Apostoli: fede e preghiera

Esercizi SpiritualiFiglie della Chiesa, Domus Aurea, Ponte Galeria (RM)
Omelia della Festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo

Letture

Siamo grati al Signore di poter celebrare in un’unica occasione la festa di due apostoli, Filippo e Giacomo. In comune tra loro c’è l’appartenenza al collegio apostolico. Ma la ragione alla base della celebrazione odierna con un’unica festa è che le reliquie di entrambi sono state poste nel giorno della sua dedicazione sotto l’altare della Basilica dei Santi Apostoli a Roma, dove il 1° maggio si effettuava una solenne ostensione delle reliquie stesse.

Mentre di Filippo non ci è pervenuto nessuno scritto, Giacomo è l’autore di una famosa lettera che appartiene al canone delle Scritture. Stranamente nella celebrazione della liturgia della Parola odierna non si legge nulla dell’apostolo Giacomo, mentre invece il vangelo ci ricorda un’episodio dell’apostolo Filippo. Di sicuro Giacomo non si è offeso perché la prima lettura proviene dagli scritti dell’apostolo Paolo, però il liturgisti potrebbero trovare un modo per rimediare a questa piccola contraddizione!

Voglio portare all’attenzione due pensieri.

Primo: il senso di gratitudine verso gli apostoli grazie ai quali noi possiamo oggi celebrare la fede nei Sacramenti e nella Parola. La pietra angolare è sicuramente Cristo, a lui dobbiamo la fede. Ma proprio questa festa ci ricorda che la fede non solo è un dono ricevuto in deposito, ma anche un dono ricevuto al plurale. Infatti sono stati gli apostoli, con la loro testimonianza, con il loro affetto verso Cristo e verso la Chiesa, con la loro fedeltà arrivata fino all’estremo sacrificio di sé, sono stati loro ad assicurare alla Chiesa la trasmissione della fede e l’aderenza alla verità. Non a caso nella chiesa cattolica, a differenza di alcune confessioni protestanti, siamo soliti parlare di “successione apostolica” ad indicare in quel gesto fisico dell’imposizione delle mani il collegamento storico tra il presente e il passato, con la mediazione di tanti credenti che sono entrati a far parte della “successione”.

Nella Chiesa la fede si riceve in quanto qualcuno la trasmette; e tale gesto di ricevimento non può non essere accompagnato dall’attenzione a non disperdere il patrimonio che non ci appartiene completamente. Infatti è proprio della Chiesa parlare della fede al plurale; non tanto “questa è la mia fede”, quanto “questa è la nostra fede”. Poiché la fede è stata donata da Dio non all’uomo singolarmente ma all’uomo in quanto “umanità” in grado quindi di riceverla, mantenerla viva e passarla intatta alle generazioni future.

L’altro pensiero riguarda la preghiera, così come troviamo quasi al termine della lettura del vangelo: “qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò“. Curiosamente Gesù invita i suoi discepoli a pregare ma non in un modo qualsiasi, quasi astratto; invita a farlo “nel mio nome”. C’è da premettere che per molto tempo la preghiera cosiddetta “di petizione” è stata vista come qualcosa di imperfetto. Chiedere una grazia, un aiuto materiale, la salute o il benessere della famiglia non mostrerebbe una fede tanto fragile? Dio in fondo non è il “segretario” di nessuno e non ci si può rivolgere a lui solo nel momento del bisogno.

Per quanto questa visione possieda un fondo di verità essa però rischia di non rendere completamente giustizia a Dio quale è creduto dalla Chiesa. Dio conosce i bisogni dell’uomo e non gli sono indifferenti. Con la sua incarnazione ha sperimentato sulla sua pelle le esigenze e le necessità pressanti dell’esistenza umana, le simpatie e le antipatie, la povertà e la sofferenza. Possibile che lui possa essere tanto distaccato di fronte alle nostre miserie?

Una madre africana tiene il suo bimbo in braccio e non ha nulla da dargli da mangiare, e il suo bimbo soffre e pian piano si spegne per la fame. Forse quella madre può restare insensibile al dolore della sua creatura? Se la nostra umanità riesce a mostrarsi tanto sensibile verso il proprio simile, perché Dio dovrebbe essere da meno?

Oppure qualcuno pensa che il grido, la preghiera (silenziosa? sconsolata? piangente?) della madre africana non arrivi a commuovere il Padre fin nelle sue viscere? E si accontenterà di lasciarla in quelle condizioni senza nessuna risposta?

Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò“: di quale nome parla Gesù? Ripensando all’Apocalisse, sempre di Giovanni, a proposito del nome torna alla mente una visione dell’apostolo nella quale egli racconta di aver udito  che al vincitore della lotta contro il male Dio farà un dono particolare: “una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve” (2,17). Numerosi commentatori sostengono che quella pietruzza bianca si riferisce al grano di sale della parola evangelica: “Voi siete il sale della terra” (Mt 5,13). Mentre il nome nuovo scritto sopra di essa è la presenza stessa del Signore.

La metafora evangelica sembrerebbe alludere al fatto che sono i cristiani a dare sapore all’umanità, perché su di essi riposa il nome del Signore; non è tanto l’incontro con il cristiano in quanto persona, ma l’incontro con qualcuno che reca il sigillo di Dio a modificare la realtà “divinizzandola” in qualche modo. Ecco che allora la preghiera che arriva al Signore, secondo il vangelo di Giovanni, trova in chi porta impresso il suo nome l’ascolto da parte di Dio. I cristiani si devono considerare la risposta del Signore alle esigenze dell’umanità, alle sue povertà, anche morali, e ai suoi bisogni materiali.

Lontano da noi è l’immagine di un Dio “miracolistico”, di un Dio “fatina buona” che utilizza la bacchetta magica per soddisfare l’uomo. La fede cristiana trasmessa dagli apostoli ci parla invece di un Dio misericordioso e compassionevole che per andare incontro all’umanità che lo supplica di intervenire, suscita negli uomini il desiderio e la forza benefica capace di chinarsi con amore su quanti soffrono e sono nel bisogno. Questo, semmai, è il vero miracolo.

E questa è la preghiera “nel suo  nome”, impresso e sigillato dallo Spirito Santo su quanti accolgono con fede “la pietruzza bianca” della testimonianza e il “nome nuovo” dell’essere cristiani.