Cosa si può fare in questo tempo così angoscioso? Vincere la propria ignoranza
Omelia pronunciata il 16 settembre 2001 nella Festa del Quartiere Casal de’ Pazzi a Roma (XXIV domenica del tempo ordinario)
L’orrore, lo sgomento, l’indignazione che hanno segnato in questi giorni l’intera umanità per i tragici eventi accaduti negli Stati Uniti sono stati anche di noi tutti. E devono entrare di pieno diritto nella nostra celebrazione. Noi cristiani celebriamo ogni settimana la vittoria di Gesù sulla morte, il trionfo della vita, il mistero del perdono del Signore. Questa appare la cornice più giusta in cui inserire una riflessione, pacata e non emotiva, cercando di comprendere con intelligenza il senso di quanto accaduto.
L’umanità globale
Il primo pensiero che si affaccia alla mente riguarda la consapevolezza del nuovo modello di umanità affermatosi nei decenni appena passati. Sono caduti i confini, le nazioni hanno preso coscienza di non poter rimanere isolate dal resto del mondo, sempre più pressante si fa il riferimento alla globalizzazione, con tutte le sue luci e le sue ombre. Siamo testimoni, e artefici, di una svolta epocale nella storia dell’uomo. I popoli, con tutto il loro patrimonio culturale ed esistenziale, sono spinti a stringere rapporti e collaborazioni tra di loro. Scoprono, così, un grado di interdipendenza estremamente elevato. Fenomeni come l’immigrazione, come le ripercussioni mondiali dell’economia di una sola nazione, come le conferenze internazionali per la soluzione di problemi o la composizione di conflitti, come la nascita dei tribunali internazionali per giudicare i fatti più gravi, e ancora tanti altri fenomeni, stanno a dire il grande desiderio di integrazione dell’umanità. E dicono pure la necessità che il dialogo e la cooperazione promuovano uno sviluppo globale senza escludere nessuno stato e nessun popolo.
Ma di pari passo a questo processo di integrazione dell’umanità cresce la consapevolezza di una profonda ignoranza. I popoli occidentali, in particolare, sono chiamati in causa. Per troppo tempo sembrano aver ignorato l’esistenza di altri popoli, di altri problemi. Si possono citare vari esempi. Tra i primi troviamo i conflitti dimenticati, centinaia di piccole guerre, combattute per le ragioni più disparate, che nel corso degli ultimi 50 anni hanno insanguinato il mondo intero, producendo milioni di vittime, la gran parte civili.
E come trascurare altri drammi? Le ingiustizie sociali, che producono miseria, fame, morte e un clima rabbioso di rivalsa? Tra i vari problemi che affliggono l’umanità troviamo pure i traffici illegali: di droga, di armi, e in tempi recenti, di organi umani. La tratta delle donne e dei bambini ha assunto proporzioni inimmaginabili. Il lavoro minorile, lo sfruttamento, la schiavitù che sembravano estinti, riprendono improvvisamente un posto nelle cronache. L’immigrazione clandestina è diventata una spinosa questione. Le lotte religiose non sembrano essere terminate, se pensiamo che in varie nazioni si viene ancora perseguitati per la propria fede. Vale la pena ricordare qui un solo esempio, quello dell’India. Il governo indiano, democraticamente eletto, è espressione dell’induismo più fondamentalista, e ha ritenuto di trovare nel cristianesimo il nemico giurato dello sviluppo nazionale. Da qui derivano, attualmente, severe restrizioni alla professione della fede cristiana, quando non proprio una persecuzione sistematica. Lo stesso dicasi per l’Arabia Saudita e varie altre nazioni. Alcuni sistemi politici poi si affermano in modo non democratico, mettendo in serio pericolo la stabilità nazionale e internazionale e producendo spesso effetti devastanti a livello culturale e sociale.
Il primo problema di coscienza
Per un credente in Gesù questo diventa il primo problema di coscienza. L’abbattimento dell’ignoranza vuol dire imparare a riconoscere le diversità, ad apprezzarle nei loro giusti aspetti, a ragionare con franchezza sulle note negative, presenti in ogni cultura, che impediscono un autentico ed integrale sviluppo umano. Significa pure, d’altra parte, essere consapevoli e saper apprezzare il proprio patrimonio culturale e religioso, in considerazione degli effetti positivi che ha avuto nella propria vicenda personale e nell’esperienza dell’umanità. Il cristianesimo, pur tra le tante storture introdotte dal peccato degli uomini, ha saputo bonificare, con pazienza e magnanimità, i rapporti umani nel corso di due millenni di storia. È un dato che non si può tacere.
Ad un cristiano che quindi si chiede intelligentemente cosa può fare in questo tempo così angoscioso, bisogna dare una sola risposta: vincere la propria ignoranza. Superare il proprio egoismo, che lo porta a preoccuparsi solo delle cose che lo riguardano da vicino, che soddisfano i bisogni immediati, e a tralasciare quanto occorre per gettare le fondamenta di una pacifica convivenza umana nel mondo globalizzato. Vincere la propria ignoranza vuol dire, anzitutto, non rimanere estraneo alla propria cultura e alla propria religione, creandosi gli strumenti idonei per diventarne completamente padrone. E in secondo luogo aprire la propria mente alla conoscenza di realtà molto diverse dalla propria. Penso, per un momento, a quanta ignoranza circonda il grande tema dell’islam. A quanta ignoranza circonda i popoli e le nazioni meno “appariscenti”, meno turistiche, meno produttive. È una sfida, questa, che ci sentiamo di raccogliere, e in breve tempo anche la nostra parrocchia si prenderà a cuore il compito di sviluppare un progetto formativo in cui integrare la conoscenza di altre culture e altre religioni.
Il secondo problema di coscienza
I tristi eventi degli Stati Uniti hanno messo anche in luce un’altra verità. La violenza non è mai la soluzione di un problema. La violenza rischia di produrre violenza, di introdurre in una spirale di orrore senza fine. Richiama vendette e odii, devasta le coscienze, crea paure, genera sofferenze inaudite.
Noi possiamo rimanere sorpresi amaramente che in questo caso qualcuno abbia scelto la via della violenza e della morte nella prospettiva di una soluzione dei problemi. Credo che saremmo profondamente ingiusti se non considerassimo attentamente un elemento. Non esiste una violenza buona e una violenza cattiva. La violenza buona sarebbe quella procurata da me, la violenza cattiva è quella che subisco. La violenza, a qualunque livello e a qualunque titolo, rimane un modo profondamente antiumano di concepire i rapporti umani. Con queste premesse risulta inaccettabile ogni distinguo. La violenza che procuro non rispettando le regole della convivenza umana, la violenza di chi si approfitta del più debole, la violenza di chi fa un sorpasso azzardato sulla strada, la violenza di chi fa il furbo nella fila agli sportelli, la violenza di chi non paga le tasse: piccole violenze, ma la differenza con quelle grandi risiede solo nell’obiettivo finale. Il principio rimane invariato: procurarmi qualcosa a danno di un altro, strappare ad un altro ciò che non mi appartiene, ciò che non mi compete.
Di questo tipo di violenze possiamo trovare disseminata la nostra quotidianità, ed è per questo che un cristiano oggi, e sempre, è chiamato a diventare un pacifico. “Beati gli operatori di pace – dice il Signore – perché saranno chiamati figli di Dio”. Per inaugurare la nuova epoca di globalizzazione dell’umanità, di integrazione, è necessario per i credenti in Cristo sviluppare un “fiuto” tutto speciale nei confronti della pace.
Il mistero del perdono
In nostro soccorso oggi viene la parola del Vangelo, che ci introduce in un clima di grande speranza, facendoci incontrare un mistero grande, quello del perdono. Il Figlio di Dio offre un’immagine della sua missione, e della natura stessa di Dio, che per un certo verso è sorprendente. Non è l’ira, la violenza a fondare e restaurare il tessuto relazionale umano (prima lettura), ma il perdono. Siamo di fronte alla figura di un Dio che ricerca l’uomo, lo attende, lo accoglie, lo perdona in vista della sua dignità di uomo, non considerando il suo errore e la sua peccaminosità.
Un modo nuovo, diverso di concepire i rapporti umani si affaccia alle soglie delle grandi decisioni dell’umanità. Si possono ricostruire i rapporti umani in modo positivo solo ed esclusivamente a partire dal perdono del peccato. Perciò anche noi siamo quotidianamente impegnati ad assumere questo atteggiamento e questa mentalità. Come cristiani la nostra testimonianza sarà efficace, e come uomini potremo dirci pienamente realizzati, nel momento in cui per superare le difficoltà e i problemi ricorreremo all’arma del perdono.
La nostra preghiera, quest’oggi, mentre si fa intercessione per tutte le vittime di tutte le violenze, mentre si fa richiesta di perdono per le violenze che abbiamo commesso noi, si spinge anche ad implorare da Dio la grazia della pace. Il Signore ci sostenga nel superare la logica della violenza, nel fortificarci alla ricerca di una composizione pacifica dei conflitti, nell’acquisizione di una logica di pace, il cui primo segno resterà per sempre quello del perdono ricevuto e richiesto. Amen.