Il presepe
Articolo apparso su Amici per la missione, Foglio Informativo del Se.AMI n. 5, Dicembre 1999
Davanti al presepe. Le montagne di carta, la farina per spolverare la neve, le statuine, donne, animali, case, pastori, piante, tutto su due tavoli enormi.
E la natività dov’é?!
Si scorge tra le montagne, piccola, in fondo, guardiana della vita che si svolge sotto, presa tra una varia umanità che distrae l’occhio.
Nei presepi non ci sono i bambini, forse a quell’ora dormono, in compenso ci sono tanti animali, ci sono i pastori con le zampogne.
Il presepe è metafora della fede, l’incarnazione è ferma nelle tradizioni che la sovrastano, da evento che avviene nel tempo, l’incarnazione è stata fissata in un evento senza tempo, estetico, da contemplare piuttosto che da vivere.
Il presepe che noi conosciamo sigilla le fantasie dei grandi, degli adulti che non sono mai più cresciuti dal primo presepe che hanno visto in famiglia, in un’architettura di ricordi e di nostalgia, le scene dolci, bucoliche, crepuscolari riscaldano il cuore, non richiedono adesioni, non esigono riflessioni, non prospettano impegni.
Le si osserva, le si ammira, le si apprezza, ma il passaggio storico, il guado storico dell’incarnazione è ancora distante, è come se il presepe rassicurasse, tra noi e l’incarnazione c’è la fossa dei secoli.
Questo sembra il compito del presepe di oggi: rassicurare chi lo guarda. Gesù è nato, non preoccuparti, qualcuno molto tempo fa ne è stato veramente testimone.
E come metafora della fede il presepe ci dice un rassicurante credo, non c’è bisogno che ci credi tu, l’importante è che altri ci abbiano creduto, tanto tempo fa.
Così non funziona, non può funzionare.