momento che durò per un lungo periodo di tempo. Nei miei ricordi, ebbe inizio in aprile ad Asingan, dove il reggimento stava prendendo una pausa dalla linea del fronte e ricevendo delle sostituzioni. Andammo agli spettacoli cinematografici serali per l’esercito dove fu data anche notizia dei comunicati del servizio informativo dell’esercito. Credo sia stato lì che udii per la prima volta dell’Olocausto, poiché furono resi pubblici i primissimi rapporti delle truppe americane che si imbatterono nei campi di concentramento. Naturalmente molte cose si erano sapute parecchio tempo prima, ma non erano note ai soldati sul campo.
Questi episodi, specialmente il terzo non appena divenne di pubblico dominio, mi colpirono nel medesimo modo, sotto forma di una domanda sulla possibilità della preghiera. Come potevo pregare e chiedere a Dio di aiutare me, o la mia famiglia, o il mio Paese, o qualsiasi altra cosa amata e al centro delle mie preoccupazioni, quando non aveva salvato milioni di ebrei da Hitler? Quando Lincoln interpreta la Guerra civile americana come una punizione divina per il peccato della schiavitù, una punizione egualmente meritata dal Nord e dal Sud, si vede Dio che agisce giustamente. Ma l’Olocausto non può essere interpretato in tal guisa, e ogni tentativo di cui ho letto di interpretarlo in questo modo è orribile e malvagio. Per interpretare la storia come espressione del volere di Dio, tale volere non può non accordarsi con le più fondamentali idee di giustizia così come sono a noi note. Per cos’altro possono essere le più fondamentali idee di giustizia? Sono così presto giunto a rifiutare come altrettanto orribile e malvagia l’idea della supremazia del volere divino.
2. I mesi e gli anni che seguirono mi condussero a un crescente rifiuto di molte delle principali teorie cristiane, sicché il cristianesimo divenne sempre più a me estraneo. Le mie difficoltà erano sempre di tipo morale, dal momento che il mio fideismo rimaneva saldo di fronte a tutte le preoccupazioni circa l’esistenza di Dio. Le cosiddette prove dell’esistenza di Dio contenute in San Tommaso e in altri autori non provavano in ogni caso alcunché che avesse un significato religioso. Mi sembrava chiaro. Tuttavia, le idee di giusto e di giustizia espresse nelle teorie cristiane erano una questione diversa.
Giunsi a considerare molte di esse moralmente sbagliate, in alcuni casi anche ripugnanti. Tra queste vi erano le dottrine del peccato originale, del paradiso e dell’inferno, della salvezza per mezzo della vera fede e sulla base dell’accettazione dell’autorità sacerdotale. A meno che uno non facesse un’eccezione per se stesso e assumesse la propria salvezza, giunsi ad avere la sensazione che la teoria della predestinazione fosse tremenda una volta che ci si riflettesse bene sopra e si comprendesse che cosa significava. La doppia predestinazione, così come è stata espressa in modo rigoroso da Sant’Agostino e da Calvino, sembrava particolarmente tremenda, sebbene dovessi ammettere che era presente anche in San Tommaso e Lutero e fosse senza dubbio soltanto una conseguenza della predestinazione stessa. Divenne per me impossibile prendere sul serio tutte queste teorie, ma non nel senso che le prove in loro favore erano deboli o incerte. Piuttosto, esse dipingono Dio come un mostro mosso soltanto dal proprio potere e dalla propria gloria. Come se marionette miserabili e deformate, come gli esseri umani erano descritti, possano glorificare qualcosa! Giunsi anche a pensare che poche persone accettino queste teorie o addirittura le capiscano. Per costoro la religione è puramente convenzionale e offre loro conforto e consolazione nei momenti difficili.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra mi interessai molto alla storia dell’Inquisizione e a come si fosse sviluppata. Lessi numerosi libri sul tema, incluse parti della storia dell’Inquisizione nel Medioevo di Henry Lea, la recensione di Lord Acton a quest’opera e le tesi di Acton sulla corruzione del potere dei sacerdoti e anche del potere politico. Finii con l’avere la sensazione che la grande maledizione del cristianesimo era perseguitare i dissenzienti e gli eretici sin dall’epoca di Ireneo e Tertulliano. Questo mi parve essere qualcosa di nuovo: la religione greca e romana era una religione civile, ed era finalizzata a instillare la lealtà verso la polis o verso l’imperatore, specialmente in tempo di guerra e di crisi. Greci e Romani insistevano su questo aspetto, ma al di là di questo la società civile poteva essere in larga misura libera e molte religioni diverse fiorirono nella polis e nell’impero romano. La storia della Chiesa include invece un resoconto dei suoi duraturi legami storici con lo Stato e del suo uso del potere politico per stabilire la propria egemonia e opprimere le altre religioni.
Essendo una religione della salvezza eterna che richiede vera fede, la Chiesa vide se stessa in possesso della giustificazione per la repressione dell’eresia. Così, sono giunto a considerare la negazione della libertà religiosa e della libertà di coscienza come un male enorme, il che rende le pretese di infallibilità dei papi impossibili per me da accettare. È vero, la Chiesa asserisce l’infallibilità soltanto in questioni di fede e di morale; la dottrina non prevede che il papa sia infallibile in quanto uomo, ma che Dio farà in modo che l’uomo che è papa non parli in maniera menzognera.
Tuttavia, se la libertà di religione e la libertà di coscienza non sono questioni di fede e di morale, che cosa sono? Queste libertà divennero punti fissi delle mie opinioni morali e politiche. Alla fine, divennero anche elementi politici fondamentali della mia visione della democrazia costituzionale, istituzionalmente realizzata dalla separazione di Stato e Chiesa.
Giunsi a pensare che il cristianesimo, nella misura in cui viene preso sul serio, potesse avere effetti deleteri sul carattere. Il cristianesimo è una religione solitaria: ciascuno ottiene individualmente la salvezza o la dannazione, e noi naturalmente ci focalizziamo sulla nostra salvezza fino al punto in cui null’altro sembra importare. Invece, anche se è impossibile non essere interessati a se stessi, almeno in qualche misura – e peraltro deve essere così -, la nostra anima individuale e la sua salvezza sono di scarsa importanza. Così, quanto è importante la mia salvezza in confronto al rischiare la mia vita per assassinare Hitler, ammesso di averne l’opportunità? Non è affatto importante. Indubbiamente si dovrebbe cogliere questa opportunità e si dovrebbe farlo, sebbene, come ha detto Kant, nessuno sia in anticipo certo di farcela.
Menziono il caso dell’assassinare Hitler: ho pensato molto su quei momenti e mi sono chiesto se avrei avuto il coraggio e il fegato di farlo. Certamente atti siffatti non sono facili. Mi pare però una grave colpa della resistenza tedesca che si siano fatti così tanti scrupoli sull’assassinio, o sull’uccidere come tale, o sull’attaccare il capo dello Stato. Stauffenberg aveva ragione: queste preoccupazioni erano così tanto sovrastate dagli enormi mali che Hitler ebbe a perpetuare che risulta difficile dare credito al loro ragionamento e pensare che non fossero mossi da preoccupazioni altre, di cui non volevano far menzione.
3. Dei molti testi sulla religione che ho letto, pochi mi hanno colpito quanto le idee di Jean Bodin espresse nel suo Colloquio di sette saggi sui misteri delle cose sublimi (1593). Tre cose specialmente sono impressionanti di Bodin. La prima è che egli fu per tutta la sua vita, a quanto ne sappiamo, un fervente cattolico. Egli chiese una sepoltura cattolica e fu un membro di spicco dei Poliques. Bodin non fu un uomo che, come Spinoza, giunse alla tolleranza dopo aver abiurato o cambiato la propria fede religiosa. Per lui la tolleranza è un aspetto e una conseguenza dell’armonia della natura come viene espressa nella creazione da parte di Dio. Benché riconoscesse l’importanza politica della tolleranza e sostenesse che lo Stato debba sempre darle sostegno, la sua credenza nella tolleranza era religiosa e non solamente politica.
Un’altra caratteristica del pensiero di Bodin era questa: è sbagliato attaccare la religione di una persona, specialmente se non si prova allo stesso tempo a presentarne una migliore da collocare al suo posto. Alla fine del Colloquio, i sette interlocutori sono d’accordo nell’abbandonare i propri tentativi di confutare le reciproche opinioni religiose, incoraggiandosi piuttosto a vicenda a descrivere le proprie idee religiose così che tutti possano apprendere che cosa gli altri pensano ed essere in grado di comprendere che cosa sono le credenze di ciascuno nella miglior luce possibile. Così, mentre la discussione amichevole e simpatetica delle nostre credenze è accettata come una parte importante della vita religiosa, l’argomentazione e la controversia non lo sono.
In considerazione dell’armonia e della molteplicità delle religioni, a quale scopo l’argomentazione e la controversia sono funzionali?
Infine, Bodin certamente riconosce alcuni limiti su quali religioni possano essere ammesse. Egli non discute questi limiti in modo così chiaro come potrebbe, ma uno di questi limiti è evidentemente un affermare la tolleranza come parte di una dottrina religiosa, distinta dalle idee politiche. E da là potremmo salire i gradini del liberalismo politico e asserire che le religioni dei sette sono tutte ragionevoli, e accettare l’idea di ragione pubblica e la sua idea del dominio del politico. Parte del significato di questo è che la religione di una persona spesso non è né migliore né peggiore di quanto lo siano le persone, e l’idea del ragionevole, o qualche idea analoga, non può non essere sempre presupposta.
4. È chiaro che l’ateismo è una visione che Bodin non può tollerare. Egli interpreta l’ateismo non solo come l’idea che Dio non esiste, ma anche come rifiuto del giusto e della giustizia. Egli pensa che negare l’esistenza di Dio significhi rifiutare quei principi. Infatti, Bodin crede che le persone onoreranno il giusto e la giustizia soltanto se credono in Dio e temono le punizioni divine. La negazione di Dio conduce, questo pensa Bodin, a un mondo sociale orribile, in cui nessuno riconosce alcun limite al proprio interesse personale al di là di quel che la tattica e la strategia possono suggerire. Una volta che mettiamo in dubbio le assunzioni di Bodin – assunzioni comuni all’epoca sua – allora il teismo non-volontaristico (in quanto opposto all’ateismo) deve implicare tali conseguenze ed è compatibile con la fede in Dio. Se diciamo che il volere di Dio è l’origine di tutti gli enti e dei valori morali e politici, allora la negazione dell’esistenza di Dio comporta la negazione anche di quei valori. Ma se diciamo che il fondamento e il contenuto di quei valori è la ragione di Dio, o altro che sia noto alla ragione di Dio, allora il volere di Dio sarà funzionale soltanto al ruolo subordinato di ratificare le intenzioni divine ora viste come fondate sulla ragione. In questo caso la negazione dell’esistenza di Dio conduce solamente alla negazione delle ratifiche divine ma non alla negazione dei valori.
Abbiamo l’esigenza di considerare ora come può essere concepita la relazione tra la ragione di Dio e i valori morali e politici. Possiamo forse asserire questo: la ragione di Dio e la nostra ragione sono in qualche aspetto simili e in qualche altro aspetto differenti. La ragione di Dio è differente in questo, che i suoi poteri superano di molto i nostri: essa comprende tutte le possibili informazioni e può vedere tutte le possibili inferenze; per esempio, essa afferra subito tutte le relazioni tra i numeri e i fatti relativi a essi. Dio sa immediatamente che il teorema di Fermat è vero e non deve fare la fatica di elaborare nuove scienze matematiche come facciamo noi per stabilirlo. Tuttavia, credo che la ragione di Dio sia identica alla nostra da questo altro punto di vista, nel senso che riconosce come valide le medesime inferenze e come veri i medesimi fatti che riconosciamo come tali anche noi. Oltre a ciò, possiamo ipotizzare che la ragione di Dio sia compatibile con la nostra: nei limiti della nostra comprensione di una situazione, l’idea di ragionevolezza di Dio e la nostra producono il medesimo giudizio.
Si accettino queste osservazioni come sufficientemente valide. Ora, se neghiamo l’esistenza di Dio, neghiamo l’esistenza di una ragione con poteri divini; neghiamo però anche la validità del contenuto della ragione? C’è un’importante cesura su questo punto. Da parte mia, non vedo come sia possibile che il contenuto e la validità della ragione debba essere influenzato dal fatto che Dio esista o meno, pensando a Dio come a un essere dotato di volere. Non possiamo negare la validità di queste inferenze o la verità dei fatti riconosciuti come veri. Se lo facciamo, vendiamo sottocosto il nostro ragionare sulle cose e tanto varrebbe balbettare a casaccio.
Si supponga, allora, che il ragionare nelle sue forme fondamentali non subisca variazioni rispetto ai diversi tipi di esseri che lo esercitano. Quindi, l’essere di Dio, per quanto grandi siano i poteri divini, non determina i canoni essenziali della ragione. Inoltre, il contenuto dei giudizi della ragione pratica dipende da fatti sociali relativi a come gli esseri umani sono collegati nella società e uno rispetto all’altro. La ragion pratica divina si connetterà anche con questi fatti, proprio come fa la nostra; ed è così anche se questi fatti sono essi stessi l’esito della creazione divina. Dati questi fatti come innegabilmente sono nel nostro mondo sociale, i giudizi fondamentali di ragionevolezza non possono che essere gli stessi, che siano prodotti dalla ragione di Dio oppure dalla nostra. Questo contenuto invariante di ragionevolezza – senza il quale il nostro pensiero collasserebbe – non permette altrimenti, per quanto devoto possa sembrare attribuire tutte le cose al volere divino.
Ho dunque concordato con Bodin sin qui: l’ateismo (secondo Bodin) è un disastro, ma il nonteismo non va temuto, politicamente parlando. Il nonoteismo è compatibile con la fede religiosa; ma anche l’ateismo va tollerato, poiché quel che è punibile in religione non sono le credenze, ma le azioni. (Traduzione di Corrado Del Bò)