Inflazione di vescovi al governo della diocesi di Roma
Fin dal II secolo cristiano prevalse in tutte le chiese il modello dell’episcopato monarchico. Un solo vescovo a capo di una singola chiesa (diocesi).
Esperienze di governo collegiale ve ne furono prima (per esempio a Roma) e in forme diverse anche dopo (si pensi alla forma di governo collegiale mitigato post Concilio Vaticano II, con il vescovo che deve sentire il parere di consigli episcopali, consigli pastorali, consigli presbiterali, consigli per gli affari economici e in qualche caso averne il consenso).
La chiesa di Roma continua a stupire. È di qualche settimana fa la notizia dell’elezione di un altro vescovo ausiliare incaricato per i rapporti con il clero. Così al governo della diocesi “capo e madre di tutte le chiese” si trovano 10 vescovi:
- un vescovo ordinario, il Papa
- un vicario generale, il Cardinal Vicario
- un vice del vicario generale, il Vicegerente
- cinque vescovi ausiliari per i cinque settori in cui è suddivisa la città, centro – est – sud – ovest – nord
- un vescovo incaricato per la Pastorale della Salute
- un vescovo incaricato per i Rapporti con il Clero
La diocesi di Roma non è più complessa di altre diocesi. C’è da chiedersi se 10 vescovi alla sua guida siano un segno di grazia divina (della quale allora ne sarebbero prive tutte le altre) oppure di inefficienze umane (si moltiplicano prelati per distribuire deleghe e tamponare incapacità).
Ma anche in questo secondo caso, se si eccettua la figura del Cardinal Vicario, non sarebbe più logico provvedere come si fa in altre diocesi attraverso la nomina di vicari episcopali scelti tra il clero romano? Ciò contribuirebbe a non moltiplicare figure per loro natura monarchiche (il vescovo, “sovrintendente”, “sorvegliante”), ad assicurare un contatto diretto e pastorale con i confratelli, a svolgere un servizio in un tempo determinato.
E si farebbe salva la dignità episcopale, che a causa dell’inflazione in qualche caso appare un po’ svalutata…