Europa sì, Europa no

Roma, 25 marzo 1957. Per chi non lo sapesse, “25 marzo 1957” è il nome di un Piazzale, che si trova alla confluenza tra Via Cristoforo Colombo, Viale dell’Oceano Pacifico e Viale dell’Oceano Atlantico. Non ci abita nessuno, solo tanto traffico.

Se poi si chiede a qualcuno il significato di quella data, chi saprebbe rispondere?

Quel giorno a Roma in Campidoglio, nel salone degli Orazi e dei Curiazi, si trovarono riuniti i rappresentanti di sei nazioni. Per inciso. la leggenda racconta che gli Orazi erano tre fratelli paladini dell’antica Roma e che lottarono contro i tre gemelli Curiazi, campioni di Albalonga. Vinse Roma, inutile dirlo, in un lago di sangue: tutti morti, tranne uno degli Orazi il quale – per completare il quadretto – uccide anche la fidanzata di uno dei Curiazi, senza riguardo per il nome che porta, Camilla Orazia, cioè la sua propria sorella.

La coincidenza tra l’evento del 25 marzo 1957 e la storia degli Orazi e Curiazi potrebbe sembrare un dettaglio insignificante, se non fosse che esattamente in quel giorno lì si firmò il trattato tra Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi per dare vita alla Comunità Economica Europea (CEE), la mamma dell’Unione Europea (UE). Chi ragiona in termini superstiziosi potrebbe temere che l’UE affondi le sue radici non in un trattato di pace ma nelle premesse di una lotta fratricida, dalla quale si avrà sì un vincitore, ma a che prezzo?

Il dibattito, poi, negli ultimi tempi si è fatto acceso. La crisi economica, da molti ritenuta causata dalla moneta unica europea, ha scatenato la corsa per stanare il colpevole (c’è sempre, in una crisi) e il profittatore (figurati se manca chi se ne approfitta, in una crisi).

Il processo che portò al trattato di Roma venne manovrato da figure politiche e pensatori di tutto rispetto. Li chiamano “padri fondatori“. Sono nomi come i nostri De Gasperi e Spinelli, come Adenauer (Germania), Bech (Lussemburgo), Beyen (Olanda), Churchill (Gran Bretagna), Hallstein (Germania), Mansholt (Olanda), Monnet (Francia), Schuman (Francia), Spaak (Belgio).

Nomi che colpiscono per la diversità, a volte stridente, della visione politica e delle culture di origine, ma tutti accomunati da una convinzione: che l’Europa (a differenza degli USA) è sì un continente abitato da popoli molto diversi tra loro ma che la diversità non deve spaventare e anzi può diventare occasione di arricchimento reciproco. Era l’Europa degli ideali quella che il 25 marzo 1957 si affacciò a Roma.

Oggi cosa è rimasto di quell’Europa? Non so se gli ideali abbiano ceduto volgarmente il passo al vil denaro, ma la sensazione che tecnocrati e burocratosauri si siano incagliati tra gli scogli del nulla delle cifre e delle direttive è troppo forte.

Oggi ci si aspetta che una voce simile a quella dei “padri fondatori” si alzi per ammirare l’enorme lavoro compiuto in questi anni e che ha portato decine di nazioni ad aderire ad un progetto; ma la stessa voce dovrà avere il coraggio di affermare che quel progetto resterà incompiuto se non recupera una spinta ideale nella quale le varie anime dei popoli europei, cristiana, liberale, federalista, socialdemocratica, si riconoscano al di là dei meri meccanismi economici.

E domani, quando passerete per il Piazzale 25 marzo 1957, per favore, fate un inchino.