Effetti mediatici di Giovanni Paolo II
Il processo di affermazione e diffusione degli strumenti di comunicazione di massa (o, come qualcuno preferisce dire – e secondo la terminologia che si è andata imponendo in questi ultimi anni – “mezzi di comunicazione sociale”, sottolineando con questa denominazione più l’aspetto comunicativo di una collettività umana dove l’individuo ricopre un suo ruolo e ha un suo valore al posto di un aspetto massificante e anonimizzante dove gli individui, assorbiti dalla massa, rivestono un banale compito passivo di ricezione) appare irreversibile. Si tratta di un fenomeno non connesso a questa o quella persona. Nessuno, a nessun livello, può agire o pensare “come se” la comunicazione possa avvenire in modi diversi. In astratto la comunicazione ha in sè qualcosa di innato e qualcosa di convenzionale. Nel concreto la comunicazione è figlia della cultura corrente, e in qualche modo la plasma restando sempre e comunque un passo indietro. Intessendo così stretti rapporti con la cultura (di un popolo, di ciascun individuo, di un’epoca storica…), che la comunicazione non può ignorare, la stessa cultura – per potersi esprimere e far conoscere – deve servirsi di atti, processi e mezzi comunicativi che siano recepiti dal ricevente, pena il mutismo concettuale, il silenzio emotivo, l’incomprensione relazionale.
Sostituiamo a “cultura” il termine “persona”: i pensieri precedenti ancora restano in piedi. Non cambia nulla nemmeno se a “persona” sostituiamo il nome di Giovanni Paolo II. Il papa è figlio del suo tempo, ha colto con grande abilità e straordinario tempismo le istanze delle società e dei popoli, ai quali egli ha rivolto il suo messaggio. Con un risultato sconvolgente: la testimonianza unanime di ciascun singolo individuo lascia intuire che l’atto comunicativo ha prodotto l’instaurarsi di un rapporto di prossimità, di vicinanza tale che ciascuno ha avvertito la figura del papa come quella di un familiare, di un amico, di un “papà”, o di un “nonno”. Il che spiega, almeno in parte, le frasi senite spesso ripetere al momento della sua morte: “Devo andare a trovarlo”; “Ha fatto tanto per noi”; “Lui ci ha chiamati e noi siamo venuti”; “Per lui questo ed altro”, ecc. Quel che le società e i popoli sembravano chiedere al papa (come a qualsiasi altro uomo che si interessi della collettività, della massa: politici, governanti, benefattori, calciatori, cantanti, ecc.) sono esigenze strutturali dell’essere umano:
- sentirsi importanti per qualcuno;
- avere la sensazione che qualcuno guidi gli eventi della storia (sociale, popolare, personale, ecclesiale, mondiale, ecc) in maniera palese o nascosta;
- vedersi riconosciuti i propri meriti;
- avere la percezione che qualcuno castiga o perlomeno biasima i prepotenti;
- sentirsi sostenuto nelle difficoltà;
- avere la sensazione che la persona importante non sia distante dalle persone normali, in modo da poterla riconoscere come “uno di noi”;
- avere la sensazione che la persona importante veda cose che le persone normali non vedono, e quindi in tal modo possa confermare la “fede” di chi vede e conosce meno di lei;
- avere la sensazione che dalla persona importante possano derivare alcuni benefici per le persone che ne condividono la “fede”;
- avere la sensazione che la persona importante compia azioni straordinarie che aiutino le altre persone ad affrancarsi dalla depressione dell’ordinarietà.
La comunicazione, perciò, riceve il compito di veicolare i messaggi della persona importante in modo che chi li riceve possa soddisfare le proprie esigenze strutturali. Gran parte del successo comunicativo di Giovanni Paolo II è attribuibile al modello (stile) comunicativo che egli è riuscito
ad instaurare con i suoi ascoltatori. Fino al punto che ciascuno avesse la percezione di trovarsi “in debito” con lui per qualcosa, qualcosa non meglio definito, quasi una sensazione, ma tuttavia sempre una sorta di “riconoscenza” da dover esprimere in qualche modo.
Certo, per quanto riguarda il papa – ed è la differenza specifica che lo distingue dalle altre “persone importanti” – gioca il risvolto religioso, la considerazione di cui è circondato, non senza qualche equivoco. In questi giorni è stato possibile ascoltare, dalle parole semplici e sincere di tante persone credenti, una fede sorgiva nella figura e nel ruolo del papa. Ma non sempre una fede teologicamente corretta. Il papa è stato definito “come Dio”, “il Cristo sulla terra”, le sue parole sono “parole di Dio”. Espressioni imprecise, ma del tutto legittimate dalla consuetudine e dall’esperienza: del resto non si chiede a nessuno di esprimere la propria fede con la precisione delle nozioni teologiche. Sta di fatto che persino questa imprecisione gioca un suo ruolo nel successo comunicativo di Giovanni Paolo II. La stretta di mano di un calciatore famoso o di un attore del “Grande Fratello” non vale la carezza di un papa che è “come Dio”. L’incoraggiamento di un capo di stato o di un presidente di partito non ha la stessa efficacia di chi incoraggia come “il Cristo sulla terra”.
Che differenza c’è tra il ricevere la santa comunione ogni giorno dalle mani del proprio parroco e riceverla una volta nella vita dalle mani del papa? Che differenza c’è tra il battesimo celebrato con il sacerdote della propria chiesa e quello celebrato dal papa a S. Pietro? Che differenza c’è tra il rosario detto e storpiato ogni sera dalle solite vecchiette e quello detto dal papa in televisione? Tecnicamente nessuna. Dal punto di vista emotivo e comunicativo c’è un abisso. L’abilità di Giovanni Paolo II è stata quella di riuscire a far diventare “ordinario” il suo ritrovarsi con le masse (dunque difficilmente cedendo ai rapporti interpersonali) senza mai colmare quell’abisso, in modo che a nessuno venisse mai in mente di compiere una cosa tutt’altro che straordinaria.
Questa analisi può indurre a credere che dietro il comportamento di Giovanni Paolo II ci sia stato un disegno, una strategia voluta e preparata, finalizzata al raggiungimento di un qualche fine, più o meno lecito (a seconda del giudizio più o meno positivo dato alla figura del papa). Non è facile individuare la “verità” al proposito. Sembra che Giovanni Paolo II abbia avuto una sua abilità innata di comunicatore. Anche se non fosse innata, i decenni di esperienza pastorale alla quale egli non si è sottratto l’avrebbero comunque sviluppata: le cose si fanno bene o per natura o per esperienza o per conoscenza. Ma la svolta per Karol Woitjla, professore e vescovo, abituato a parlare, a convincere, a trattare con le persone umili come con le persone potenti, a confessare, a relazionarsi con la cultura del suo tempo, avviene quando questo bagaglio di abilità-esperienza-conoscenza deve essere messo al servizio del suo pontificato.
Due elementi contribuiscono alla svolta:
- il confronto con i predecessori e con altri vescovi all’interno della chiesa;
- l’enorme sviluppo che i mezzi di comunicazione sociale hanno conosciuto durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II.
Per quel che riguarda il confronto con i predecessori, Giovanni Paolo II parte da una posizione di vantaggio. Persino Giovanni Paolo I non aveva abbandonato l’uso del “noi” da parte del papa quando voleva riferirsi a se stesso. Papa Woitjla invece si trova immediatamente a suo agio usando la prima persona singolare, visitando i suoi amici residenti a Roma in ospedale o altrove, rompendo gli schemi del rigido protocollo vaticano, recandosi di persona nei vari uffici del suo minuscolo staterello (con sorpresa dei dipendenti e allarme dei dirigenti), facendo le vacanze e nuotando nella piscina che si fa costruire. Insomma, per mandare un messaggio di cambiamento, gli ingredienti ci sono tutti. E senza dubbio “piace” il personaggio importante che la gente avverte “vicino” a sè, che fa le cose che fanno tutti, che mette in imbarazzo i potenti e parla di giustizia e di pace senza troppi giri di parole, andando diritto ai problemi. Tanto appariva ieratico Pio XII, tanto appariva solitario Paolo VI, tanto più Giovanni XXIII diventava il papa “buono”, tanto più Giovanni Paolo I il papa “del sorriso”. Ma Giovanni Paolo II non diventa nulla, non c’è un aggettivo o una definizione: Giovanni Paolo II è il papa “sempre presente”, “vicino ai giovani”, che “ha fatto tanto per la pace, la concordia, l’unità delle religioni”.
(aprile-maggio 2005)