“E se i giusti fossero solo dieci?” Omosessualità e dintorni

4. Il pregiudizio sulla Chiesa cattolica

Parlo di pregiudizio “sulla” Chiesa cattolica e non “della” Chiesa cattolica perché voglio pormi nella prospettiva di chi legga nel modo il più disincantato possibile pensiero e azioni della Chiesa cattolica sul tema dell’omosessualità. E quindi comprendere la natura del pregiudizio che l’accompagna e si rafforza con il crescere dei movimenti di opinione a favore dell’omosessualità.

Mentre preparo questo post sento estremamente opportuno e urgente dedicare all’argomento un articolo completo e mi riprometto di farlo quanto prima. Mi sono reso conto infatti di quanto possa essere difficile affrontare un dialogo facendo scendere in campo concetti che sono stati sottoposti ad un lungo processo di usura e di svuotamento fino a renderli obsoleti e inutilizzabili: come per esempio “natura” (in riferimento alla “natura umana”), “legge” (in riferimento alla “Legge divina”), “coscienza”, “etica” e così via. In definitiva tutto lo strumentario tecnico che dovrebbe trovarsi nelle mani di un teologo o di un prete sembra polverizzato.

Lo scollamento tra dottrina della Chiesa e realtà sociali ha radici lontane

Non da ultimo si deve riconoscere che l’antropologia di matrice cristiana non esercita più una grande attrazione verso l’uomo moderno, riducendo ulteriormente le possibilità di trovare punti comuni per una soluzione dei problemi. Il disagio si avverte maggiormente nel tentativo di trovare una lingua comune sul terreno della morale.

In un memorabile discorso del 1974 il Beato Paolo VI indicava le ragioni di uno scollamento che la Chiesa avvertiva profondo già allora: 1) separazione della morale dalla religione; 2) rifiuto della dottrina morale della Chiesa e accettazione del relativismo favorevole alle tendenze «amorali» della vita moderna; 3) scomparsa del senso del dovere, nella vita sia personale che sociale, in favore di un proclamato diritto alla libertà indiscriminata. Insomma il “Papa tormentato” coglie quello che appare lo “sconcerto dell’uomo”: “L’uomo non sa più dove sia il bene e dove il male, né a quali criteri egli possa affidarsi… Si è abbandonata una filosofia pragmatista per ascoltare le tesi del relativismo”. Se dovessimo riassumere il pregiudizio principale sulla Chiesa cattolica in una parola è che essa si presenta in una veste “assolutista”: assertiva (contro ogni dubbio che pare il motore della scienza, senza nulla concedere al contraddittorio) e apodittica (contro ogni ragionevole evidenza, senza poter concedere dimostrazioni).

Mentre la storia umana, sempre più conosciuta e meglio riconosciuta, procede a tappe che spesso rinnegano o modificano quelle precedenti mostrandone il valore temporaneo, occasionale, contingente, per nulla infinito, la Chiesa rivendica per sé il diritto di dire cose eterne, generali, necessarie, per nulla transitorie. Ma poiché dalla cultura moderna è posto in discussione lo stesso esistere di Dio, diventa manifesta l’inutilità di un ente che pretenda di rappresentarlo tra gli uomini e prive di validità le sue asserzioni.

Nella più benevola delle ipotesi alcune correnti di pensiero trovano inaccettabili le pretese di qualsiasi religione si presenti come unica religione autorizzata da Dio. In un clima di globalizzazione e di multiculturalità non si comprende perché e in base a cosa una religione debba avere il sopravvento su di un’altra. Quanto la Chiesa cattolica afferma, quindi, non può trovare accoglienza se non in termini di sostanziale compromesso con le religioni e le culture correnti.

Non manca nemmeno la polemica rappresentazione di una Chiesa che dottrinalmente predica (forse) bene ma praticamente si comporta in maniera difforme. La critica principale in questo caso tocca esattamente quell’ambito morale nel quale la Chiesa cattolica si vorrebbe proporre come maestra autorevole: il ricordo di errori e di comportamenti odiosi del passato e del presente pare legittimare i contemporanei a rifiutare in blocco le affermazioni della Chiesa su questioni che la modernità cerca faticosamente di risolvere con i suoi soli mezzi.

Le condizioni del peccato applicate agli atti sessuali

In questo panorama il tema dell’omosessualità non fa eccezioni. Esso fa parte dei temi svolti dalla Chiesa cattolica nel corso dei secoli nell’ambito della teologia morale sessuale. In questo ambito il sesso in quanto tale, e il piacere in senso lato, è stato per lungo tempo rappresentato come qualcosa di negativo e di gravemente peccaminoso.

Nella vecchia buona teologia morale si argomentava che le condizioni per definire un peccato erano tre: 1) materia grave (la consistenza dell’oggetto dell’azione malvagia); 2) deliberato consenso (la scelta libera e consapevole di compiere l’azione malvagia); piena avvertenza (l’informazione completa sul fatto che l’azione fosse malvagia). L’assenza di uno solo di questi tre elementi o la loro attenuazione qualificherebbe la caratteristica del peccato, derubricandolo da peccato grave (mortale) a peccato lieve (veniale: il furto è sempre azione malvagia, ma si tratta di peccato veniale quando la materia è lieve come nel caso del furto della marmellata di mamma) o addirittura nessun peccato (come nel caso di chi ignorasse di commettere un’azione malvagia per mancanza di conoscenza del valore peccaminoso di quella determinata azione).

Poiché – sosteneva la tradizionale teologia morale – nella sfera sessuale c’è sempre materia grave (si tratta della corporeità della persona umana, tempio dello Spirito Santo), sempre deliberato consenso (altrimenti sarebbe violenza carnale), sempre piena avvertenza (impossibile per chiunque ignorare il valore dell’atto sessuale), ciò vuol dire che qualsiasi azione nell’ambito della sessualità è peccato mortale. Dal guardare un’immagine conturbante ad un atto onanistico, dal rapporto coniugale ad una relazione omosessuale. Quest’ultima con l’aggravante di essere un peccato che “grida vendetta al cospetto di Dio” (vedi sopra), mentre una scusante era prevista per il rapporto coniugale concesso da Dio alla coppia umana – stando alla scolastica – come remedium concupiscientiae (rimedio del disordinato desiderio sessuale).

Insomma: una tragedia. La riflessione filosofico teologica della Chiesa cattolica, nelle sue sottigliezze e argomentazioni razionali, rende onore alla verità. Ma amaramente non pare essere riuscita a rendere giustizia alla carità.

Un nuovo umanesimo

Dobbiamo a Papa Benedetto XVI con la sua enciclica Caritas in veritate, che approfondisce come tema specifico la dottrina sociale della Chiesa, aver tracciato la via per superare l’empasse di una teologia stanca come anche di un’antropologia atea:

La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra come dono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell’ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento. È la consapevolezza dell’Amore indistruttibile di Dio che ci sostiene nel faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo dei popoli, tra successi ed insuccessi, nell’incessante perseguimento di retti ordinamenti per le cose umane. L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attuare, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sempre meno di ciò a cui aneliamo. Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande.

Ritengo che il pensiero di Benedetto XVI non si rivolga solo a quanti deliberatamente escludono Dio dal proprio orizzonte (“chiusura ideologica a Dio”), ma anche a coloro che, più o meno consapevolmente, distorcono la figura di Dio rendendola incomprensibile e dissimile dal Dio rivelato da Gesù di Nazaret. Problema affrontato dal Concilio Vaticano II circa la genesi dell’ateismo e che io ho ricordato qui. Anche questo atteggiamento potrebbe essere visto come “chiusura ideologica a Dio”, quando un credente (ad ogni livello: laico, prete, suora, vescovo…) predica il dio che ha nella sua testa e non Colui che si è rivelato nel mistero dell’Incarnazione, della Passione e della Risurrezione, il Redentore dell’uomo. L’argomento tocca quindi la missione stessa della Chiesa, il suo stile di presenza in mezzo agli uomini, la sua capacità di portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio.

Rifiutare la chiesa “satanica” per abbracciare la Chiesa pastorale

La distinzione che si opera a questo livello permette di lasciar parlare la “teologia pastorale”, che si distingue da altri ambiti della teologia perché si propone l’obbiettivo non tanto di speculare teoreticamente sulle verità di fede quanto di trovare insieme all’uomo contemporaneo le vie della conversione, della conoscenza e dell’amore di Dio, della santità di ogni persona in ogni condizione di vita. In particolare ciò che indica la teologia pastorale è come e dove trovare le forme ecclesiali giuste perché sia compreso e accolto l’amore di Dio e perché sia operato coraggiosamente il bene di tutti. Questo chiama radicalmente in causa funzione e ruolo della Chiesa nel mondo. Se Gesù dice di essere venuto non per giudicare e condannare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo suo (cfr Gv 12,47), in nessun caso è consentito alla Chiesa di comportarsi diversamente. Penso che sia facile per gli uomini e le donne di Chiesa correre il rischio di trasformarsi in accusatori (in ebraico l’accusatore è il satàn, satana) quando puntano il dito sul peccatore o sulla persona moralmente fragile. La Chiesa che si ispira all’accusa è una chiesa satanica. La Chiesa cattolica si ispira ad altre figure. Figure come quella di Abramo che intercede per Sodoma e Gomorra contrattando con Dio le condizioni della salvezza delle due città (cfr Gn 18,23-32) o quella di Mosè che intercede per il popolo addirittura convincendo Dio a tornare sulle sue decisioni (cfr Es 32,11-14) sono paradigmatiche per una Chiesa che non voglia ripetere l’errore di rifugiarsi nella sua elezione come fosse la torre d’avorio dalla quale lanciare i suoi anatemi.

Se la Chiesa fatica a far comprendere l’amore di Dio per ogni creatura, soprattutto le più deboli, le più indifese, le più reiette, e a far comprendere che Dio desidera il bene e la felicità di chiunque e vuole che i suoi figli si impegnino per realizzarli, ha fallito la sua missione. Non si tratta di una ipotesi di scuola, quella del fallimento. Un piccolo gregge fedele resterà sempre, secondo le parole del Signore, ma ciò non è garanzia che l’intera Chiesa visibile sia immune dal fallimento. E la storia di duemila anni dovrebbe insegnare qualcosa al riguardo, anzitutto a noi cristiani. Del resto sono molti quelli che dentro la Chiesa invocano comprensione e respingono forme di anticlericalismo affermando che non si può condannare in blocco l’intera cristianità per gli errori commessi da una minoranza di cristiani, oppure persino da una maggioranza, in tempi difficili da capire e comunque da contestualizzare.

Sapienza del cuore e compassione per aiutare le persone ad incontrare Dio

Probabilmente oggi i figli della Chiesa dovrebbe applicare anche ad altre situazioni quello che invocano per se stessi. In primis ricordando che le sottili questioni teologiche rischiano di imporre sulle spalle della gente pesi che essi stessi non sono in grado di sopportare (cfr Mt 23,4). È ancora attuale, per esempio, una definizione di peccato che non tenga conto del fatto che il male oggettivo non è sempre soggettivamente imputabile, neanche nell’ambito sessuale? Troppi fattori, genetici, personali, sociali, influenzano la consapevolezza e la libertà del soggetto che finisce per considerare un “bene-per-sé” ciò che non è tale, indebolendone oggettivamente la responsabilità. Gli spiriti più illuminati sanno pure, con quella sapientia cordis che solo la com-passione del pastore può avere, che la gravità della “materia” del peccato, il suo peso, non dipende dalle loro virtù: il metro di paragone dell’uomo è Cristo, non un altro uomo, per quanto santa possa essere la sua vita, e Cristo vuole che tutti gli uomini siano liberi. Davanti a lui ogni peccato, per quanto piccolo, è un vincolo che non consente all’anima di librarsi in volo: “Poco importa che un uccello sia legato a un filo sottile o grosso; anche se sottile, finché sarà legato, è come se fosse grosso, perché non gli consentirà di volare. È vero che è più facile spezzare il filo sottile; ma anche se facile, finché non lo spezza, non vola” (S. Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, lib. I, cap. 11, n. 4). La Chiesa esiste per spezzare vincoli, non per renderli più pesanti di quello che sono in realtà, annodati, infrangibili; e quindi per aiutare le persone a semplificare, a non aver paura di Dio, a desiderare una vita sempre più realizzata e completa e ad accompagnarle nelle loro difficoltà. Riconoscendo che non tutti siamo uguali, sia nelle caratteristiche di base sia nelle possibilità di sviluppo, che Dio benedice più gli sforzi che i risultati, che i forti hanno il dovere di sostenere i deboli. E soprattutto che occorre sempre tenere distinto il peccato dal peccatore, perché mentre il primo si deve condannare come qualcosa che “fa male”, il secondo è sempre da accogliere, da perdonare, da amare (cfr Pacem in terris n. 83).

Un linguaggio schierato non rispetta sempre la verità

In secondo luogo si deve riconoscere che i linguaggi della Chiesa non sono sempre stati in grado di esprimersi per farsi comprendere e accettare. Si possono citare in proposito i documenti pubblicati da varie fonti della Chiesa in merito alla questione omosessuale. Il Gruppo Emmanuele di Padova (un gruppo di omosessuali credenti) li ha raccolti in una sezione del suo sito e si trovano seguendo il link, in una versione più completa di quella offerta da Antonella Montano “Chiesa e omosessualità” in Tonino Cantelmi – Emiliano Lambiase Omosessualità e psicoterapie. Percorsi, problematiche e prospettive, FrancoAngeli 2010. Nello specifico ho già avuto modo di esprimermi riguardo alcune posizioni della Montano in un altro testo (vedi qui). La tesi di fondo della psicoterapeuta è che la posizione della Chiesa cattolica sia “fortemente” lesiva della dignità delle persone omosessuali (Montano 2010, p. 114), rifletta una visione biblica impoverita (Montano 2010, pp. 133-135) e proponga una condotta di vita alternativa causa di forte disagio se non di vero e proprio conflitto (“omofobia interiorizzata”; Montano 2010, pp. 115-116). Pur non potendo del tutto escludere “l’impatto negativo del conflitto tra omosessualità e religione sulla salute mentale” (bisogna sempre considerare quale religione e in che modo viene presentata), in questo senso credo di trovarmi maggiormente d’accordo con quanto affermato da Vittorio Lingiardi – Nicola Nardelli “Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali” in Etica Competenza Buone Prassi. Lo psicologo nella società di oggi, a cura dell’Ordine degli Psicologi del Lazio [OdPL], Raffaello Cortina 2013: “Se, come clinici, ci schierassimo dall’una o dall’altra parte, sminuendo quindi l’importanza o dell’omosessualità o della religione, non faremmo altro che riprodurre e rinforzare il conflitto, e non aiuteremmo il nostro paziente. Il lavoro clinico dovrebbe invece favorire il dialogo e l’integrazione delle parti di sé in conflitto, cercando, di fronte ad eccessive polarizzazioni, una «terza posizione»” (p. 258).

Ovviamente non si riduce tutto a banale critica di “linguaggi” incomprensibili, ma si tratta di ciò che si potrebbe definire “dialogo tra sordi”: tra i documenti ecclesiali che non fanno molti sforzi per farsi comprendere e aggiornare il proprio modo di comunicare nel terzo millennio cristiano e terapeuti ed esperti in discipline umane che in qualche caso ancora si ostinano ad attribuire a Bibbia e teologia il potere magico di far ammalare o viceversa – a condizione della loro più favorevole interpretazione e/o modifica e/o scomparsa – di curare le persone. Devo dare atto alla Montano che i documenti da lei riportati, nonostante gli intenti e i titoli, sono pastoralmente poco efficaci. Poco hanno, cioè, di quelle indicazioni metodologiche e fattuali che animano l’azione quotidiana dei ministri delle comunità cristiane chiamati a lenire le ferite, sostenere i vacillanti, consigliare i dubbiosi, predicare l’anno di grazia del Signore. Si coglie chiaramente in alcuni documenti la preoccupazione di condannare posizioni diventate critiche, in particolare una: la tendenza a sopprimere la qualifica di peccato per l’omosessualità, vuoi intervenendo sulla Scrittura, vuoi intervenendo sulla teologia.

Contesto storico dei documenti ecclesiali: la risposta della Chiesa come reazione

Contestualizzando storicamente l’uscita dei principali documenti che affrontano la questione delle persone omosessuali siamo in grado di comprendere che il loro linguaggio è frutto principalmente di un background polemico. I documenti sono i seguenti:

Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana. Alcune questioni di etica sessuale (1975)
Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura delle persone omosessuali (1986)
Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (2003)
Congregazione per l’educazione cattolica, Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (2005)

Nel 1969 i moti di Stonewall danno inizio al movimento di liberazione omosessuale. Nel 1972 la settima ristampa del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders rimuove l’omosessualità dalla classificazione psicopatologica. La questione non passa inosservata alla Chiesa cattolica e il documento Persona humana nel 1975 recita: “Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti” (n. 8). Senza trascurare il fatto che “nell’azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale” (ib.).

La Chiesa si interroga sulla pastorale per le persone omosessuali

Per restare in Italia, gli anni ’80 si caratterizzano per una intensa attività di propaganda e di promozione di associazioni di indirizzo omosessuale. Storica l’azione dimostrativa di Enzo Francone a Mosca per protestare contro la legislazione particolarmente aggressiva nei confronti degli omosessuali (qui il numero di Fuori ! Notizie e il link originale; consultando il sito www.omofonie.it si attinge ad una poderosa fonte bibliografica di cultura omosessuale); non meno importante nel 1983 la tragica fine di Mario Mieli, figura controversa del panorama omosessuale italiano, che si saldava idealmente a quella di Pierpaolo Pasolini, avvenuta nel 1975; la grande unificazione di quasi tutti i gruppi gay italiani nell’Arci Gay nazionale (storia Arcigay 1980-2006) avvenuta nel 1985 (a seguire del primo congresso nel 1982 a Palermo). Nel documento sulla cura pastorale delle persone omosessuali emerge tutta la preoccupazione dei Vescovi: “Oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all’interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all’interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa” (n. 8)… Anche all’interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l’insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo (n. 9)”. Non si deve tacere però che la Chiesa è diventata più consapevole della grave condizione nella quale versano le persone omosessuali soprattutto quando subiscono vessazioni: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni” (n. 10).

L’UE raccomanda le unioni tra persone dello stesso sesso

Il dibattito sulle unioni civili e il matrimonio delle persone dello stesso sesso si fa gradualmente strada fino ad ottenere un valore di riconoscimento giuridico. Storici alcuni articoli sul citato Fuori ! Notizie; altrettanto importanti, in questa direzione, le decisioni dei governi dell’Unione Europea a seguito delle risoluzioni del Parlamento Europeo, che nel febbraio 1994 approva una risoluzione sulla parità dei diritti degli omosessuali nella Comunità (qui il pdf, fonte Senato della Repubblica Italiana) fino a giungere a settembre 2003 ad approvare la risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea (link) nella quale “raccomanda agli Stati membri di riconoscere, in generale, i rapporti non coniugali fra persone sia eterosessuali che omosessuali, conferendo gli stessi diritti riconosciuti alle persone sposate, adottando tra l’altro le disposizioni necessarie per consentire alle coppie di esercitare il diritto alla libera circolazione nell’Unione” (n. 81). In questo clima, in previsione del dibattito sulla risoluzione del 2003, le considerazioni (non ascoltate) della Congregazione per la Dottrina della Fede concludono perentoriamente: “La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società” (n. 11).

Omosessualità e pedofilia tra i preti: decisioni drastiche della Congregazione

Nel frattempo esplode nella Chiesa cattolica il drammatico caso dei “preti pedofili”. Ci si rende conto che omissioni, silenzi, coperture, a volte vere e proprie complicità hanno contribuito ad alimentare un mai abbastanza stigmatizzato fenomeno di violenze e di abusi su minori, violenze e abusi in larga parte commessi da coloro che avrebbero dovuto proteggerli e servirli. L’interrogativo intorno alle modalità di formazione nei seminari si fa tanto pressante da costringere nel 2005 la Congregazione per l’Educazione Cattolica a diffondere un’istruzione nella quale proporre i criteri di ammissione al Seminario delle persone omosessuali. Il documento ribadisce la dottrina classica della Chiesa: ” Dal Concilio Vaticano II ad oggi, diversi documenti del Magistero – e specialmente il Catechismo della Chiesa Cattolica – hanno confermato l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Il Catechismo distingue fra gli atti omosessuali e le tendenze omosessuali. Riguardo agli atti, insegna che, nella Sacra Scrittura, essi vengono presentati come peccati gravi. La Tradizione li ha costantemente considerati come intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale. Essi, di conseguenza, non possono essere approvati in nessun caso. Per quanto concerne le tendenze omosessuali profondamente radicate, che si riscontrano in un certo numero di uomini e donne, sono anch’esse oggettivamente disordinate e sovente costituiscono, anche per loro, una prova. Tali persone devono essere accolte con rispetto e delicatezza; a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Esse sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare”. In conformità a tale insegnamento, il documento perciò respinge la possibilità che le persone omosessuali possano accedere agli ordini sacri: “Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d’intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione[9], non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate” (n. 2).

Unioni omosessuali: no matrimonio, no famiglia

In realtà questi documenti non rappresentano una parola definitiva. Il Sinodo straordinario sulla famiglia tenutosi nel 2014 ha prodotto un documento finale dal titolo “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” e al n. 55 è tornato a respingere l’ipotesi di assimilare le unioni tra persone dello stesso sesso a quelle matrimoniali e/o familiari (link). Introduce quindi un concetto nuovo al n. 56: il condizionamento degli aiuti economici ai paesi poveri obbligati a istituire il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso.

Con disincanto potrei affermare che il rifiuto del Sinodo non è riservato tanto alle unioni tra persone dello stesso sesso, quanto all’equiparazione di tali unioni (come anche quelle civili) al matrimonio/famiglia, come richiesto invece dalla risoluzione del Parlamento europeo 2013.

In sintesi: una Chiesa troppo “reattiva” e poco “pastorale”

In questa rapida analisi, considerando il tenore delle affermazioni e osservando con obbiettività il contesto, occorre fare due annotazioni.

  1. La preoccupazione della Chiesa di “reagire” a movimenti sociali che in apparenza non sembra comprendere in tutto il loro spessore (lotta contro “persecuzione” delle persone omosessuali attraverso legislazioni irragionevoli e disumane, grave stigma sociale dell’omosessualità spinto fino alla discriminazione, drammi personali dovuti all'”omofobia interiorizzata”) mette in secondo piano il bene supremo della vita e dell’incolumità delle persone e facilita documenti che possono indurre la sensazione di un’alleanza tra la teologia della Chiesa e le frangie della società civile più estremiste e meno tolleranti.
  2. Nonostante le buone intenzioni, nei documenti si osserva la mancanza di un vero “progetto pastorale” a livello della Chiesa locale e a livello della Chiesa universale. Sembra che la Chiesa “insegua” invece di “anticipare profeticamente” l’evoluzione delle relazioni umane (questo vale su molti piani diversi: da quello del lavoro e dell’economia a quello della politica a quello della famiglia), così come sia incapace di stabilire occasioni di “cura pastorale” delle situazioni di maggiore sofferenza e men che meno di strategie pastorali.

La seconda annotazione pone in evidenza il ritardo della Chiesa nella sua attività pastorale verso le situazioni nuove ed ineludibili, come anche nei confronti delle situazioni di marginalità. C’è da pregare e da invocare il dono dello Spirito Santo, affinché rinnovi la faccia della terra ma, prima ancora, cerchi di rendere meno gelidi i cuori dei fedeli.

Le “considerazioni” della Congregazione non sono dogmatiche né normative, ma solo “politiche”

Bisogna in ogni caso soffermarsi un poco sui documenti citati per alcune osservazioni di carattere “formale”. Fermo restando, infatti, l’autorevolezza delle fonti (Congregazione della Dottrina della Fede, Congregazione dell’Educazione Cattolica) non bisogna dimenticare che il valore normativo di un documento ecclesiale si caratterizza sia per la fonte, sia per il “tenore” delle espressioni, sia per l’argomento sviluppato, sia per il suo contenuto dogmatico, sia per le “intenzioni teologiche”. Ora non v’è dubbio che nei documenti citati si esprimano in modo autorevole posizioni teologicamente valide e fondanti circa l’omosessualità, attingendo vuoi dalla Scrittura vuoi dalla Tradizione vuoi dal Magistero. Il tenore solenne delle dichiarazioni e la delicatezza dell’argomento avvalorano l’impressione di trovarsi davanti a documenti di grande valore. Nondimeno bisogna osservare che le intenzioni teologiche, se cioè si tratti di un documento dogmatico vincolante in coscienza o di una norma giuridicamente non eludibile o nulla di tutto ciò ma altro, mostrano di essere soggette a ulteriori approfondimenti.

Poiché l’argomento che ci occupa è quello delle unioni tra le persone dello stesso sesso prendiamo in esame il documento del 2003. Anzitutto esso si presenta esplicitamente nella forma di “considerazioni”. Si tratta di riflessioni, senza dubbio autorevoli, fondate sulla tradizione e l’esperienza ecclesiali su argomenti completamente nuovi come quelli del dibattito politico circa le unioni tra persone dello stesso sesso. Si deve apprezzare l’umiltà degli estensori i quali, trovandosi a percorrere strade teologicamente inesplorate, hanno preferito affidarsi a “considerazioni” destinate ai Vescovi per interventi più specifici e ai politici cattolici per indicare loro linee di condotta (cfr n. 1). Il documento lascia supporre che, stante l’attuale dottrina ecclesiale, si deve dare un contributo alla società umana in modo ragionevole e aperto, senza imporre in tal senso comportamenti già prefissati, anzi richiamando il criterio già espresso nell’enciclica Evangelium vitae sulla responsabilità dei politici di limitare i danni di leggi ingiuste (cfr n. 10). Si esclude contemporaneamente che “una legge più restrittiva possa essere considerata come una legge giusta o almeno accettabile”.

Senza dubbio il documento si esprime in termini importanti quando afferma che i politici cattolici hanno il dovere morale di opporsi a leggi che riconoscano legalmente le unioni omosessuali, fino ad affermare che “concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale”.

Per quanto il tenore dell’espressione sia volutamente sanzionatorio, c’è da dire che non è definito né chiaro né dimostrato nel documento (a livello teologico e a livello di scienze umane) il professato nocumento al “bene comune della società” che apporterebbero le unioni tra persone dello stesso sesso. In più occasioni il documento reclama “buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana” (n. 9) senza mai dichiarare né quali siano tali buone ragioni né potendo effettivamente essere consapevole (come lo siamo noi oggi) che a distanza di 10 anni dal timore espresso rispetto all’aumento della “loro incidenza effettiva sul tessuto sociale” non esistono ancora prove del paventato pericolo sociale (vedi oltre). Possiamo quindi concludere che le “considerazioni” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulle unioni tra persone dello stesso sesso abbiano un carattere eminentemente “politico”, perciò contingente e non dogmatico né normativo. Tale conclusione è sicuramente sostenuta anche dall’osservazione circa l’occasione nella quale il documento vede la luce: come sopra ricordato, il dibattito del Parlamento Europeo aveva non poco allarmato i vertici della Chiesa e in previsione della risoluzione citata la Congregazione per la Dottrina della Fede sentì la necessità di esprimere alcuni orientamenti sulle unioni tra persone dello stesso sesso.

Naturalmente la principale preoccupazione è che tali unioni possano mettere in crisi l’istituto matrimoniale, per la quale ragione i Vescovi sono invitati ad intervenire (cfr n. 1). Nello specifico “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (n. 4). Evidentemente se si parla di “unioni”, e se le parole significano ancora qualcosa, non si sta parlando di “matrimonio”, e risulta impossibile assimilare le due cose a meno di artifici linguistici o di salti mortali concettuali facilmente smascherabili. Ma cosa vuol dire “matrimonio” nell’attuale contesto culturale e sociale? Significa ancora quello che intendono gli estensori del documento? Queste domande richiedono una ulteriore riflessione.

Riassunto
Il dialogo tra Chiesa e mondo ha subito una battuta d’arresto per un sospetto reciproco che sembra impedire ad entrambi si ritrovarsi in linguaggi comuni. Alla Chiesa si deve far presente che in qualche caso appare arroccata sulle sue posizioni incapace di comprendere la realtà presente. I documenti prodotti da alcune Congregazioni vaticane sembrano più una reazione a fenomeni sociali profondamente interrogativi ed innovativi che una vera e propria pianificazione pastorale a beneficio delle persone più emarginate o in condizioni di vita maggiormente incomprese. In particolare le considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede sulle unioni tra persone dello stesso sesso mostrano un valore contingente di carattere politico e non universale di tipo dogmatico o normativo.