La certezza che lassù Qualcuno ci ama
Recentemente parlavo con un mio amico e sostenevo una delle solite lamentazioni da vecchi: mi chiedevo perché, rispetto alla nostra generazione, i ventenni di oggi sembrano tanto “piccoli”.
Lui mi ha risposto che la nostra generazione aveva più certezze di quella attuale.
Non saprei cosa pensare di questa sua risposta.
Cosa significa avere “certezze” dal XX secolo in poi?
Tra il 1905 e il 1913 Albert Einstein fece la più grande svolta all’interno del pensiero scientifico, formulando la teoria della relatività. Un concetto complesso, ma tutto sommato facile da intuire: non ci sono più certezze di tempo e di spazio, tutto è relativo al sistema di misurazione usato da chi si pone come osservatore.
Fino al 1927, grazie a scienziati come Newton, si pensava che l’universo fosse certamente conoscibile per mezzo della fisica. Poi arriva Heisenberg e con il suo principio di indeterminazione afferma che quello che accade nel mondo dell’infinitamente piccolo è soggetto al caso. Ergo: non ne abbiamo nessuna certezza.
Nel 1931 arriva Gödel. Ha solo 25 anni. Dimostra alcuni teoremi, i suoi contemporanei non riescono nemmeno a capirli bene per un po’. Alla fine una cosa diventa chiara: l’aritmetica, quella scienza che studia i numeri e che sembrava resistere a qualsiasi scossone, non è completa. Al punto tale che non abbiamo la certezza che l’aritmetica che usiamo normalmente sia tutta giusta.
In pochi decenni tutte le certezze scientifiche che si pretendeva di avere crollano di colpo.
Poi arriva la bomba atomica, il ’68, le crisi petrolifere ed economiche degli anni ’70, la crisi del comunismo e la caduta del muro di Berlino… Cosa significa avere “certezze” dal XX secolo in poi?
Mi viene da pensare che quelle certezze di cui (forse) anche la nostra generazione si era ammantata, tutto sommato non erano tanto certe. A cosa avevamo creduto? All’infallibilità della scienza o del potere politico? Alla sicurezza economica o alla validità delle ideologie?
Una volta Chesterton disse: «Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto». Fosse proprio questo il problema? Che le nostre generazioni, private della fede in Dio, abbiano cominciato a credere a tutto, ma proprio a tutto, come se o dalla politica o dalla scienza o dall’economia o dalle ideologie potesse arrivare all’uomo quella certezza fondativa che sia la base, la superficie di appoggio sulla quale costruire l’esistenza.
La Pasqua è ormai prossima, voglio fare gli auguri ai miei amici e quest’anno desidero davvero che questo semplice gesto spinga tutti noi a tornare alla radice delle nostre “certezze” esistenziali.
Permettetemi di proclamare la mia: è la fede nel mio fratello Gesù, Unto del Padre, inviato per una missione, quella di salvare e redimere l’umanità. E’ la fede nel mio fratello Gesù, morto e risorto, che io riconosco come Signore e Maestro dell’umanità alla ricerca di senso e di certezze. E’ la fede nel mio fratello Gesù, che ha inviato lo Spirito perché anche io, anche tutti noi partecipassimo della sua vita nuova da risorto.
Sia lui a riempire il cuore di tutti noi con la pace, la gioia e la certezza che lassù Qualcuno (Dio) ci ama, al di sopra e al di là di ogni nostro merito e di ogni nostra speranza.
Auguri, Buona Pasqua!