Il Concilio Lateranense del venerdì
Il “sacrosanto concilio ecumenico e generale” di Trento alla sua apertura il 13 dicembre 1545 contava la partecipazione di 25 vescovi e 5 superiori generali di Ordini religiosi. Un numero piuttosto esiguo, confrontato al Concilio Ecumenico Vaticano II con i suoi 2540 padri conciliari presenti l’11 ottobre 1962, ma giustificato dalle turbolenze politiche e religiose del tempo e dalle difficoltà di comunicazione che non facilitavano il movimento dei vescovi.
Sappiamo anche che storicamente sono stati celebrati ben 5 Concili ecumenici presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, prendendo così nome di Concili Lateranensi.
Pochi sanno che ogni venerdì nel Palazzo del Laterano, comunemente conosciuto con il nome di “Vicariato“, si tiene la riunione settimanale del Consiglio Episcopale di Roma.
Chi già conosce tutte queste cose può saltare direttamente a “Diocesi di Roma: meno vescovi, più vescovo”
Facciamo un passo alla volta. Roma è la denominazione di una diocesi della chiesa cattolica (Diocesi di Roma). Il nome diocesi deriva dal greco e significa “amministrazione”. Nel terzo secolo l’Impero Romano era suddiviso in prefetture, diocesi e province; le diocesi, amministrazioni appunto, rappresentavano un gradino intermedio, l’unificazione di più province.
Quando la chiesa cattolica mosse i suoi primi passi prese in prestito dalla lingua e dalla cultura del tempo i termini e i concetti necessari per descrivere e rendere intellegibile la propria organizzazione e assicurarsi la propria affermazione. Ancora oggi sopravvive nella chiesa (in questo senso erede più diretta dell’Impero Romano) la suddivisione in diocesi, a capo di ciascuna delle quali si trova un vescovo.
Anche il termine e il concetto di “vescovo” sono presi in prestito dal passato; nell’antica Atene l’epìscopos (da cui l’italiano vescovo) era un magistrato che sovrintendeva agli affari delle città soggette allo Stato, un’autorità civile che giudicava anche in certi tipi di processi. Il termine in effetti significa “sorvegliante”, “sovrintendente”.
Senza farla troppo lunga, già dal II secolo è chiaro che ciascuna diocesi è retta da un solo vescovo: ci si riferisce così alla nascita dell’episcopato monarchico ancora oggi in uso nella chiesa cattolica (cfr Treccani). In tal modo nessuna diocesi può essere priva del suo vescovo, e quest’ultimo è amministratore unico della diocesi.
Però col passare del tempo nella chiesa si è gradualmente fatta strada la prassi del servizio di vescovi senza diocesi. In prima battuta si trattava di vescovi che durante le persecuzioni avevano abiurato alla fede, perdendo quindi il governo della loro diocesi, e una volta pentiti erano stati riammessi nella compagine ecclesiale. In seconda battuta erano stati ordinati vescovi alcuni preti che a motivo delle loro funzioni (per esempio, un ambasciatore pontificio, cioè un nunzio apostolico) era opportuno che avessero dignità e potestà decisionale che solo l’episcopato poteva dar loro. In terza battuta la necessità di dare un aiuto al vescovo nel governo di una grande diocesi, vuoi per l’età avanzata vuoi per altre ragioni pastorali, ha facilitato l’ordinazione episcopale dei diretti collaboratori.
Attualmente i vescovi che governano una diocesi si chiamano vescovi ordinari; invece ai vescovi che non governano una diocesi, al fine di non perdere il significato della stessa natura dell’ordine episcopale, viene conferito il titolo di una diocesi praticamente inesistente (magari in mezzo al mare o in mezzo al deserto) e si chiamano perciò vescovi titolari.
Quando un vescovo titolare (quindi senza il governo di una sua diocesi) viene affiancato ad un vescovo ordinario (che cioè governa la sua diocesi) viene chiamato vescovo ausiliare, di aiuto, e non ha diritto di successione nella guida della diocesi in caso di morte o rinuncia del vescovo ordinario. Se il vescovo titolare affiancato in aiuto al vescovo ordinario ha diritto di successione viene chiamato vescovo coadiutore. Quando infine il vescovo ordinario lascia il governo della diocesi per età, per malattia o per altri gravi motivi viene chiamato vescovo emerito ed è dispensato dal partecipare attivamente alla vita diocesana.
Diocesi di Roma: meno vescovi, più vescovo
Ed ora torniamo a Roma. Come ricordavo in un mio precedente post, alla guida della diocesi di Roma c’è un’inflazione di vescovi: ben 10! Senza contare i vescovi emeriti: Benedetto XVI, Enzo Dieci, Paolino Schiavon (fonte).
Ogni venerdì alle ore 11:00 nel Palazzo del Laterano, quando i vescovi si riuniscono per esaminare le questioni inerenti la diocesi, si celebra quasi un Concilio Lateranense, al quale avrebbero diritto di partecipare 13 vescovi e un Prelato Segretario (secondo quanto stabilito dalla Costituzione Apostolica Ecclesia in Urbe del 1998), praticamente la metà della prima sessione del Concilio di Trento; ma gli emeriti non vanno e di solito non va nemmeno il Papa, che è il vescovo ordinario di Roma.
Cosa giustifica tale inflazione di vescovi? Se mettiamo a confronto i principali parametri della diocesi di Roma (fonte) con quelli dell’arcidiocesi di Rio de Janeiro (fonte) e dell’arcidiocesi di Buenos Aires (fonte), da cui proviene Papa Bergoglio, comprendiamo che i motivi non sono puramente di carattere tecnico-amministrativo.
Dal confronto appare chiaro che non esiste una correlazione tra numero di abitanti o superficie della diocesi e numero di vescovi ausiliari (la diocesi con il maggior numero di abitanti e territorio ha meno ausiliari delle tre); non esiste nemmeno un rapporto logico tra numero complessivo di vescovi e numero complessivo di preti: le prime due diocesi hanno un rapporto di circa 1:100, la diocesi di Roma di quasi 1:500; infine non pare proporzionato l’incremento del numero dei vescovi ausiliari in relazione al numero delle parrocchie.
Insomma, quali siano i motivi di una così grande inflazione di vescovi ausiliari a Roma (e in rapporto anche altrove) sfugge all’analisi statistica. Resta solo da pensare che i motivi vadano ricercati nel prestigio pastorale (una grande diocesi ha tanti vescovi) e nel carrierismo (un servizio viene scambiato per un potere).
Però non solo la figura del vescovo ordinario viene così ad essere svuotata del suo valore, ma si rischia di mandare un messaggio ben preciso di clericalizzazione verticistica dell’azione pastorale. Mentre sarebbe auspicabile che i ministri ordinati di una diocesi riuscissero a svolgere il loro compito in un clima di rispetto reciproco, collaborazione, servizio.
L’ipotesi che sto proponendo è di introdurre una maggiore responsabilizzazione nelle scelte dal basso. In una diocesi come Roma non vedo necessaria la presenza di tanti vescovi ausiliari, che a norma di diritto svolgono funzioni di vicari episcopali. Come è risaputo, il vescovo ordinario può delegare la funzione di vicario episcopale anche ai sacerdoti. Se tale prassi, valida in tutta la chiesa cattolica, venisse accolta pure nella diocesi di Roma, si potrebbe giungere ad attribuire ad alcuni sacerdoti incarichi a termine (per esempio, vicario episcopale per un quinquennio) o per progetti (per esempio, vicario episcopale per il Sinodo dei Giovani). La figura e la responsabilità del vicario episcopale sarebbe più fraternamente condivisa, poiché non avrebbe l’indeterminatezza del tempo e delle funzioni e tutti i sacerdoti sarebbero candidati allo stesso servizio.
Ovviamente si tratta di un orientamento che solo il vescovo ordinario (il Papa in questo caso) può prendere e rappresenterebbe una svolta vera e sostanziale nella pastorale della diocesi.
E i cardinali?
I cardinali sono un altro discorso. La figura del cardinale nasce come servizio all’interno della diocesi di Roma con la funzione principale di rappresentare il clero e il popolo di Roma nella elezione del loro vescovo, del vescovo di Roma. Oggi sembra piuttosto che essi siano al servizio del Papa regnante e che la loro principale funzione sia di eleggere tra di loro un Papa che sarà anche vescovo di Roma.
In realtà ormai da molto tempo i cardinali non rappresentano più il clero e il popolo di Roma, se non come finzione. Le recenti scelte di Papa Francesco, poi, hanno mostrato che la figura dei cardinali è sempre più rappresentativa e portatrice dei valori e delle esigenze delle chiese diffuse nel mondo. Anche esse ovviamente sono da rispettare e rientrano nell’elezione di una figura tanto importante alla guida della chiesa cattolica come è il Papa di Roma.
Certo, sarebbe innovativo se si abbandonasse la visione formale della finzione per cui un cardinale rappresenterebbe il clero e il popolo di Roma e al prossimo Conclave tra i grandi elettori del vescovo di Roma, e per questo motivo anche Papa, accanto ai cardinali portavoce della chiesa diffusa nel mondo sedessero pure i Parroci Prefetti, che esercitano un servizio molto meno formale e finto di rappresentanza del clero e del popolo romano.
Ma questa è un’altra storia…