Discernere nella vita: vocazione e missione
“Come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”
(Lc 12,56)
Fede e discernimento
Corso di Esercizi Spirituali
Figlie della Chiesa
Domus Aurea
19-26 Settembre 2013
Discernere nella vita: vocazione e missione
Fino a quando, Signore,
continuerai a dimenticarmi?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
Fino a quando nell’anima mia proverò affanni,
tristezza nel cuore ogni momento?
Fino a quando su di me trionferà il nemico?
Guarda, rispondimi, Signore mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte.
Nella tua misericordia ho confidato.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza
e canti al Signore, che mi ha beneficato.
(Sal 12)
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Dalla fede al discernimento
Nel quadro dei nostri ES la collocazione del discernimento non può avvenire senza lo sguardo di fede che abbiamo voluto affrontare.
Non dimentichiamo la parola del Signore: Come mai questo momento opportuno non sapete metterlo alla prova? Abbiamo già citato la prima lettera di Pietro, laddove l’apostolo rivolge un’esortazione “ai fedeli che vivono come stranieri (sulla terra come in esilio, paroikia) nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia” (1,1), la quale riassume con un’espressione eloquente il percorso che abbiamo compiuto fin qui:
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime (1,6-9).
Gioia e afflizione, prova e lode fanno parte di quel processo di fede che deve essere “messo alla prova”. Così anche noi, riflettendo sul momento opportuno, cogliamo il senso della nostra fede che viene costantemente messa alla prova, sia dall’esterno che dall’interno.
Tribolazioni, incomprensioni, malattie; desolazioni, aridità, lacrime… Ciascuno conosce le molteplici manifestazioni della prova. E si potrebbe aggiungere, tanto maggiore è l’obiettivo da raggiungere, tanto più forte risulta la prova. Senza prove, come avviene per gli atleti, non si avanza da nessuna parte.
Il nostro avanzamento nella fede, stando alle parole di Pietro, punta dritto alla salvezza dell’anima, spinto dall’amore per Cristo e – come avviene durante un viaggio, quando ci si trova in prossimità della meta – corroborato dalla gioia.
Le scelte che affiorano durante il cammino della fede verso la salvezza richiedono un senso di fede sempre maggiore. Non a caso progredendo nella nostra vita ciò che abbiamo abbracciato quasi d’istinto e con pochi o nessun dubbio da giovani diviene motivo di riflessione e di ponderazione. Ogni singola scelta ci appare gravida di conseguenze; un giovane può ritenerle trascurabili, rimediabili nel lasso di tempo che vede lungo davanti a sé. Una persona adulta pondera ogni possibile aspetto delle sue scelte.
Appartiene ad una dimensione squisitamente umana trovare criteri utili per ammettere le scelte, renderle accettabili e operative. Così anche nella cornice della fede. L’importanza di tali criteri è stata messa in luce anche da S. Ignazio, maestro di discernimento. Egli è consapevole che senza un robusto apparato critico di discernimento gli ES che propone sono destinati a restare un pio esercizio di meditazione. Attraverso il discernimento quello che viene enucleato nella predicazione e nella contemplazione diventa “azione” pura. In modo particolare nel campo della “vocazione” e della “missione”.
Regole per riconoscere gli spiriti
Mi soffermo anzitutto su alcuni aspetti circa il discernimento degli spiriti per l’enorme valore umano e spirituale del lavoro di Ignazio. Il fine che si propone Ignazio con queste regole è “di riconoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima, per accogliere le buone e respingere le cattive” (ES 313). In particolare qui ci interessa parlare di consolazioni e desolazioni.
Secondo Ignazio la consolazione spirituale è uno stimolo interiore “per cui l’anima si infiamma di amore per il suo Creatore e Signore… così pure quando uno versa lacrime che lo portano all’amore del Signore… infine si intende per consolazione ogni aumento di speranza, di fede e carità e ogni gioia interiore” (ES n. 317). La desolazione spirituale è esattamente il contrario: “oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine… così l’anima d’inclina alla sfiducia, è senza speranza e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore” (ES n. 318).
Ciò che fa la differenza tra i comuni stati d’animo o cambiamenti d’umore ai quali tutti siamo soggetti ogni giorno è l’intimo rapporto delle consolazioni e delle desolazioni spirituali con Dio stesso. Infatti come la consolazione in definitiva infiamma di amore per il Creatore, così la desolazione fa provare un senso di separazione da Dio. Tuttavia è importante notare che tanto la consolazione quanto la desolazione non sono da mettere in correlazione con santità o peccato, quasi come se i santi godessero invariabilmente della prima e i peccatori inevitabilmente della seconda. Esse sono condizioni dello spirito che possono esporre sia alla santità che al peccato.
E la santità direi che in questo caso coincide con la capacità di relativizzare se stessi e la propria interiorità. Nell’undicesima regola (ES 324) Ignazio scrive:
Chi è consolato, procuri di umiliarsi e di abbassarsi quanto può, pensando quanto poco vale nel tempo della desolazione senza quella grazia di consolazione. Invece chi si trova nella desolazione pensi che può fare molto con la grazia di Dio, che è sufficiente per resistere a tutti gli avversari, e con la forza che riceve dal suo Creatore e Signore.
Umiltà nella consolazione, fortezza nella desolazione: due grandi vie di santità.
Ma il discernimento, per Ignazio, ha uno scopo ben preciso: “riconoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima, per accogliere le buone e respingere le cattive” (ES n. 313). Come si comporteranno lo spirito buono e quello cattivo in rapporto a consolazione e desolazione?
Ignazio anzitutto distingue tra due generi di persone: coloro che vanno da peccato mortale a peccato mortale e coloro che procedono di bene in meglio. Nei primi, dice Ignazio, il demonio “è solito proporre piaceri apparenti, facendo loro immaginare diletti e piaceri sensuali, per meglio mantenerli e farli crescere nei loro vizi e peccati ”. Lo spirito buono, sempre per costoro, agisce diversamente “stimolando al rimorso la loro coscienza con il giudizio della ragione ” (ES 314).
Mi piace osservare la differenza che esiste tra il primo e il secondo caso: il demonio “fa immaginare”, lo spirito buono “fa ragionare”. L’immaginazione, questo grande dono che il Signore ha fatto all’uomo, nelle mani dello spirito cattivo diventa un modo per estraniarsi dalla realtà, per fuggire dalla ragionevolezza. Lo spirito buono fa sempre tornare con i piedi per terra.
Per i secondi, quelli che procedono di bene in meglio, “è proprio dello spirito cattivo rimordere, rattristare, porre difficoltà e turbare con false ragioni, per impedire di andare avanti; invece è proprio dello spirito buono dare coraggio ed energie, consolazioni e lacrime, ispirazioni e serenità, diminuendo e rimovendo ogni difficoltà, per andare avanti nella via del bene ” (ES 315).
Non sfugge a questo punto che mentre l’azione del demonio è quella di porre impedimenti al progresso sulla via del bene, l’azione dello spirito buono è quella di rimuoverli. Qui finalmente per agitare lo stato d’animo di chi procede di bene in meglio il demonio usa false ragioni. Quante volte abbiamo sentito dire: “quest’opera è troppo grande per me – sono ammalato – nessuno mi considera abbastanza – i superiori sono incapaci – non abbiamo abbastanza soldi“!
L’azione dello spirito buono spinge non tanto a lamentarsi o ad abbattersi, quanto a rinnovare coraggio ed energie, accogliendo le ispirazioni per il bene, donando serenità (una delle più acute mozioni dello Spirito), dando alle difficoltà il loro giusto peso e sapendo che siamo fortificati dalla grazia proprio per superare le difficoltà, non per non averne.
Infine Ignazio si dilunga nel presentare alcune immagini con le quali si comprende meglio l’azione dello spirito cattivo. Egli secondo il santo si può presentare in tre modi:
- “Il demonio si comporta come una donna, perché per natura è debole ma vuole sembrare forte ” (ES 325). Trascurando per un momento l’immagine che Ignazio ha della donna (ricordiamo sempre che si tratta di un uomo del 1500), si rinnova la comprensione biblica del demonio come angelo di tenebre che si traveste da angelo di luce. Quanto può reggere quel travestimento? In effetti, osserva Ignazio, basta opporsi con decisione alle sue lusinghe e lui è costretto a cedere. In caso contrario, mostrare segni di cedimento porta alla rovina.
- “Il demonio si comporta come un frivolo corteggiatore che vuole rimanere nascosto e non essere scoperto ” (ES 326). Le sue astuzie devono far danno all’interno dell’animo, per questo corteggia di nascosto. La medicina proposta in questo caso da Ignazio è aprirsi con un confessore.
- “Il demonio si comporta come un condottiero che vuole vincere e fare bottino ” (ES 327). Nell’assalto all’anima egli opera un assedio e cerca di trovare i punti deboli delle virtù teologali, cardinali e morali dai quali cominciare a penetrare le difese. Superfluo evidenziare che la soluzione si trova nel fortificare le virtù con la pratica e la penitenza.
Conoscere esattamente il modo con il quale agisce il nemico ci aiuta ad evitare di essere sopraffatti sulla via del bene. Nelle prossime meditazioni torneremo ad attingere ancora dalle parole di Ignazio, per approfondire alcuni aspetti dell’azione degli spiriti.
Regole per sentire con la chiesa
Ora vorrei invece che ci soffermassimo su alcune delle 18 regole che Ignazio indica per un “retto sentire” con la Chiesa. Tralasceremo certi riferimenti di Ignazio a querelles molto vive ai suoi tempi, meno impegnative per noi oggi.
L’importanza del “sentire” nell’orizzonte di Ignazio l’abbiamo già ricordata: “non è il sapere molto che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose internamente” (ES 2). Questo aspetto rende Ignazio di una modernità impressionante, se pensiamo a quanto i contemporanei siano preoccupati del “sentire” in tutti i suoi risvolti, dalle emozioni al sentimento puro.
Nel “sentire con la chiesa” di Ignazio tuttavia è racchiuso qualcosa di più. Si tratta di un camminare con la Chiesa, di un convertirsi nell’abbandono fiducioso alla sua maternità, di un abbracciare nuovi modelli di comportamento e di stili di vita.
Anzitutto Ignazio esorta a mettere da parte “ogni giudizio proprio” (ES 353) al punto da essere sempre pronti a credere a quanto stabilito dalla Chiesa, anche se contrario alla propria mentalità (“quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica”, ES 364).
Ma soprattutto nel sentire con la chiesa vale la lode, cioè nel linguaggio ignaziano una considerazione alta, pubblica, convinta degli strumenti di santificazione che Dio ha messo nelle mani dell’uomo. Così Ignazio riconosce un posto di onore alla celebrazione della Messa, gioiosa, partecipata, piena di canti e di preghiere, e della confessione frequente (ES 354-355); alla vita consacrata con i voti di obbedienza, castità e povertà, addirittura più che alla vita matrimoniale (ES 356-357); ma anche alle pratiche di devozione (culto delle reliquie), di penitenza (digiuni, pellegrinaggi), di pietà (elargizioni, elemosine) e ai precetti della Chiesa (ES 358-361).
Inoltre Ignazio raccomanda di approvare e tenere in considerazione le disposizioni e i comportamenti dei superiori, sia civili che religiosi, anche nel caso non fossero buoni per evitare lo scandalo pubblico e delle “persone semplici”; per quanto, avverte il santo, “può essere vantaggioso parlare dei loro cattivi comportamenti alle persone che possono portarvi rimedio” (ES 362).
Ignazio conclude gli ES con la diciottesima regola per “sentire con la Chiesa”. In essa enuncia quello che i gesuiti considerano un autentico programma di vita: “Si deve stimare più di tutto il servizio di Dio nostro Signore per puro amore, tuttavia si deve lodare molto anche il timore della sua divina Maestà” (ES 370). Amore e timore. Con molto senso pratico e realismo Ignazio sa che non sempre si riesce a conquistare un così grande risultato come quello del puro amore; ma il risultato, servire Dio liberandosi dal peccato mortale, è così importante che anche “il timore servile aiuta molto”.
Grazie ad Ignazio è chiaro che Dio parla un linguaggio vicino all’uomo, si direbbe perfettamente intimo ed integrato a lui. La fede “astratta” non esiste; l’esperienza dei profeti ci hanno mostrato in che modo Dio entra in dialogo con la sua creatura. Nella tradizione della vita spirituale la risposta – squisitamente umana – a Dio che chiama ed invia trova sostegno da virtù umane come la prudenza e il consiglio. Grazie ad esse il discernimento si rende possibile nella concretezza delle situazioni.