I miei cattivi pensieri

Reduce da una conversazione su Twitter con Costanza Rizzacasa d’Orsogna, prima di addentrarmi nei cattivi pensieri che seguono voglio scusarmi con lei per aver dato la sensazione di coinvolgerla in essi: non ho fatto cattivi pensieri su Costanza, non ci conosciamo di persona, siamo semplici tuitteri, ma leggo volentieri i suoi pezzi (è giornalista e scrive imperdibili Colonnini Amorosi sul Corriere della Sera) che apprezzo e sono sempre in attesa di nuove rivelazioni sulla vita non più segreta con il suo simpatico convivente che risponde al Twitter di @royalgattin. Mi spiace sinceramente se si è sentita offesa dalle mie parole: non era mia intenzione. E qui vorrei precisare meglio il mio pensiero.

Lo spunto dello scambio di battute è venuto da un mio tweet:

Ad esso ne ho fatto seguire un secondo, con tanto di citazione di Dante, che all’inferno pone gli ignavi, “coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”:

Costanza si allaccia a quest’ultimo tweet per protestare: si risente chiedendo di non fare di tutta l’erba un fascio.

Al tweet ne seguono altri 3 che specificano il suo pensiero. In sintesi Costanza non accetta di fare bersaglio per altri giornalisti che possono aver sbagliato; lei e il 99,9% periodico della categoria non mi ha fatto nulla ed è ingiusto che io me la prenda con tutti; come anche è inammissibile chiedere a lei di rivoltarsi contro la sua categoria.

Che dire? Non facile districarsi tra le giuste osservazioni di Costanza e i miei cattivi pensieri che stanno lì e non vogliono mollare.

Come ripeto di frequente: devo trovare il modo per riconciliarmi con quella che Costanza chiama “la categoria”. Sarà che il mio rapporto con essa categoria non è mai stato idilliaco. Ero giovane viceparroco, 1994-1995, quando mi piombò in Parrocchia il padre di un ragazzo che aveva manifestato l’intenzione di entrare in seminario per farsi prete. Questo signore, noto giornalista di un periodico nazionale tra i più diffusi e letti, inveì contro di me accusandomi di aver plagiato il figlio, promettendomi di seguire ogni altro passo della mia vita per cogliere qualche mio errore e concludendo il suo spiacevole monologo con la minaccia esplicita di rovinarmi per sempre (sue testuali parole) scrivendo su di me lui e i suoi amici.

Suo figlio divenne felicemente prete nel 2002, delle promesse e delle minacce del padre non ne ho più saputo nulla. Mi è rimasta solo l’amarezza per un noto giornalista capace di concepire in modo tanto mafioso la sua pur nobile professione.

Qualche anno più tardi, nel 2005 per l’esattezza, accadde ciò che ho raccontato in un altro mio post, Quinto potere: come funzionano le cose. In breve, un’altra nota giornalista esclusa dal testamento di un’amica comune, se la prese con me accusandomi velatamente di aver manipolato l’amica e insistette per avere un suo ricordo; in caso contrario pure lei mi avrebbe rovinato la vita perché aveva “amici con i quali potremmo fare una campagna contro lei e la chiesa“. Io mi mantenni fedele alle disposizioni testamentarie che eseguii alla lettera e la giornalista non ebbe nulla da me. Della campagna contro di me da parte sua non ho avuto percezione; forse qualcosa scrisse in seguito contro la chiesa. Me ne dispiace. Tanto più che conosco i veri motivi. Ma mi rammarico ancor di più che pure in questa occasione sia venuto alla luce quel fondo mafioso che forse, dove in misura maggiore dove in misura minore, fa parte della natura degli italiani.

Poi arriva il 2013: un direttore di una rete televisiva nazionale e una sua giornalista fanno alcuni servizi basandosi su informazioni calunniose senza condurre approfondite verifiche, senza fidarsi delle indicazioni dei magistrati, imprudentemente persi nella loro convinzione di avere tra le mani lo scoop del secolo. E purtroppo rovinando – direi definitivamente – la reputazione di una ventina di persone. Ma questo sarà argomento di un prossimo post…

Ora vorrei dire a Costanza che per mantenere le proporzioni da lei azzardate (99,9%) i 4 casi da me citati richiederebbero che io conoscessi personalmente 4.000 giornalisti. Posso ipotizzare che in tutta la mia vita non ho letto nemmeno 4.000 articoli di 4.000 giornalisti diversi!

Ma scherzi a parte, vorrei dire a Costanza che conosco il suo stato d’animo, perché per analogia penso sia lo stesso di quando un prete sente parlare del caso di un suo confratello pedofilo: il dispiacere di veder rovinato il lavoro dell’intera categoria, di sentirsi dire “tutti i preti sono pedofili… o la maggior parte…”, di sentirsi sospettare, di sentirsi messo nel mucchio da innocente. E qui capisco quanto male fanno le generalizzazioni.

Come capisco che la reazione della Chiesa, con Ratzinger prima e con Bergoglio che dopo ha continuato il suo lavoro, è stata decisa, nell’ammettere i propri errori e nel chiederne perdono, intenzionata ad utilizzare tutti gli strumenti possibili perché certe nefandezze non accadano più e quelle passate siano circoscritte e punite. Su tali scelte operative, e non me ne voglia la buona Costanza, sento che la Chiesa è un pezzo avanti rispetto all’Ordine dei Giornalisti. A nessuno si può chiedere di “sputare” sulla propria categoria, giornalisti o preti che siano; proprio per questo coloro che hanno responsabilità interne a ciascuna categoria devono adottare quelle misure che neutralizzino ogni tendenza da parte di pochi cattivi a rovinare il buon lavoro svolto dai tanti bravi.

Ho la certezza che non esista il mondo perfetto, quello fatto da tutti buoni. Né dentro la Chiesa né dentro la categoria dei giornalisti vi saranno mai solo persone animate da buone intenzioni. Arrivismi, invidie, gelosie, superficialità, errori umani ed errori disumani, intenzioni poco chiare, negazionismi… Quante cose sbagliate bisogna vincere ogni giorno per conquistare quel senso di verità e di civile convivenza tra persone di cui tutti abbiamo bisogno!

Per questo evviva l’umiltà e l’onestà di dire: ho sbagliato! Cito il tweet di qualche giorno fa:

Non elogerò mai abbastanza la brava Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, che ha dato un esempio da seguire scrivendo un ottimo articolo: Qualche giorno fa abbiamo fatto un errore. Ecco, questo è il giornalismo che mi fa riconciliare con il giornalismo. Un giornalismo dal volto umano, perché è umano sbagliare, come è umano riconoscere il proprio errore, chiedere scusa e imparare da esso. Come è umano, quando si fa parte di una categoria, sentirsi coinvolti nei suoi meriti e nei suoi successi e sentirsi responsabili, per la propria parte, degli errori degli altri. Perché, si voglia o no, l’errore di un altro sporca un poco anche te, anche il tuo lavoro.

Spero proprio che la buona Costanza voglia guardare con un po’ di benevolenza i cattivi pensieri di un vecchio brontolone e non avercela troppo con lui!