I re hanno un’immortalità provvisoria, le civiltà pure. Ovvero, il sogno di Nabucodonosor

Marguerite
Tu morirai tra un’ora e mezza,
morirai alle fine dello spettacolo.
Il Re
No. Non voglio morire.
Non è possibile. Ho paura. Non è possibile.
Marguerite
Crede di essere il primo a morire.
Marie
Ciascuno è il primo a morire.

 

La consapevolezza dell’essere umano soffre di un bias. Si tratta dell’impropria interpretazione del significato di orizzonte temporale indeterminato applicata all’orizzonte temporale finito, la quale si concretizza in una certa illusione di eternità.

Tutti abbiamo bisogno in qualche misura di tale bias. Se per esempio conoscessimo con esattezza la data della nostra morte saremmo disperati e senza scopo. Ce lo ricorda Eugène Ionesco ne Il Re muore, da cui sono tratte tutte le citazioni e il titolo stesso del post. Soprattutto nessun datore di lavoro ci assumerebbe, nessuna banca ci farebbe credito e nessuna assicurazione sottoscriverebbe una polizza per noi. Finché insiste l’indeterminatezza di un evento prevedibile o ineluttabile gli esseri umani possono scommettere sul futuro.

Ma, tranne Dio, non c’è nulla di eterno. Per chi esclude il Dio eterno si presentano gli stessi problemi in cui si dibattono scetticismo, nichilismo, esistenzialismo, relativismo. Non è però questo il mio tema qui.

Qui vorrei tornare a parlare di civiltà. Nel mio blog ricorre spesso il concetto, con qualche approfondimento, come nel caso delle migrazioni. Talora ne ho accennato sul mio account X-Twitter.

Mi piacerebbe parlarne in relazione all’occidente, qualsiasi cosa esso significhi, ma non mi sento preparato. Accennerò qualcosa, ma mi concentrerò sull’Italia, forse solo su Roma, che potrebbe essere considerata il suo specchio.

* * *

Il Re
Tutto è andato in rovina unicamente perché
non ho impegnato tutta la mia volontà.
Semplice negligenza.
Tutto si sistemerà.
Tutto sarà rimesso in sesto,
rimesso a nuovo.
Vedrete che cosa posso fare.

 

La scommessa sul futuro di una nuova civiltà italiana risale al 1946. A conclusione della guerra gli italiani di allora pensarono l’Italia come repubblicana, democratica, unita, laboriosa, solidale, antifascista, prospera e libera. La Costituzione nel 1948 ha plasmato come argilla le fondamenta della sua costruzione.

A che punto sia la civiltà italiana disegnata nel 1946-1948 sarebbe questione da approfondire. Per esempio il valore attribuito alla democrazia, che implica senz’altro il rifiuto di ogni forma di violenza, l’esclusione di ogni rigurgito fascista, l’impegno civico dei cittadini. Oppure il valore attribuito al lavoro, che implica il rispetto dei lavoratori almeno quanto la lealtà nei confronti dei datori di lavoro. Oppure il valore attribuito alla solidarietà e alla prosperità, con i suoi risvolti di onestà nel contribuire alle spese dello Stato, di lungimiranza nel non aggravarne la situazione economica e di competenza nel razionalizzarne le uscite creando condizioni di benessere diffuso. Oppure il valore della libertà, da non confondersi con “faccio come mi pare“, capace di riconoscere i e affrancarsi dai seduttori opportunisti mascherati da alleati e di garantire a tutti la possibilità di esprimere se stessi e le proprie convinzioni senza timori né repressioni.

Le considerazioni più ottimistiche ci spingono a dire che dopo quasi 80 anni resta da fare più strada di quella già fatta.

La civiltà italiana moderna è, in definitiva, un’opera largamente incompiuta.

* * *

Il Medico
Maestà, decine d’anni fa o tre giorni fa,
il vostro impero era fiorente.
In tre giorni, avete perso le guerre che avevate vinte.
Quelle che avevate perse, le avete riperse.

 

Nelle pieghe di questa incompiutezza hanno trovato spazio e si sono annidate riserve che agiscono da freno alla civiltà. Il lavoro nero, l’evasione fiscale, il deficit statale non meno che talune forme di disimpegno civico, le organizzazioni dedite alla lotta armata o ispirate al fascismo, la negazione di libertà civili e religiose minano la possibilità di crescita della civiltà italiana come disegnata dalla Costituzione.

Sotto questo profilo è più logico e più opportuno parlare di moderna inciviltà italiana. A poco giova rilevare che sono presenti energie costruttive e che, secondo certe posizioni, l’inciviltà non può prevalere. Sia che si voglia considerare la civiltà il prodotto di diversi fattori, per cui ne basterebbe uno solo che tendesse a zero per ridurre al minimo l’efficienza globale; sia che si voglia considerare la civiltà un processo transgenerazionale in lenta ma costante crescita, per cui di fatto il dato demografico ne segnerebbe fatalmente il declino, tutto lascia supporre un futuro critico.

Interpretazioni semplicistiche pongono le ragioni del deterioramento delle condizioni di sviluppo della civiltà costituzionale italiana a carico del fenomeno delle migrazioni, percepito dagli autoctoni come assedio e invasione. A volte il fenomeno viene sintetizzato dall’espressione “scontro di civiltà“.

Una civiltà dai piedi di argilla come quella dell’Italia moderna, che continua a risuscitare i fantasmi del passato e a perdere le guerre contro le proprie inciviltà, non può e non potrà mai reggere il peso del confronto con altre civiltà. Non essendo stata capace in 80 anni di maturare una civiltà autentica, l’Italia di oggi non ha sviluppato né le strutture metaboliche per imparare da chi ha fatto prima e meglio, né gli anticorpi necessari a proteggersi dalla regressione.

La testimonianza della Capitale offre esempi in ogni settore.

* * *

Marguerite
Il palazzo è in rovina.
Le terre sono abbandonate.
Le montagne si afflosciano
.
Il mare ha sfondato le dighe e inondato il paese.
Lui non pensa più alla manutenzione,
voi gli avete fatto dimenticare tutto
fra le vostre braccia di cui detesto il profumo.

 

Il comune buonsenso insegna quanto sia più difficile eradicare una prassi consolidata e diffusa ancorché illecita o illegale rispetto a correggere una deviazione iniziale. E una volta che la prassi è diventata persino uso e consuetudine sembra addirittura ricevere il consenso delle autorità.

Sopra ogni cosa troneggia il senso di impunità per malaffare e corruttele. Interi quartieri e rioni della Capitale sono considerati centri malavitosi. Non solo quartieri periferici, dai quali gli abitanti “vittime” non appena possono fuggono, ma anche rioni centrali, dove alcune organizzazioni gestiscono il commercio di ogni forma di prodotto spesso circondati dal silenzio impaurito dei vicini e da quello enigmatico delle Istituzioni. Impossibile, a riguardo di queste ultime, tacere come mancanza di trasparenza (menziono solo le innumerevoli difficoltà per accedere ad alcuni atti amministrativi su commesse multimilionarie) e inchieste della magistratura (che recentemente hanno riguardato i fondi giubilari) gettano pesantissime riserve sulla gestione dei beni pubblici.

La Capitale si dibatte nel problema dei rifiuti da tempi immemori. I Rioni sono tappezzati da lapidi marmoree che riportano editti e pene del 1700 per chiunque ardisca gettare o far gettare immondezze in luoghi determinati. Segno che la consuetudine di abbandonare i propri rifiuti senza curarsi del degrado risale a diverse generazioni indietro nel tempo. Trattandosi di un problema mai affrontato e risolto né culturalmente né storicamente né praticamente, diventa insormontabile al presente e soprattutto non incentiva comportamenti virtuosi presso i cittadini. Nemmeno è più possibile biasimare persone provenienti da culture e civiltà diverse se, come accade, abbandonano nella pubblica via i propri rifiuti e addirittura i propri bisogni.

La mobilità romana è in forte sofferenza per molte ragioni, non ultima la tolleranza di pratiche scorrette, come i parcheggi impropri degli autoveicoli o il mancato rispetto della segnaletica. Le difficoltà si sommano ad una cronica assenza di controlli, ulteriormente aggravate dal timore delle reazioni dei viaggiatori che spesso hanno risposto con atti violenti e intimidatori. L’apparente impossibile gestione del traffico genera il senso di frustrazione dei cittadini che intendono rispettare le regole di convivenza.

I tassisti romani non godono di buona reputazione né nella Capitale (dove qualcuno usa ancora il termine tassinaro in senso spregiativo) né fuori Italia. È notoria la strenua difesa della categoria contro ogni forma di liberalizzazione delle licenze. Al tempo stesso appaiono sempre più frequentemente sulla stampa testimonianze del comportamento scorretto di alcuni tassisti. Si tratta di uno degli esempi più eclatanti di inciviltà moderna. Creare nicchie protezioniste impedendo sviluppo imprenditoriale, inibendo l’espansione di un servizio pubblico e dimostrando di non essere in grado di tutelare l’utenza rappresenta il fallimento di un settore considerato biglietto da visita della Capitale.

Uno dei maggiori indici di civiltà si può definire l’accoglienza dei migranti. Il modo in cui una società sa armonizzare la propria identità con quella di persone che possono arricchirla di nuovi valori umani e del loro contributo lavorativo ed economico racconta la maturità della sua civiltà. Non solo il rifiuto della diversità riduce il perimetro della propria identità, ma l’incapacità di riconoscere e di apprezzare quanto di positivo si trova nell’altro, come pure i bisogni più tipici degli esseri umani, espone a reazioni potenzialmente distruttive. Queste ultime non coincidono necessariamente con gli episodi di violenza dei migranti.

Le forze più distruttive sono quelle che depauperano una civiltà degradandola dal suo interno: dalle sostanze stupefacenti alla politica tossica, da corrotti e corruttori ai predatori di ogni tipo, dalla miseria non soccorsa alla ricchezza avida e ostentata.

Ciò che maggiormente colpisce è la sensazione di ineluttabilità di fronte al degrado, che spinge i cittadini ad accettare passivamente come inevitabili le devianze e le loro conseguenze. Fino ad esitare in un sistema distorto, inciviltà appunto, nel quale la norma è la disapplicazione di ogni norma e la vita sociale è la negazione di ogni finalità sociale.

* * *

Marguerite
Avete lasciato andare ogni cosa fino all’ultimo momento,
non abbiamo più un momento da perdere, evidentemente,
dato che è l’ultimo.
Abbiamo pochi istanti per fare
ciò che avrebbe dovuto essere fatto in anni, anni e anni.

 

È possibile recuperare il tempo perduto?

L’Italia moderna è l’erede dell’Italia dei Comuni e il risultato di una unificazione militare che ha ridisegnato la geografia e le istituzioni della Penisola, ma verosimilmente non è riuscita ad amalgamare sotto una sola bandiera animi tanto diversi e distanti tra loro.

Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani” esclamava D’Azeglio. Era il 1861. A distanza di 150 anni l’Italia ha conosciuto ipotesi secessioniste e riscrittura del Titolo V della Costituzione, finalizzata a risolvere in prospettiva federalista le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica. Probabilmente i Costituenti stessi si erano posti la domanda se gli italiani fossero disposti a fare l’Italia, leggendo al rovescio l’esclamazione del D’Azeglio. E si erano resi conto di un tale gap culturale da non ammettere risposte univoche e valide per sempre.

Insomma, appare straordinariamente difficile identificare la civiltà italiana moderna descrivendola sotto il profilo culturale e sociale senza ricorrere alla storia della sua unificazione e al dettato costituzionale repubblicano. Che però è incompiuto, quando non ignorato o addirittura disatteso.

Non sappiamo né se esista veramente né cosa sia esattamente una civiltà italiana moderna al di fuori della storia della sua unificazione e del suo dettato costituzionale repubblicano. Non sfugge che il precedente richiamo ai piedi di argilla di tale civiltà sia in realtà la citazione biblica di un fatto politico. Riporta all’interpretazione del sogno di Nabucodonosor fatta da Daniele (Dn 2). Una statua gigante – allegoria del regno babilonese – crolla perché sorretta da piedi “in parte di argilla da vasaio e in parte di ferro“. A significare un regno duro come il ferro ma fragile come argilla, diviso in due parti, unite per via di matrimoni ma senza diventare una cosa sola. Il diventare una cosa sola, l’amalgamarsi di intenzionalità e di progettualità tipico di una condizione matrimoniale, viene visto come prerequisito politico di una civiltà solida.

Ma in Italia il ferro della storia e l’argilla della Costituzione pur sposandosi non sono riusciti ad amalgamarsi. Il tempo per diventare una cosa sola e dare vita ad una moderna civiltà italiana prima di una regressione completa appare ad oggi irrimediabilmente abbreviato.

 

* * *

Marie
Una nuova saggezza sostituisce l’antica,
una più grande follia,
una più grande ignoranza,
completamente diversa,
completamente uguale.

 

Se le civiltà, come i re, godono di un’immortalità provvisoria; se nulla, al di fuori di Dio, è eterno; se senza intenzionalità e progettualità è impossibile gettare basi solide per il futuro, allora occorre prepararsi ad un modello di civiltà italiana per certi aspetti imprevedibile e imprevista.

Senza dubbio l’Occidente – qualsiasi cosa significhi questo termine – pare distrattamente avulso dal contesto storico planetario. La sensazione è che sia ripiegato su se stesso, in modo quasi narcisistico. Sovranismi e nazionalismi testimoniano l’incapacità di misurarsi con la contemporaneità, la quale sembra stia vendicandosi sulla frenesia di tracciare confini nel Pianeta e identificare “Stati” incuranti del “dinamismo” di popolazioni e storia.

Accettare che una civiltà sia plasmata a volte da scelte effettuate a tavolino, a volte da conflitti e rivoluzioni, che conosca cambiamenti di popolazione e di sistema istituzionale, che sia attraversata da tensioni sociali e governata da vere dittature, fino al punto da dissolversi in una entità completamente diversa è alla base della comprensione delle attuali dinamiche nazionali e internazionali.

Infatti in una Italia con un futuro demografico segnato e con i tratti di in-civiltà caratteristici di chi ha un punteggio medio di soddisfazione generale di vita pari a 6,5 comunque sotto la media OCSE che è di 6,7 (fonte), si presentano due scenari possibili, al netto di ogni sfumatura.

Scenario A. Vincono l’impermeabilità multiculturale e la frammentazione sociale. Vince l’Italia dei Comuni e delle Corporazioni, l’Italia degli interessi locali, dei monopoli e dei protezionismi, ma nel contesto profondamente mutato di presenza – necessitata – di cittadini di nazionalità diverse operanti in campi ristretti e ben delimitati: africani all’agricoltura, indiani alla pastorizia, arabi alla distribuzione, cinesi all’importazione e alla manifattura, bengalini al commercio itinerante, rumeni all’edilizia, est europei ai servizi sociali. Con significative mortificazioni delle relazioni sociali. Quindi con l’avvento di una peggiore in-civiltà, basata sulla legge del più forte.

Scenario B. L’Italia trasforma in risorsa la sua storia centenaria di mancata amalgama producendo un nuovo patto sociale a fondamento della sua civiltà. Il divario nord-sud Italia, frutto anche di politiche miopi e clientelari oltre che di differenze culturali prima che di esperienze mafiose, insegna che non si possono eliminare gap solo a colpi di finanziamenti miliardari. La storia dell’Italia repubblicana ci ricorda che al sud Italia sono state destinate risorse economiche senza pari e senza precedenti, mentre i risultati nel lungo periodo si sono dimostrati del tutto irrilevanti. E come dimenticare le migrazioni dal sud agricolo e povero verso il nord industriale e ricco, con i conflitti derivati dall’incontro-scontro delle due culture? Conflitti che sembrano ripetersi oggi tra gli autoctoni e i migranti.

Rinunciare ad una civiltà integrata e collaborativa, fondata su un patto sociale nuovo, moderno, multiculturale, competitivo, fatto di accurata scolarizzazione, di competenze e di riconoscimenti, assistenziale per i più deboli e favorevole per i più capaci indipendentemente da provenienza ed estrazione sociale, nel rispetto delle regole di convivenza, significa condannarsi all’insignificanza storica e internazionale.

Se l’in-civiltà attuale muore, e forse non di morte naturale, sotto la spinta di forze che essa stessa non è stata in grado di arginare, senza che sia stato scritto un patto sociale nuovo ci sarà spazio solo per altre in-civiltà, più folli e più ignoranti. Nella storia più recente è già accaduto altrove.

1299: inizio impero ottomano
1922: fine impero ottomano

1921: fine Mesopotamia
1921: inizio Iraq

1929: inizio Yugoslavia
1992: fine Yugoslavia

1978: fine Persia
1978: inizio Iran

1721: inizio impero russo
1917: fine impero russo

1922: inizio URSS
1991: fine URSS

1991: fine URSS
1991: inizio Federazione Russa