In principio era il dio Po…
Ultimo aggiornamento: 2019-05-21 12:40
La Lega di Bossi ce l’aveva duro, duro, duro. Durissimo…
Tra i tanti che oggi approvano l’operato del leghista Matteo Salvini non sono molti quelli che ricordano che la Lega, unico tra i partiti storici ad essere sopravvissuto alla cosiddetta Prima Repubblica, ma anche alla Seconda eccetera, aveva proclamato nel 1996 la secessione dei popoli della Padania dall’Italia. Nella dichiarazione di indipendenza, l’allora segretario politico Umberto Bossi il 15 settembre a Venezia pronuncia queste parole:
Quando, nel corso degli eventi umani, diventa necessario per i popoli sciogliere i vincoli che li legano ad altri e costituirsi in nazione indipendente e sovrana ed assumere tra le nazioni della Terra il ruolo assegnato loro dal diritto naturale di autodeterminazione, il rispetto che si deve all’opinione della società internazionale e dell’umanità intera richiede che essi dichiarino le ragioni che li hanno costretti alla separazione…. Noi apparteniamo ad un’area storica, alla Padania… Noi quindi formiamo una comunità naturale… La Padania è il nostro orgoglio… la nostra unica possibilità di esprimerci liberamente…. La storia dello Stato Italiano è diventata al contrario storia di oppressione coloniale….
(Bossi, 1996; website · scarica video)
Alcuni giorni prima, il 13 settembre 1996, Bossi aveva compiuto un gesto che di lì a poco sarebbe divenuto un rito. Era salito a Pian del Re (comune di Crissolo, provincia di Cuneo) alle sorgenti del Po e aveva raccolto un’ampolla di acqua sorgiva, che varie staffette avrebbero trasportato fino a Venezia dove l’acqua si sarebbe ricongiunta col mare. Un percorso che idealmente avrebbe abbracciato tutta la Padania, lambita dal fiume (scarica video).
L’emozione di quei giorni era palpabile. Tutto sembrava potesse accadere in breve tempo. Trascorsero pochi mesi e il 9 maggio 1997, proprio a Venezia, fa la sua comparsa in piazza San Marco un improbabile mezzo militare al quale fu affibbiato il nomignolo affettuoso e un po’ ironico di Tanko: era un trattore travestito da carrarmato e avrebbe dovuto annunciare al mondo la proclamazione della Serenissima Repubblica di Venezia (scarica video).
Il goffo tentativo di golpe fallì, la tanto attesa (e forse solo all’ultimo momento non avvenuta) insurrezione dei popoli della Padania non ci fu. In compenso l’evento segnò qualche rottura del fronte interno, segno che accordi tra le parti c’erano stati (e forse non furono rispettati completamente).
Al segretario della Lega non restò che ripetere negli anni successivi il rito laico dell’ampolla del dio Po, in un crescendo di simbolismi tra il fanatico e il religioso, fino a coinvolgere il proprio figlio Renzo e anche altri bambini in una sorta di “battesimo” iniziatico.
La Lega di Salvini? Tutta rosari, aperitivi e cene
Ma il dio Po è un’entità che va bene per i popoli della Padania e mal si attaglia ai restanti popoli peninsulari. Se la Lega voleva imporsi al di fuori delle valli nordiche doveva necessariamente trovare altri simboli, perché la forza del simbolo sta nel suo potere unitivo. Attorno ad esso si ritrovano sentimenti e intenzioni delle persone, che si riconoscono appartenenti le une alle altre.
Venti anni più tardi le liturgie legaiole si ripetono con altre persone, altri intenti, altri simboli.
Il giovane Matteo Salvini è succeduto al provato grande vecchio Bossi: se la Lega di questi ce l’aveva duro, duro, duro (scarica video), la Lega dell’altro è sorridente e rilassata, tutta fiori e fiocchi di nuvole.
E comunque… vi voglio bene Amici.
Io non mollo, mai! pic.twitter.com/NuVOgdtZBo— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 17 maggio 2019
La Lega 2.0 fa aperitivi e ama mangiare. Anche a Strasburgo, dove qualcuno, non meglio identificato, lavora alacremente…
Qui Strasburgo amici, mi sono perso altre Formi-batture?
Stasera cena con tarte flambee a base di cipolla e… http://t.co/kysSieWF— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 22 ottobre 2012
L’obiettivo della nuova Lega non è più quello della secessione della Padania dall’Italia, ma uno ben più ambizioso: la “secessione” dell’Italia dall’Unione Europea.
SCHIAVI dell’Unione Europea? NO, grazie!
Non vedo l’ora che, con il nostro governo, l’Italia possa riacquistare sovranità e difendere l’INTERESSE NAZIONALE, con ogni mezzo possibile.#4marzovotoLega https://t.co/Ihf9irCYiq— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 17 gennaio 2018
I simboli (religiosi) non mancano. E qui applausi allo spin doctor di Salvini, il guru di internet Luca Morisi che riesce come pochi a catturare il sentiment del web: perché se Morisi avesse detto al Capitano che per cattivarsi le simpatie del popolo doveva tirare fuori il coso durissimo della Lega bossiana, Salvini non se lo sarebbe fatto ripetere due volte e avrebbe esibito a favore di selfie il tanto concupito vanto padano. Quello, per intenderci, che spiegherebbe perché secondo una recente agiografia Salvini sarebbe l’uomo più desiderato dalle donne dello Stivale, anche, di nascosto, da quelle di sinistra.
Ma Luca gli ha detto un’altra cosa. Gli ha detto che ciò che unisce l’Italia non è l’acqua del dio Po, bensì la venerazione della Madonna cristiana. In Italia paesino che vai Madonna che trovi, spesso con accenti campanilistici e senso di possesso da operetta, ma il popolo è fatto così e cosa vuoi? Che i preti non gli vadano dietro? Scegli Madonne e rosari e ti porti appresso popolo e preti.
Ecco quindi spuntare tra le mani di Matteo santini e rosari.
Anche oggi contro di noi minacce, bugie, attacchi, inchieste ed insulti.
Io rispondo col lavoro, col sorriso, con l’affetto degli Italiani, con una bella rosa e la protezione di Maria Santissima del Soccorso😊 pic.twitter.com/JD2GQMdveZ— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 16 maggio 2019
Simboli religiosi in mano a un politico. Roba che nemmeno De Gasperi, nemmeno Moro, che pure erano sposati regolarmente in Chiesa e andavano a Messa quasi tutti i giorni…
Già. I rosari. I rosari sono disseminati un po’ ovunque nella vita mediatica di Salvini, un’ossessione che non lascia in pace nemmeno la grigliata di ferragosto.
Buon Ferragosto Amici!
Voi che fate? Dai, mandate le vostre foto!
La migliore vince una cena con Renzi. pic.twitter.com/i7iyiBwnag— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 15 agosto 2017
Le ragioni, deve avergli detto il diabolico – nel senso pieno della metafora (dal greco dià-bàllein = dividere) – Luca Morisi per convincerlo a quel gesto innaturale, sono due. La prima è che il rosario presso le giovani generazioni ha abbandonato il suo significato religioso ed è diventato, da tempo, un accessorio di abbigliamento tra i tanti, si mette attorno al collo e via, non importa cosa credi, se ci credi e se lo preghi, intanto però ce l’hai ed è riconoscibile. La seconda è che il rosario viene tradizionalmente associato alla vittoria dei cristiani della Lega Santa sui musulmani dell’Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto (1571).
Si chiude il cerchio: la Madonna è nel cuore degli italiani, il rosario – per motivi diversi – piace sia ai più giovani sia ai più tradizionalisti ed eccoti trovati i (nuovi) simboli che unificano il sentiment italico e fanno provare l’ebrezza di riconoscersi in qualcosa.
#Salvini: sono il primo dei peccatori, ma voglio difendere la storia, voglio difendere le radici cristiane, voglio difendere le scuole cattoliche, il volontariato. Io chiedo semplicemente RISPETTO.
📺 #nonelarena @nonelarena pic.twitter.com/qG5koaNa40— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 19 maggio 2019
L’occhiolino al mondo cattolico è evidente. Delimita uno spartiacque. Da questa parte Salvini, che difende la storia, le radici cristiane, le scuole cattoliche, il volontariato; dall’altra miscredenti e anti italiani, disfattisti ed europeisti.
In realtà quel mondo cattolico a cui parla Salvini non rappresenta i cattolici tout court, ma una parte di loro, i nostalgici della Grande Chiesa e dell’Impero Romano. Sono i cattolici d’attacco, gli intransigenti, i duri e puri del tradizionalismo perfetto. Non a caso il buon Matteo ne ha caricati un po’ sul carrozzone della Lega, dal senatore Simone Pillon al Ministro Lorenzo Fontana. Quest’ultimo, figlio della cattolicissima Verona dove comanda l’estrema destra, ha fatto campagna elettorale – guarda caso – con lo slogan della secessione del Veneto (website · mirror pdf) e frequenta a Roma, nella Parrocchia ultratradizionalista della Santissima Trinità dei Pellegrini ai Catinari, don Vilmar Pavesi (nato in Brasile da una famiglia – guarda un po’ – di origini lombarde e già attivo in quel di Verona quando Lorenzo era giovanotto, website · mirror pdf) il quale dice la Messa del Concilio di Trento (più o meno l’epoca della Battaglia di Lepanto) ed è fidatissimo consigliere del Ministro (website · mirror pdf; naturalmente dissento dal contenuto dell’articolo, quando lascia intendere una sorta di legittimazione di Papa Francesco a tutto l’ambaradam tradizionalista e legaiolo).
Poi qualcuno si è risentito quando tempo fa accennai al fatto che il tradizionalismo cattolico veste i panni di una crociata contro Papa Francesco, identifica come nemici musulmani, gay ed esponenti di sinistra e tende al complottismo, al sovranismo e al nazionalismo (qui).
Prendiamone atto: il tradizionalismo cattolico è il nuovo volto della destra reazionaria, sposato dalla Lega da sempre reazionaria e di cattolico non ha nemmeno più il nome, posto che il termine cattolico significhi universale.
Parliamo di politica o di religione?
Come premessa alla risposta vi invito a leggere qui l’articolo di Giorgio Benigni datato 2010 che centra con acume direi quasi profetico le tematiche principali che si sono sviluppate nel successivo decennio.
Ma la risposta è: parliamo di entrambe. L’appropriazione dei simboli religiosi in politica ha un significato politico ben preciso. Ogni volta che un esponente politico ha cercato l’affermazione della propria persona e della propria area politica facendo leva sul sentiment religioso o per scardinarlo o per sostituirlo o per imporlo, ci si è trovati nell’imminenza dell’affermazione di un regime totalitario. Spesso con la benedizione delle stesse gerarchie ecclesiastiche, vittime inconsapevoli della contestualizzazione dei bisogni che fin troppo prevedibilmente logora lucidità e lungimiranza umane.
La Lega tutta rosari, aperitivi e cene di Salvini non ha nulla di reale, è chiaramente il grimaldello mediatico con il quale Matteo ha inteso fare breccia nel cuore del popolo. Ma per analogia con situazioni simili possiamo prevederne le conseguenze.
Guerra civile spagnola. Le milizie di volontari reclutati dai sindacati dei lavoratori socialisti, comunisti e anarchici trucidano religiosi, preti, suore, e distruggono simboli religiosi. Arrivano all’assurdo di fucilare la statua di Cristo. Contro di loro la quasi totalità della Chiesa cattolica spagnola plaude alla vittoria di Francisco Franco quasi fosse un segno divino. Così si esprime Papa Pio XII:
La propaganda tenace ed i costanti sforzi dei nemici di Gesù Cristo fanno pensare che essi abbiano voluto fare in Spagna una prova suprema delle forze dissolvitrici, a loro disposizione, sparse in tutto il mondo… Persuaso di questa verità, il sano popolo spagnolo, con quella generosità e franchezza che costituiscono le due caratteristiche del nobilissimo suo spirito, insorse deciso in difesa degli ideali della fede e della civiltà cristiana… Dio si degnerà di condurre la Spagna per la strada sicura della sua tradizionale e cattolica grandezza… Esortiamo pertanto i governanti ed i Pastori della Cattolica Spagna ad illuminare la mente di coloro che sono stati ingannati, additando loro con amore le radici del materialismo e del laicismo, donde hanno avuto origine i loro errori e le loro disgrazie.
(Radiomessaggio Con immensa gioia, 16 aprile 1939; website)
La dittatura franchista ebbe inizio così. Tra chi pensava di finirla una volta per tutte con la religione e chi pensava che l’insurrezione in difesa degli ideali avrebbe portato alla vittoria di Cristo.
Quella fascista non aveva avuto inizi meno subdoli. Mussolini prese il potere nel 1922 ma per renderlo definitivamente stabile cercò l’alleanza con la Chiesa cattolica. Riuscì a ricucire in pochi anni una storia secolare; nel 1929 firmò i Patti Lateranensi l’11 febbraio, data scelta non a caso dalla gerarchia ecclesiale in quanto è la ricorrenza della Madonna di Lourdes. Pio XI ne è talmente soddisfatto che due giorni dopo, ricevendo in udienza professori e studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore apre anche il suo, di cuore, con un pizzico di civettuola vanità papale e di temerario giudizio storico, quando definisce Mussolini uomo della Provvidenza:
Il Trattato conchiuso tra la Santa Sede e l’Italia non ha bisogno di altre spiegazioni e giustificazioni esterne, perché in realtà esso è a se medesimo spiegazione e giustificazione la più chiara e definitiva. Ma c’è pure una spiegazione ed una giustificazione esterna non meno chiara e definitiva, e questa è il Concordato. Il Concordato, anzi, non solo spiega e giustifica sempre meglio il Trattato, ma questo gli si raccomanda come a condizione di essere e di vita… Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. E allora? La soluzione non era facile, ma dobbiamo ringraziare il Signore di averCela fatta vedere e di aver potuto farla vedere anche agli altri… E qualche volta siamo stati tentati di pensare, come lo diciamo con lieta confidenza a voi, sì buoni figliuoli, che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue; come qualche volta abbiamo pensato che forse ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie, perché di libri e documenti, è evidente, si è dovuto consultarne molti. Dobbiamo dire che siamo stati anche dall’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi.
(Allocuzione Vogliamo anzitutto, 13 febbraio 1929; website)
All’epoca dell’ascesa di Hitler la filosofia orientale furoreggiava in Germania. Herman Hesse aveva colto il misticismo indù e buddhista che si respirava in patria e pubblicò nel 1922 Siddhartha, una rivisitazione romanzata della storia del Buddha. Ma già prima la svastica era stata adottata da Adolf Lanz (un ex monaco espulso dall’ordine cistercense che diede vita a un movimento neopagano, occultista e antisemita; website) come simbolo del suo Ordo Novi Templi (fanatici cristiani razzisti che finiscono per adorare il dio Sole; website) e dalla famigerata Società Thule (una società mistica caratterizzata da nazionalismo e antisemitismo, la cui eredità fu raccolta da Hitler; website). Nel 1920 Hitler, fortemente influenzato sia dall’uno che dall’altra, scelse la svastica come emblema del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi.
Era l’inizio della tragedia.
La storia mi pare insegni bene. Ripetiamolo: quando un politico si appropria (per sostituirli o per distruggerli) di simboli religiosi la strada del totalitarismo è aperta. A poco vale la pretesa che voglia difendere così i valori religiosi: non tocca ai politici difendere i valori religiosi, quello semmai – in prima approssimazione – è compito degli enti religiosi, delle religioni.
Ora la domanda diventa pressante. Cosa ci fa un simbolo religioso cristiano tra le mani di un uomo politico, esponente di un partito che fino a pochi anni fa attingeva l’acqua dalle sorgenti del dio Po per rinsaldare i legami tra i popoli padani?
La prima risposta che mi viene in mente è che si tratti di un gesto blasfemo. Salvini ha utilizzato per scopi meramente propagandistici un simbolo religioso che lui è ben consapevole raggiunge con estrema facilità il sentiment del mondo cattolico. Quindi, in qualche modo, con il suo tentativo di strumentalizzazione, ha attentato alla sovranità di Dio.
La seconda risposta è che Salvini sta mandando un messaggio al mondo cattolico nel quale emergono due cose: (1) Salvini può fare a meno della Gerarchia cattolica, del Papa in primis, rubando scena e iniziativa a vescovi e cardinali e dettando l’agenda della vita sociale italiana; e (2) Salvini sta candidando la Lega a dividere il mondo cattolico, coagulando attorno alla sfera degli interessi del suo partito quelle anime insoddisfatte del percorso post conciliare, disilluse sul mondo contemporaneo, incapaci di adattamento agli sviluppi dottrinali e pastorali della Chiesa. In altre parole, l’azione politica di Matteo Salvini, più o meno consapevolmente, sta creando una chiesa parallela nella quale i contenuti religiosi cristiani autentici sono svuotati del loro significato ecclesiale e riempiti di pseudovalori funzionali agli obiettivi politici del leader della Lega.
Tra lo scetticismo dei miei più cari amici previdi che si sarebbe fatto un governo con Movimento 5 Stelle e Lega e gli sviluppi successivi non mi hanno dato torto.
Credo di non sbagliare troppo nemmeno stavolta esprimendo ad alta voce il timore che la deriva salviniana mistico-religiosa non solo non creerà nessun distacco con la base elettorale, ma addirittura favorirà il consenso tra gli elettori (con migrazioni importanti da altri partiti), alimentando i presupposti per il rafforzamento dei poteri del leader della Lega e costringendo contemporaneamente la Chiesa cattolica ad un faticoso duello interno. Soprattutto se la Chiesa cadrà nel tranello di affrontare come un gesto di carattere religioso quello che per Salvini riveste solo un significato politico.
Tutte condizioni che proprio perché non originali rinviano a fosche previsioni.
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