Di virus, di Chiesa e dintorni

Aggiornamento: 17 Aprile 2020 15:18

Qualcuno ha detto che è stata necessaria una pandemia perché si tornasse a parlare di Chiesa e di ecclesiologia.

A mio modesto avviso, nel 90% dei casi se ne è tornato a parlar male e in maniera sbagliata. Basterebbe dare un’occhiata al documento dei Vescovi dell’Umbria, che ha suscitato tante reazioni negative, ben sintetizzate dall’intervento di un Parroco romano

Con questo post vorrei provare a fare il punto della situazione affatto nuova della pandemia e del suo impatto sociale ed ecclesiale, soprattutto in relazione ad alcune istanze anche di carattere teologico che mi paiono non più rinviabili.

Un dibattito distorto

Tra i primi pensieri sui quali desidero soffermarmi sono le inevitabili distorsioni che si ritrovano nel dibattito attuale a causa di una visione religiosa con un background magico-superstizioso.

Niente colpe, per carità

Sono da rifiutare categoricamente le posizioni di coloro che intendono cercare necessariamente colpe di tipo morale alla base di un evento naturale come una malattia. Anche se espresse da persone che ricoprono incarichi ecclesiali di un certo rilievo si devono considerare retaggi di un pensiero precritico per nulla ispirato alla fede cristiana.

Dio, la sua volontà e i suoi segni

Non sono meno privi di solidità i tentativi di interpretare una volontà o un segno di Dio nell’epidemia in corso. Ho letto l’articolo intenso di Halík pubblicato su Avvenire, che vale davvero il tempo che gli si dedica, e qualcosa di più

Le chiese vuote secondo Halík diventano segno di cambiamento. Citando Agostino, l’autore si domanda: “Questo nostro tempo di cambiamento a livello di civiltà non chiede forse una nuova teologia della storia contemporanea e una nuova visione della Chiesa?“. Alla domanda occorre rispondere che non sono le chiese vuote di questo tempo in qualità di segno a chiedere nuova teologia e nuova ecclesiologia, ma che le premesse di tali novità sono nel dinamismo stesso della vita umana e che semmai la Chiesa sconta i ritardi di una conversione alla quale il Concilio Vaticano II l’aveva avviata.

Sottolineerei il fatto che Dio abbia già espresso la sua volontà in Gesù Cristo e che il segno definitivo, quello di Giona, non richieda ulteriori specificazioni. Mentre sarei più attento ad operare una lettura dei segni dei tempi, sempre pronto però a collocarla nel contesto evangelico che l’ha generata.

Politica malata…

Occorre poi contrastare ogni tentativo di appropriazione di tematiche teologiche ed ecclesiologiche da parte di una politica malata, perché affamata di consenso e povera di contenuti. Se è bene che i pastori legittimi abbiano assunto decisioni in linea con quelle dei Governi dei rispettivi Stati in merito alla partecipazione del popolo alle celebrazioni, si devono respingere al mittente le prese di posizione di chi adopra tali tematiche senza nessuna finalità religiosa ma come meri strumenti della propria brama di potere.

… e tradizionalismo colpevole

Resta purtroppo incompiuta la riflessione aperta sulla saldatura tra posizioni religiose di stampo tradizionalista, che osteggiano sia la riforma della Chiesa sia i vertici che la rappresentano, e settori politici di stampo ultraconservatore, che in apparenza tendono a supportare la Chiesa, anche economicamente, ma con l’evidente scopo di asservirla alle proprie esigenze.

Fin quando non si troverà il coraggio di affrontare con decisione sia il tradizionalismo sia la questione economica nella Chiesa, riemergeranno di continuo i tentativi di strumentalizzazione reciproca, con scarso e nullo valore evangelico.

L’ambiguo ecclesiale

L’emergenza planetaria ha trovato la Chiesa impreparata forse più di altre istituzioni (qui). Mi soffermo su quella italiana, che conosco un po’ meglio. Fin da subito i vertici sono sembrati esitanti, incerti e inviluppati in logiche burocratiche.

Celebro, anzi no, anzi boh

Non sono stati pochi i Vescovi e i preti che hanno trovato esagerate le misure di contenimento e il divieto di celebrare con la presenza di persone. E che quindi hanno contravvenuto i decreti delle Autorità

La contraddizione tra la buona intenzione di compiere un’azione sacra e gli effetti potenzialmente compromettenti la salute delle persone e gli sforzi generosi dei sanitari appare devastante: non apporta benefici all’evangelizzazione, non incrementa la santità personale di chi adotta comportamenti temerari.

Pratiche medievali

Altri, come i Padri Micheliti di Monte Sant’Angelo, hanno rispolverato pratiche medievali apotropaiche elargendo la benedizione addirittura con… la spada di San Michele (sito)! Qualcosa che non accadeva dal 1656.

Prudenza pastorale sorprendentemente scarsa dimostra poca attenzione al bonum animarum, al bene delle anime. Già proporre modelli di pietà popolare seicenteschi rivela insufficiente sensibilità ai successivi sviluppi teologici. Indurre poi in errore circa mere suggestioni (“la spada di San Michele”) addirittura servendosi di una emittente televisiva e approfittando di un giorno liturgicamente forte come la Domenica delle Palme può davvero configurarsi come un grave peccato contro la carità pastorale.

Preghiera a favore di telecamera

Il Papa ha celebrato una liturgia conclusasi con la benedizione eucaristica in una piazza San Pietro vuota e lucida di pioggia, il tutto a favore di telecamera, emozionando il mondo intero e ottenendo ascolti da brividi

Il Papa è perfettamente in linea con la sua sensibilità di Pastore della Chiesa universale quando prova ad individuare gli strumenti spirituali più utili ai più fragili, ai poveri, a quanti soffrono per mancanza di speranza.

Di sicuro Francesco è consapevole che riempire piazza San Pietro, seppur virtualmente, rischia di perpetuare l’immagine di una Chiesa trionfante, anche se sotto l’aspetto dimesso e angoscioso del vuoto. I gesti rituali, le immagini della preghiera-solitaria-con-milioni-di-persone-a-guardare, la scenografia e la regia ancora una volta possono tradire le intenzioni e rendere alla Chiesa un servizio meno utile di quello previsto.

Parroci sul web cercano iscrizioni

Le telecamere stanno ottenendo un grande successo a causa del confinamento domestico anche in campo ecclesiale. Si moltiplicano le esperienze di celebrazioni in streaming, alcuni Parroci, come Dino Pirri, aprono nuovi canali di comunicazione per consentire ai fedeli di seguirli anche da casa

Lo streaming di questi giorni si rivelerà un boomerang. Se in tempo di emergenza la Chiesa può andare legittimamente via web, cosa impedisce che per le innumerevoli occasioni di necessità private ciò non avvenga anche in tempi più ordinari?

È vero, ho scritto in uno dei miei post che il digital priest suonerà meno campane e più app. Ma il senso non era quello di tradurre in bit il bisogno di sacro.

Ho ricordato la chiesa televisiva degli anni ’80 e la chiesa elettrica degli USA. L’Italia dei millemila campanili sembra scoprire oggi la facilità di “offrire” servizi religiosi via web. Talora di soddisfare anche l’umanissimo bisogno esibizionistico, un po’ ingenuo, di certi preti

Alcuni tentativi di stare in rete sono maldestri, altri più professionali. Ciò che rappresenta il cuore della domanda però è esattamente quello “stare in rete” per continuare a fare quel che si è appreso ed insegnato, moltiplicandolo nei millemila nuovi strumenti; cosa che per qualcuno è addirittura fonte di senso religioso, senza tuttavia avvedersi dell’intima negazione del senso liturgico e celebrativo della Chiesa che è tutt’altro che “esibirsi” e “guardare”.

Tutto questo vino vecchio sazierà?

Di per sé sembrerebbero fenomeni diversi, in realtà sono tutti comportamenti riconducibili alla difficoltà di coltivare una sana relazione con Dio e con la comunità, aggravata dallo specifico momento di crisi sistemica. Possiedono diverse luci, ma mostrano soprattutto tante ombre. Come osserva acutamente un altro Parroco, Alessio Leggiero

Nel mio pensiero, la reazione immediata all’emergenza ha dato origine anche a iniziative buone, creative per quello che permette l’intelligenza comune degli attuali bisogni ecclesiali. Con una non piccola ambiguità di fondo. Se mi si passa l’immagine, gli otri nuovi degli strumenti di comunicazione sono i contenitori del vino vecchio che nessuno vuol lasciare perché – si sente dire – è più buono del nuovo.

Si dovrebbe però precisare: “Dimmi quale ecclesiologia hai nel cuore e nella mente, e io ti dirò quale comunicazione farai“, come ebbe ad esprimersi Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, in un’intervista di José Gabriel Vera, a Madrid il 19 novembre 2013. La Chiesa che emerge dalle tante ambiguità rilevate (e comunicate) in questo tempo di emergenza è una Chiesa debole, perché restia alla conversione, abbarbicata sui mattoni delle chiese e delle canoniche, da dove trasmette riti senza i quali sembra che pastori e popolo si sentano squalificati e impoveriti.

C’è del buono

Povertà dei poveri e creatività ecclesiale

Il Papa ha rilasciato un’intervista molto reclamizzata dall’infaticabile Antonio Spadaro

Il Pontefice non aggiunge grandi novità al dibattito: informa di qualche sua sensazione personale, insiste ovviamente nel ricordare i poveri, i più colpiti dalla pandemia e tra le varie cose auspica una Chiesa creativa che guardi al futuro: “Aver cura dell’ora, ma per il domani“. Mi rallegra molto che il Papa l’8 aprile abbia fatto pubblicare le risposte, ovviamente frutto di attente riflessioni, che in tanti ci attendevamo. A più riprese nel mio piccolo avevo cercato io pure – con parole meno autorevoli delle sue – di esprimere un concetto analogo, come ho fatto nel lungo thread del 4 aprile

Mi piace sperare che in ogni Diocesi si possa entrare in una fase creativa dell’azione pastorale nel confronto dei rispettivi Vescovi con preti e laici. Anche nella Diocesi del Papa, dove si avverte la fatica di un percorso condiviso per la difficoltà di pensarlo insieme (sinodalità).

I soldi della CEI

In questi giorni si apprende pure che la CEI ha stanziato altri 200 milioni di euro per aiuti a famiglie ed enti in vista della ripresa. Provenienza dei fondi? 8xmille destinato all’edilizia di culto. Si toglie dal mattone per privilegiare le persone.

Fin da tempi insospettabili avevo auspicato che si spendessero meno soldi in strutture (sempre meno utili e utilizzate) e più soldi in persone e progetti. Le avversità a volte favoriscono le decisioni, e quello che ai tempi di Ruini pareva cosa impossibile, ai tempi di Bassetti è divenuta cosa necessaria.

Un giorno arriverà quando si troverà il coraggio di affrontare anche il discorso dell’8xmille…

Collaborativi nella carità

Allo stesso tempo in una recente lettera del Consiglio Episcopale di Roma (scarica pdf) si fa riferimento alle iniziative intraprese a livello locale dai diversi sacerdoti anche in modo autonomo. Si sottolinea l’uso delle nuove tecnologie, mentre, sotto il profilo dell’impegno caritativo, si evidenziano le collaborazioni messe in atto sul territorio tra le Caritas e vari altri enti, religiosi e pubblici o privati

La Chiesa del terzo millennio dovrà scoprire la sua vocazione di partner della famiglia umana nel realizzare compiutamente la felicità dell’uomo. Questa vocazione si mostra anzitutto nella collaborazione onesta e disinteressata con quanti – enti e persone pubblici e privati – fanno il bene soprattutto dei più poveri.

Questioni aperte

L’emergenza ha consentito di porre in evidenza due questioni che resteranno spinose fintanto non saranno definite con chiarezza.

A. La figura del sacerdote

Tra i primi problemi da affrontare emerge quello della figura dei sacerdoti. Il loro ruolo resta ancora largamente inteso come un ruolo rituale, da esercitarsi in prevalenza all’interno di funzioni religiose. Ciò richiama il testardo rifiuto di ammettere anche nei fatti la sostanziale differenza tra clero religioso e clero diocesano, riconoscendo a quest’ultimo il carattere fondamentalmente secolare, da tempo abdicato in favore di una visione ieratica quasi monacale che non gli appartiene.

Il sacerdote di questi giorni orfano della partecipazione del popolo, con il quale cerca di restare in relazione offrendo lo spettacolo di celebrazioni in solitaria da seguire sugli schermi privati, rimane l’esempio più calzante di una distanza già in precedenza creatasi tra leader e comunità: da una parte il sacro, dall’altra il profano; da una parte l’interprete, dall’altra lo spettatore; da una parte il ministro, dall’altra il suddito.

I fronti su cui muoversi per dirimere la “questione dei sacerdoti” sono dunque due: (1) recuperare l’identità di servizio al sacerdozio comune intrinseca nel sacerdozio ministeriale e (2) ritrovare il corretto esercizio del sacerdozio ministeriale nelle due forme, quella consacrata religiosa e quella diocesana secolare.

B. La Chiesa domestica

Non parlo tanto di laici, tema per nulla semplice, sotto l’aspetto della formazione (ma quale? Quella catechistica, forse?) o della missione (la consecratio mundi?). Argomenti che ci porterebbero lontano, troppo. Parlo di laici in quanto parte della famiglia che il Concilio battezza come Chiesa domestica. Guarda caso in quel paragrafo 11 della Lumen Gentium dove si riflette sul sacerdozio comune esercitato nei sacramenti da parte del Popolo di Dio.

[Dalla missione coniugale] procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale.

Passata la retorica novecentesca di stampo  wojtyłano sulla famiglia, il Concilio impone alla Chiesa di rivedere radicalmente i rapporti tra famiglia e società nel quadro del loro significato religioso. Chiese aperte o chiese chiuse in quest’ottica appare questione marginale, addirittura irrilevante.

Prolegomeni di ecclesiologia epidemiologica

Così l’icastico Antonio Ballarò

Non esistono eventi su scala planetaria, come può essere un’epidemia, che non abbiano influenzato pesantemente e permanentemente i rapporti sociali. Ciò vale anche per la Chiesa. Con lo specifico di un nuovo perimetro di riflessione su se stessa, in un intreccio di antropologia e di ecclesiologia, da sintetizzare in conclusione nei seguenti tre punti.

1. Il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato

L’espressione evangelica dovrebbe orientare nell’attribuire il giusto ordine nella gerarchia dei valori ecclesiali. Il termine “sabato”, che sta ad indicare il giorno più sacro della tradizione ebraica perché sacro a Dio stesso, può essere sostituito da qualsiasi altro termine ecclesiale: vangelo, sacramenti, decreti, prescrizione, tradizione… e mantenere ancora il valore di suprema norma morale.

2. L’unico Popolo di Dio

Nel riprendere tra le mani il Concilio Vaticano II la lettura del capitolo 2 sarebbe da considerare ispirazione di ogni desiderio di riforma. Ricordando che è all’interno di quel capitolo che i padri conciliari hanno collocato non solo i fedeli cattolici, ma in pratica l’intera famiglia umana. Perché Dio desidera che tutti gli uomini siano salvati nell’unico Popolo che lui ha ideato.

3. Vino nuovo in otri nuovi

Infine un’espressione evangelica per qualificare le modalità di interpretazione non solo del ruolo degli strumenti al servizio dell’evangelizzazione, ma dell’approccio stesso del cristiano, coinvolto nel rinnovare se stesso alla luce del vangelo che lo illumina e che lo spinge ad evangelizzare.

Grazie a questa pandemia ho raggiunto la serena conclusione che non sarò testimone diretto delle trasformazioni della Chiesa postconciliare. Un po’ mi spiace, perché le intravvedo, provo soddisfazione nell’immaginare la Sposa di Cristo sempre più bella mentre io potrò contemplare tutto ciò solo da lontano. Un po’ no, sono contento, ho fatto la mia parte, piccola senz’altro, ma il Signore mi ha concesso di ammirare come un grande panorama questo suo disegno d’amore per l’umanità. E tanto mi basta.


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