Auguri senza garanzia

L'acrobataNon vi faccio mancare nemmeno quest’anno i miei più cari auguri di Natale. Ma quest’anno gli auguri di Natale fanno parte della serie “gli auguri del giorno dopo” (p.e. qui). Per non rovinarci la festa.

Quest’anno mi sono un po’ sfilato dal coro ciarliero e gaudente di quella che l’ANSA ha definito “felicità obbligata“. E l’ha indicata addirittura come fonte di ansia e di stress. Il Natale delle file ai supermercati, dei cenoni e dei pranzoni, del “meglio il panettone o meglio il pandoro?“, dei regali e dei messaggini “a te e famiglia“.

Sono restato affacciato alla finestra, osservando, ascoltando.

Volevo dirvi che ho visto il natale dello stordimento e volevo fare auguri storditi a chi gira dentro la giostra mangia-bevi-divertiti-neve-sole-vacanze.

Volevo dire che ho visto il natale dell’ottundimento e volevo fare auguri ottusi a chi vive nell’isola felice della tredicesima e al diavolo tutto il resto degli umani.

Volevo dire che ho visto il natale del fraintendimento e tanti auguri fraintesi a chi ha capito tutto di come va il mondo e se la gode per quello che può, indifferente se sia un giorno come un altro, il compleanno di una divinità, la festa del sol invictus o una qualunque altra favola religiosa, comunque ogni scusa è buona.

Poi c’è chi crede al Natale del Signore Gesù. Bella festa, sospesa tra piacevoli ricordi infantili e ataviche tradizioni religiose. La scaramanzia dei giorni inebriati di felicità.

Volevo dire che ho visto il natale della superstizione e tanti auguri superstiziosi a chi va a messa perché il nuovo anno sia migliore.

Volevo dire che ho visto il natale della rassicurazione e volevo fare i più sereni auguri a chi affida alla ripetizione dei riti la gestione della propria ansia e dei propri bisogni.

Volevo dire che ho visto il natale della magia e volevo fare auguri magici a chi pensa che può pilotare il destino mettendosi le divinità in tasca.

Del resto se è il natale delle illusioni quello che cercavate, siete ben accontentati.

Molti mi diranno che lo sapevano già, che non c’è nessuna garanzia che gli auguri natalizi di gioia, pace, bontà, benessere, amore raggiungano il loro obiettivo. Ve lo confermo.

Anche una semplice osservazione della contemporaneità può aiutarci a capire che se vogliamo la pace dobbiamo mettere fine alle guerre sempre più feroci, agli atti di terrorismo, al traffico d’armi e alla loro prospera industria. Perché se vuoi la pace, devi prepararla, la pace!

Impossibile tacere la drammatica condizione che vivono popolazioni imbarbarite da fame e miseria, persone che per soddisfare bisogni essenziali sono costrette a prostituirsi realmente e metaforicamente agli aiuti solidali o internazionali. Ma se vuoi il benessere, devi preparare il benessere di tutti!

Esistono fautori di libera circolazione e compravendita di tutto, droghe, sostanze inebrianti, organi, gameti, figli, uteri… come se la gioia dipendesse da quella svogliatura che ti puoi permettere, da quel paradiso artificiale in cui puoi alienarti, da quel bisogno che puoi soddisfare alla faccia della povertà. E no, è frutto avvelenato la gioia a spese di un altro. Se vuoi la gioia, devi pensare alla gioia di tutti!

Quanto volete che allunghi l’elenco? Dovrei tacere dei rigurgiti mondiali di nazionalismo, fascismo, imperialismo? Dovrei trascurare il modo in cui si salvano per legge i portafogli dei ricchi a spese dei poveri, complici i governi? O dovrei dimenticare che c’è ancora chi fa carriera e arriva a ricoprire importanti cariche pubbliche raccontando bugie sulle sue qualità e i suoi titoli o occupandosi più dei suoi affari che di quelli comuni?

E dovrei passare sopra al dramma di un ambiente fortemente antropizzato, devastato da una presenza umana irrispettosa, crudele verso piante e animali, protesa solo verso il risultato economico delle proprie azioni?

Per il significato proprio del Natale, dobbiamo riconoscere che la presenza di Dio fra gli uomini che ricordiamo annualmente in questo periodo dell’anno non ha prodotto significativi risultati. Del resto egli venne tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto. Le tenebre non hanno accolto la luce.

L’incarnazione del Figlio di Dio, la presenza della luce in mezzo agli uomini non è garanzia di successo per ogni singolo uomo né per l’umanità intera, appesa a quel filo di libera volontà che neanche Domineddio vuole recidere.

L’incarnazione offre un’opportunità, apre la porta verso la sempre possibile riconciliazione di due mondi, verso una conversione salvifica e redentrice che non solo riscatta le relazioni umane ma rinnova lo stesso rapporto con il cosmo. Non obbliga nessuno ad attraversarla, non obbliga nessuno ad abbracciare la nuova visione teologica ed antropologica della storia.

Non è difficile prevedere che il piano inclinato di questa storia, se non venisse radicalmente modificato, punta dritto al suo fallimento. Punta dritto al giorno nel quale l’umanità raggiunge il punto di non ritorno della sua parabola: giorno nel quale si realizzano le più fosche profezie di un futuro egoista, senza speranza, senza Dio.

Ho raggiunto l’intima convinzione che Dio lotterà insieme alle tante donne sante e ai tanti uomini santi perché questa tragedia sia scongiurata; nondimeno la garanzia che il finale assomigli a quello degli allegrotti e spensierati film natalizi non c’è. Se manca l’apporto fondamentale di scelte umane sagge e illuminate, di persone rette e discrete pronte a fare il loro dovere e qualcosa di più, di decisioni storiche, lungimiranti, riformiste e rivoluzionarie, quella garanzia non c’è.

Ora sapete come la penso, il giorno dopo. Auguri. Senza garanzia.