Donne, dududu
Questo articolo è apparso nella news letter il foglio – Informazioni per gli Universitari del Settore Ovest l’11 novembre 1995
Donne, dududu
Intere generazioni hanno dedicato il meglio della loro produzione culturale a sante, spie, eroine, femministe, lavoratrici, casalinghe, mogli, madri, amanti… cambia qualcosa se cambia la donna?
di Ugo Quinzi
Supponiamo per un momento di andare dritti sparati verso la costituzione di un mondo ginecentrico (bel termine, mi piace, l’ho adoprato apposta per suggerire i limiti del termine antropocentrico, troppo esposto al mai abbastanza deplorato veteromaschilismo lessicale). Supponiamo per un momento che anche gli occhi più ostinatamente refrattari alla visione di un mondo al femminile si convertano improvvisamente e si mettano ad ammirare estasiati il flusso femminile che attraversa e seduce il cosmo, più o meno come si viene ipnotizzati dalle copertine patinate dei rotocalchi. Questa ubriacatura di donna da qualche parte alla fine arriverebbe.
In un fantastico mondo in gonnella per esempio arriverebbe a rovesciare il giuoco dei ruoli, le casalinghe diverrebbero un lontano ricordo della memoria sociale e cederebbero il passo a robusti signori forniti di relativa parannanza. Potremmo persino ipotizzare una chiesa cattolica con la gerarchia totalmente cambiata, agli uomini proibito diventar preti, e il papa una bella signora su tacchi a spillo. Donne, dududu – dice la canzone – in cerca di guai…
Scherziamo, naturalmente. Chi ce lo fa fare ad attirarci le ire delle femministe o dei maschilisti, che sarebbero le opposte squadre del nostro grande giuoco, se percepissero anche solo lontanamente un alito di ostilità nei loro confronti? Siamo in clima di distensione dei rapporti, non vale la pena guastarceli per un nonnulla. Ma una cosina piccola piccola, se non proprio dirla apertamente, lasciatemela almeno sussurrare. Amo fermarmi spesso a riflettere sull’infinita fonte di ispirazione che ha rappresentato la donna per l’arte nel corso dei secoli. E mi sovviene la domanda di prammatica: perché? Perché questa creatura, senza far niente di più di ciò che è, ha mosso intere generazioni a dedicarle il meglio del proprio genio culturale? E badate, non faccio distinzione tra artisti uomini e artisti donne, in discussione non è il “produttore”, ma il “soggetto”. Di converso mi chiedo se in tempi più recenti questo trend sia cambiato, e perché e se il cambiamento sia da considerarsi positivo.
Sì, mi sembra chiaro che mentre il mondo auspica la provvidenziale apertura della prima era femminile, la donna perde il suo potenziale ispiratorio. Oddio, già il fatto che la storia, scritta come si sa quasi tutta al maschile, si pieghi a ritrovare una dimensione in cui le donne occupino il loro giusto spazio vuol dire sostanzialmente riconoscere loro una carica di umanità diversa da quella dell’uomo e ad essa complementare. Fin qui ci siamo tutti. Ciò però non spiega perché gli artisti dei secoli andati trovassero appagante creare per le loro donne dei veri e propri monumenti, spesso imputabili di puerile idealismo, pur sempre dettati da convinzioni sincere; mentre quelli presenti mollano con pari tenacia l’universo femminile.
È cambiato il senso dell’arte, chi lo nega, ma è cambiata anche la donna. La donna non è più un mistero. Per dirla con il geniale Jonesco “a forza di spiegazioni a tutti i costi, il miracolo è stato chiarito fino alla sua completa sparizione: in conformità con l’assioma secondo il quale ciò che diventa chiaro non è interessante“. La donna è cambiata, perché lei per prima si è lasciata spiegare, chiarire, affermare, e ciò che doveva rappresentare il suo sviluppo ha costituito il suo dissolvimento.
Supponiamo, ora, per un momento di andare dritti dritti verso la costituzione di un mondo ginecentrico. Ecco, attraversando questo mondo io mi aspetterei di ritrovare, sotto nuove forme, s’intende, in altri modi, il mistero, il miracolo della donna, un traslucido segno grandioso a cui affidare i destini dell’uomo. Non varrebbe la candela il giuoco in cui, lasciato il mondo così com’è, cambiasse solo il sesso di chi lo manovra.
Care donne, prendete tutti gli spazi che vi appartengono di diritto, cercate di convincere la nostra folle terra che non siete semplicemente l’altra metà del cielo, insegnate agli uomini come si deve vivere in Cristo il “né uomo né donna” di paolina memoria, ma, vi prego, ridateci il gusto del miracolo e del mistero, o, se preferite, lasciate che il mondo torni a sognare e a sperare nei vostri gesti, nelle vostre voci, nei vostri pensieri. E nei vostri versi: “Poco ormai / è offerto al sogno. Ho immaginato / di rovesciare il mondo / con tempeste di fantasia” (Adriana Scarpa).