Internet e web del futuro
In svariate occasioni ho espresso quello che ritengo possa essere l’evoluzione di internet e del web nel futuro. Vorrei tornare sull’argomento, ispirato dal tema in parte nuovo affrontato da Parole Ostili (del Manifesto della comunicazione non ostile intendo parlarne in un altro articolo).
Di sicuro il Web 2.0 è nato già vecchio, trattandosi a mio avviso della semplice estensione dell’architettura precedente dovuta all’evoluzione di linguaggi, algoritmi e tecniche di programmazione potenzialmente presenti nel web del 1990.
Il futuro di internet e del web mi pare si giochi su due fronti, per nulla indifferenti l’uno all’altro: il fronte dell’etica della rete e il fronte delle nuove tecnologie; sono loro ad aprire a scenari futuri.
Etica della rete
Riguardo al fronte dell’etica della rete il web, fin dai suoi primi passi (1989), sentii la necessità di stabilire alcuni confini etici che ho ricordato qui. Non è mancata successivamente (1995) nemmeno la necessità di esprimere indicazioni intorno al comportamento da tenere nelle interazioni tra utenti dedicando al tema, nel quale rientra anche il Manifesto della comunicazione non ostile, la specifica RFC1855, come ho ricordato qui. Curiosamente, a mia conoscenza, non ci sono stati aggiornamenti sostanziali di quelle linee tracciate allora, nonostante il web sia cresciuto, molti siti web dichiarino la loro policy e sia stato necessario aggiornare molte legislazioni nazionali e introdurre concetti nuovi (si pensi al tema della privacy come a quello dell’e-commerce).
Finalmente si affaccia in modo sempre più determinato l’idea che internet sia una risorsa pubblica che va tutelata (ne ho accennato qui) e quindi si sta gradualmente abbandonando la sensazione, mai veramente avallata da esperti e studiosi, che internet e web fossero una sorta di “terra di nessuno”.
Per un’etica della rete davvero innovativa il principio base non potrà prescindere da questa consapevolezza, che ribadisco ora: la rete internet, come una delle sue principali applicazioni – il web -, sono risorse comuni da tutelare e salvaguardare per il bene della collettività, esattamente come si fa con l’acqua, con l’energia elettrica, con le strade. Finché non si sarà affermato il principio che internet è un bene pubblico (e non semplicemente un servizio tra privati, nel quale uno Stato effettua incursioni a livelli variabili) sarà impossibile effettuare il passaggio storico al web del futuro.
Ciò non vuol dire che internet abbia necessariamente come proprietario e gestore unico lo Stato. Lo Stato dovrà assicurare che nessun privato possa disporre arbitrariamente di quelle infrastrutture della rete che garantiscono l’accesso di altri privati (e delle stesse Agenzie pubbliche) ad internet, perché questo potrebbe compromettere in modo irreparabile la sicurezza delle trasmissioni, la loro segretezza e perfino la loro condizione di possibilità. Aziende e cittadini privati potranno svolgere un ruolo di amministratori del bene pubblico rappresentato da internet sotto un controllo stringente dello Stato, volto a tutelare il diritto della collettività ad usufruire dei servizi che esso offre e di ogni singolo cittadino a non veder compromessa la propria privacy e l’integrità dei propri dati personali.
Dal fatto di essere considerato (e trattato) come bene pubblico conseguono tutte le implicazioni etiche alle quali fanno riferimento altri beni considerati pubblici.
Al tempo stesso sarà necessario esplorare adeguatamente l’etica della rete nella dimensione sovranazionale / globale della rete stessa. Se l’internet attuale si qualifica sempre più per essere “una rete di reti”, storicamente si è sviluppato a partire dagli USA e ancora oggi alcune delle sue caratteristiche vitali sono amministrate da organizzazioni che agli USA fanno riferimento (si pensi all’assegnazione degli IP [Internet Protocol] da parte dell’ICANN, che pure nel tempo ha ridotto di molto lo stretto legame con il Governo USA ed ha accettato il controllo di supervisori internazionali).
Ritengo non ulteriormente differibile stabilire in modo trasparente e rispettoso del carattere ormai universale di internet un protocollo internazionale, eventualmente sotto l’egida dell’ONU, che stabilisca diritti e doveri delle Nazioni nell’utilizzo di internet e nei nuovi rapporti richiesti dalla sua natura sovranazionale: la Dichiarazione Universale dell’Utilizzo di Internet.
In questa direzione è già possibile apprezzare alcuni tentativi di carattere locale, come per esempio la Carta internazionale dei diritti digitali, presentata a Roma nel 2014, mentre i diritti digitali (intesi come la “libertà degli individui di agire liberamente per mezzo del computer, di ogni sua periferica elettronica e delle comunicazioni via rete“), lungi dal ricevere una consacrazione ufficiale a livello internazionale, vengono sempre più affrontati nelle varie legislazioni nazionali.
Non ultima, tra le questioni etiche che riguardano la rete si deve affrontare quella dell’educazione all’utilizzo di internet. Ovviamente non solo sotto il profilo tecnico ma anche e soprattutto sotto il profilo relazionale, che si farà più impellente nella misura in cui dall’internet delle macchine si passerà all’internet delle persone (v. infra). Penso questa sia la sfida più immediata che segue ad una maggiore umanizzazione di internet, soprattutto dopo il periodo di “diseducazione” che ha indotto non pochi a fraintendere la libertà di espressione offerta dalla rete con l’anarchia della legge del più forte.
Nuove tecnologie
Realisticamente, l’avvento di un nuovo web si può rendere possibile solo a condizione di una profonda innovazione (sia nelle infrastrutture sia negli applicativi) di internet. In particolare si deve auspicare un passaggio il più rapido possibile dal protocollo IPv4 al protocollo IPv6.
Il protocollo IPv4 è quello che ha assicurato, fino ad oggi, che ogni macchina connessa ad internet (computer, telefono, elettrodomestico…) ricevesse un indirizzo numerico univoco. Le accresciute esigenze di internet hanno reso particolarmente difficile reperire indirizzi liberi, facendo temere per un certo periodo di tempo di essere giunti al limite di saturazione. Che cioè il protocollo IPv4 non fosse più in grado di assegnare indirizzi internet in quanto indisponibili per esaurimento.
Fino ad oggi alcune strategie dei gestori internet si sono rivelate utili a rallentare tale saturazione. Ma non è per nulla certo che essa sia stata totalmente scongiurata. La soluzione tecnica individuata è stata quella di adottare un protocollo che fosse in grado di aumentare il numero di indirizzi numerici univoci da assegnare agli utenti di internet e tale risulta essere IPv6.
La differenza tra i due protocolli non consente un passaggio immediato dall’uno all’altro, sia a livello hardware che a livello software. Questo ostacolo si vuol aggirare con gradualità, facendo convivere i due protocolli per un periodo di tempo ragionevole. Si prevede che nel 2025 l’aggiornamento sarà completato (peraltro rendendo inservibili buona parte delle macchine che ora utilizziamo, compresa quella con la quale sto scrivendo connettendomi ad internet). Solo con il passaggio all’IPv6 si potrà scongiurare il lamentato pericolo dell’esaurimento di indirizzi internet disponibili.
Tra i problemi principali connessi a quelli infrastrutturali si ritrovano la sicurezza a livello di rete e la crittografia utilizzata per lo scambio di informazioni. Tradotto in altri termini, si deve rispondere alla domanda di come essere certi che l’utente sia effettivamente chi dichiara di essere (lasciando che della segretezza della comunicazione se ne occupassero applicazioni software). Non solo questo deve rendere conto della questione finora mai completamente risolta dell’anonimato in rete (dove bisogna distinguere tra l’anonimato del chatter che si dà un nickname e l’inattendibilità dell’identità digitale del mittente dei dati per il sistema informatico), ma soprattutto di quella della tutela dei dati immessi in rete: una rete insicura è per se stessa inutile e inutilizzabile.
Scenari futuri
Dal mio punto di vista, un internet e un web davvero innovativi saranno quelli che (1) supereranno la distinzione tra IP pubblico e IP privato, (2) switcheranno l’assegnazione dell’IP dalla macchina all’utente, (3) svilupperanno sottoreti private accanto ad una sottorete pubblica e (4) implementeranno applicativi per l’accesso alle sottoreti private.
Con il grande numero di indirizzi internet numerici a disposizione con il protocollo IPv6 è del tutto legittimo e logico aspettarsi che ciascuna persona, fin dal momento in cui nasce, riceva quale sua dotazione personale, quasi fosse una Carta di identità digitale, l’indirizzo IP univoco che la accompagnerà tutta la vita e che non sarà riutilizzabile durante il secolo successivo alla sua morte. L’utente potrà utilizzare il suo IP personale per accedere ad internet in modo pubblico o privato a seconda delle sottoreti per le quali è autorizzato ad operare e alle macchine con le quali può connettersi.
L’autenticazione dell’utente sulla rete avviene sulla base di requisiti antropometrici utili per il riconoscimento biometrico (impronte digitali, impronta retinica, impronta vocale, ecc.) incrociati con sistemi classici (password, pin, passphrase, ecc.). La macchina che autentica l’utente non ha un IP proprio, ma ha sempre l’IP dell’utente autenticato, in modo tale che non sia mai possibile connettersi in rete se non si è certi dell’identità dell’utente e che ogni utente possa connettersi con le sue credenziali da una macchina qualsiasi.
Macchine che prestano servizi in rete (server, robot…) avranno assegnato un IP univoco con il quale si connetteranno ad internet mentre si autenticheranno con l’impronta hardware, anch’essa univoca perché calcolata sulla base di irripetibili requisiti strutturali.
Poiché nello scenario che stiamo considerando internet verrà trattato come un bene pubblico, sarà compito dello Stato gestire il database relativo ai parametri di autenticazione degli utenti e delle macchine registrate sotto la propria giurisdizione.
Internet si svilupperà come una “rete di sottoreti”, sul modello dello sviluppo della televisione: alla televisione pubblica si affiancano televisioni private e pay-tv; accanto ai canali generalisti si collocano canali tematici, free o a pagamento. L’accesso ad una sottorete da parte di un utente o di una macchina autenticati in rete può avvenire solo a condizione che quell’utente o quella macchina siano autorizzati in precedenza ad operare in quella specifica sottorete. Ciò impedisce accessi indesiderati, per esempio, a sottoreti aziendali, nelle quali invece l’utente autorizzato può accedere anche in telelavoro.
Il trasferimento di un qualsiasi documento digitale (scritto, immagine, video, audio, ecc.) può avvenire solo a condizione che in un’area del documento stesso riservata al programma che lo invia in rete sia memorizzato l’indirizzo IP dell’utente che invia. Un apposito protocollo di rete si incarica di cestinare i documenti nei quali sia memorizzato un IP non coerente con i parametri desiderati (non potrò mai inviare in rete un documento che abbia memorizzato un IP diverso dal mio) o non sia memorizzato nessun IP. Poiché tutti gli IP sono pubblici e univoci, i documenti saranno trasferibili direttamente da IP a IP (senza l’intermediazione di altre macchine o server).
Se da un lato questa caratteristica ha l’indubitabile beneficio di semplificare il 90% delle comunicazioni tra utenti (in modo simile a quello che avviene tutt’oggi con programmi di messaggistica personale), dall’altro rende più laboriosa la prevenzione e la repressione dei crimini informatici. L’IP di un utente dimostratosi particolarmente inadeguato all’utilizzo di internet ovvero resosi colpevole di reati informatici, potrà essere agevolmente e legalmente interdetto dall’accesso parziale o completo nella rete.
Ritengo che, pur non risolvendo completamente tutti i problemi anzi forse creandone di nuovi per nuove sfide, solo il passaggio dall’internet delle macchine (rete di macchine) all’internet delle persone che utilizzano macchine (rete di persone) favorirà l’affermazione di un nuovo modello di internet e di web a dimensione più umana, con un uso più intelligente.