La “chiesa debole” del terzo millennio
Piuttosto arduo l’impegno di categorizzare un fenomeno tanto complesso quale quello religioso. Ancor più se si tratta del fenomeno costituito dalla chiesa cattolica, che ha sulle spalle due millenni di storia e ha cominciato il terzo.
Il tempo della chiesa
Già la semplice periodizzazione ci informa del fatto che la misura del tempo della chiesa avviene avendo come riferimento se stessa: il primo millennio cristiano coincide con l’apparizione della chiesa, il tempo scorre tra il prima in cui non esisteva e il dopo della sua esistenza. In questo caso ammettiamo con San Leone Magno che la chiesa-corpo iniziò ad esistere insieme al suo Capo, che è Gesù di Nazareth. Quindi in qualche modo esiste una periodizzazione del tempo che distingue tra un “prima della chiesa” e un “tempo della chiesa“.
Ma la suddivisione del “tempo della chiesa” in macroperiodi millenari rischia di non rendere completamente la granulometria del fenomeno. La chiesa apostolica, quella subapostolica e quella patristica si posizionano tutte nel primo millennio, con enormi differenze non riconducibili ad una unica categoria. E così via, per ciascun secolo, anzi decennio. Altro che millenni! Senza considerare che al compimento del terzo millennio cristiano mancano ancora circa 10 secoli…
Perciò i più avveduti potrebbero storcere il naso al pensiero che io stia tentando di definire tre macroperiodi millenari del complesso fenomeno religioso costituito dalla chiesa cattolica e dal suo tempo. Per uscirne fuori tutti in modo elegante, invito a considerarlo come il tentativo di una sintesi piuttosto che il racconto di uno storico. Uno strumento per riflettere e guardare al futuro piuttosto che un giudizio analitico a priori.
La “grande chiesa” del primo millennio
Non a torto la chiesa del primo millennio cristiano viene chiamata da storici e teologi la “grande chiesa“. Si caratterizza per una certa unità dottrinale e disciplinare tra occidente e oriente, per la diffusione, per l’autorevolezza e per la capacità politica e sociale. L’aggettivo “grande” non ne qualifica necessariamente l’aspetto trionfalistico ma sottolinea il risvolto etico-teologico di un progetto che si oppone a frammentazione ed eresia.
La “chiesa contraddittoria” del secondo millennio
Forse più arduo individuare il giudizio sintetico per la chiesa del secondo millennio. La caratterizzano divisioni e scismi, ossessione di potere e maniacale compulsione al prestigio, lotte fratricide e conversioni forzate, fino alla recente emersione di immoralità e delitti tra lo stesso clero.
Al tempo stesso l’umile incessante lavorio di innumerevoli fedeli santi rende la chiesa del secondo millennio un crogiuolo di cultura e innovazione (si pensi all’opera del monachesimo e delle universitates), di assistenza sociale e umanizzazione (si pensi alla nascita di congregazioni e di ordini religiosi, delle confraternite, delle associazioni di fedeli…), di consolidamento della dottrina e di vitalizzazione della pratica religiosa (si pensi solo ai Concili Lateranense IV, di Trento, Vaticano).
Millennio glorioso e travagliato, in chiaroscuro e senza sfumature. È stato il tempo controverso della “chiesa contraddittoria“.
Terzo millennio e “chiesa debole”
Il terzo millennio è appena iniziato, ma le contraddizioni della chiesa non paiono terminate. Pretendere cesure nette tra epoche e generazioni si configura come irragionevole esercizio di retorica. Nondimeno se il terzo millennio cristiano si concludesse oggi, ad appena 18 anni di età, maggiorenne nemmeno uscito di casa, avremmo buone ragioni per chiamarlo il millennio della chiesa debole.
Precisiamo. La chiesa (intesa come popolo di Dio e non come gerarchia e clero opposti a sudditi e laici) non è debole quando è ininfluente dal punto di vista politico e sociale. Quella attuale, rispetto alla chiesa del primo e del secondo millennio, ha perduto praticamente tutto il potere temporale (ristretto nella gabbia nemmeno troppo dorata del Vaticano) e gran parte della sua influenza sociale (in occidente si approvano leggi su divorzio, aborto, unioni civili; si chiudono scuole e ospedali cattolici). Ma nulla in confronto alla chiesa apostolica e post apostolica, dove essere cristiani non solo escludeva dalla vita politica e sociale ma esponeva persino al martirio.
La chiesa non è debole nemmeno quando è peccatrice. O meglio, quando qualcuno dei suoi membri è peccatore. Stressando l’apologo del corpo, il Capo santissimo che è Cristo, il suo soffio vitale che è lo Spirito Santo, possiedono forza divina sufficiente per risanare, perdonare, rivitalizzare qualsiasi membro sofferente. Se la vitalità della chiesa dipendesse dalla santità dei fedeli, la scommessa sarebbe persa in partenza…
Vino, otri, vecchiaia e novità
La chiesa è debole quando diventa incapace di conversione, refrattaria al cambiamento, ostinata nel non migliorare. Il pontificato di Papa Francesco, lungi dall’essere compiuto, si è trovato nella necessità di far fronte ad emergenze non più rinviabili alla cui gestione Benedetto XVI, proprio perché consapevole, aveva dovuto rinunciare per la diminuzione del “vigore sia del corpo, sia dell’animo” (fonte). Lo stesso pontificato ha fatto emergere in modo esplicito le resistenze alla metanoia (conversione, cambiamento di mentalità) e le spinte nostalgiche tipiche di periodi di transizione, nei quali il nuovo non si è ancora imposto e il vecchio non è ancora morto.
Introducendo il dualismo nuovo-vecchio torna alla mente la metafora evangelica del vino nuovo che spacca gli otri vecchi: rischia di dover essere applicata anche in questo frangente. La tabella di marcia di Papa Francesco ha imposto criteri e forme ecclesiali di conversione. Si pensi, tra le altre cose, alla riforma delle procedure per la nullità matrimoniale, alla svolta ecologista della Laudato Si’ (fonte), alla revisione della sinodalità dei vescovi auspicando e rendendosi disponibile alla riforma dell’esercizio del ministero petrino (fonte). Sotto questo profilo la chiesa contemporanea si dovrebbe piuttosto chiamare chiesa forte.
Tuttavia la stessa parabola degli otri si conclude con una frase sibillina: “Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono” (Lc 5,39). L’espressione definisce in modo icastico l’attuale fase di chiesa debole che non desidera confrontarsi con la novità e perciò rischia di apparire e restare vecchia.
Vincere la debolezza: atteggiamento di fondo
Quali sono i temi sfidanti sui quali sarà chiamata a confrontarsi la chiesa del III millennio cristiano e a vincere la sua debolezza? Ci troviamo davanti due ordini di questioni, il primo riguarda l’atteggiamento di fondo, il secondo concerne l’attuazione conciliare.
Per l’atteggiamento di fondo si esige il superamento di tre vulnerabilità:
- il formalismo. Come sostenevo nell’Introduzione del Rapporto statistico sul clero diocesano di Roma – 2017 (fonte) debellare il formalismo richiede una buona dose di conversione alla verità attraverso l’adesione alla realtà storica, adaequatio rei et intellectus. Le fughe dalla realtà finiscono sempre per far perdere significato a gesti, parole, persino persone. Il formalismo è parente prossimo dell’ipocrisia (ipocrita viene dal greco ὑποκριτής , ipocritès, “attore”, quindi simulatore). Il formalismo si supera con l’assidua, testarda, indomita conquista dell’autenticità e della trasparenza.
- il tradizionalismo. Il tradizionalismo cattolico coincide sempre più con forme nostalgiche di un passato archeologico, nulla a che vedere con la vivente tradizione della chiesa. Si tratta di un movimento settario di protesta saldato alla visione politico-sociale postmoderna che, profittando di una visione religiosa limitata e grossolana ma non per questo sempre impreparata, riduce il messaggio cristiano ad una visione manichea (opposizione tra bene e male), intimista (ricerca di visioni e segni), gnostica (frutto di rivelazione privata), crociatista (lotta contro oppositori), millenarista (fine del mondo vicina) (fonte). Considero il tradizionalismo un autentico cancro ecclesiale. Come ogni cancro toglie energie vitali all’organismo, produce tossine mortali, colonizza tessuti sani, in una parola uccide: esiste una sola cura, deve essere eradicato. Contro questa malattia ecclesiale non esiste dialogo.
- il clericalismo. Tema molto caro a Papa Francesco, che lo definisce come “un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa … quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente». Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo” (Lettera al Popolo di Dio, fonte). Nella stessa lettera Papa Francesco indica nella preghiera e nella penitenza gli strumenti per vincere il clericalismo.
Vincere la debolezza: l’attuazione conciliare
L’attuazione conciliare comporta spingere fino alle naturali conseguenze le ispirazioni che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha consegnato alla chiesa. Non tutte le conseguenze erano chiare ai padri conciliari, ma tutte le loro ispirazioni hanno messo in moto un meccanismo che ne produce. Ciascuna di esse meriterebbe – come logico – una trattazione a sé, qui posso solo menzionare quelle che mi paiono più urgenti:
- revisione dell’esercizio del ministero petrino e più in generale dell’autorità nella chiesa (cfr Christus Dominus)
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- valorizzazione del ruolo e della responsabilità della donna nella vita della chiesa (cfr Messaggio del Santo Padre Paolo VI alle donne in chiusura del Concilio)
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- ricerca di unità di tutti i cristiani (cfr Unitatis Redintegratio)
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- rinnovamento della vita religiosa (cfr Perfectae Caritatis)
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- ridefinizione dell’identità del sacerdote (in particolare diocesano) e sua formazione (cfr Optatam totius)
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- abbandono del matrimonio concordatario e istituzione di una o più forme matrimoniali diverse (cfr Gaudium et Spes, parte II cap. I)
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- trasparenza nella gestione dei beni materiali appartenenti alla chiesa (cfr Gaudium et Spes, parte II cap. III-IV)
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- coinvolgimento e impegno nelle strutture sociali e culturali civili con superamento degli steccati (cfr Gaudium et Spes, parte II cap. II)
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Verso la chiesa del futuro
Anni fa proposi al Cardinal Ruini l’improponibile. Già si vedevano i primi segnali di contrazione demografica. La scristianizzazione era fenomeno ben studiato. Le parrocchie si svuotavano. Però si continuava a costruire chiese. Campanili. Case canoniche. Campi sportivi. Parchi. Teatri.
Cattedrali nel deserto.
Almeno avessero fatto opere d’arte come Bernini e Maderno.
Soldi buttati al vento.
Aneddoto personale. Divenni parroco di una parrocchia dove – quando arrivai – la selva oscura del parco parrocchiale non era potata da 20 (leggasi venti) anni e venni salutato dallo schianto del ramo di un eucalipto, il campo sportivo era in parte abusivo e totalmente privo delle più elementari norme di sicurezza con cavi elettrici di illuminazione penzolanti (il vescovo ausiliare mi disse che avrei fatto meglio a chiuderlo al pubblico), alcune aree sconfinavano abusivamente su terreni demaniali, il pozzo dell’acqua non era protetto ed era aperto all’accesso dei bambini, l’impianto di illuminazione dell’aula celebrativa era fatiscente e i cavi arrostiti dal calore delle centinaia di lampade ad incandescenza, dai muri perimetrali si staccavano pezzi di cemento per via dei ferri ammalorati e dal tetto pioveva copiosamente nella casa canonica e nell’aula celebrativa (una signora si ruppe il femore scivolando sul pavimento bagnato in un giorno di pioggia e il figlio mi minacciò per il risarcimento).
Attivati subito gli uffici competenti della curia, sugli abusi mi dissero di soprassedere, si sarebbero messi d’accordo loro col Comune facendo scambi di terreni all’occorrenza (sic!). Durante il sopralluogo fu presente anche l’architetto progettista del complesso che mi prese da parte e mi disse: “La costruzione è ammalorata perché il mio progetto iniziale prevedeva una copertura che non fu realizzata per mancanza di fondi del committente. Detto tra me e lei, dal punto di vista economico oggi converrebbe radere al suolo l’edificio e realizzarne uno nuovo più che restaurare quello esistente”. E concluse con una punta di amarezza: “Questo è stato un mio errore di gioventù e ne sono pentito. Non lo rifarei!”.
Proposi a Ruini: smettiamola di costruire catafalchi che fra dieci, venti anni saranno già cadenti, poco frequentati e senza soldi per mantenersi. Dico: nemmeno per pagare le bollette, eh! Facciamo come in terra di missione, compriamo un paio di appartamenti in zona, tra la nostra gente, dove far vivere i preti e fare catechismo e riunioni, appartamenti che in caso di necessità sono monetizzabili; realizziamo una unica grande aula celebrativa che con pannelli mobili possa essere sezionata a seconda delle necessità; e per le attività specializzate (sport, teatro, ecc) stringiamo accordi con aziende del territorio.
Diamo la precedenza alle persone, al vangelo.
Ovviamente la proposta non venne presa in considerazione.
Si continuò a costruire. Si continua a costruire. Chiese. Campanili. Case canoniche. Campi sportivi. Parchi. Teatri.
Cattedrali nel deserto.
Soldi a dir poco buttati. Mentre cresce il numero delle parrocchie romane che bussa alle porte della curia per farsi pagare le bollette che non riesce a saldare.
Per la chiesa del futuro, quella non trionfalistica e a misura dei poveri, si deve attendere ancora un po’.
Aggiornamento 29/11/2018
Proprio oggi 29/11/2018 inizia presso la Pontificia Università Gregoriama la due giorni promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, dalla CEI e dalla stessa Università sul tema “Dio non abita più qui? Dismissione dei luoghi di culto e Gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici“. Nel comunicato stampa si legge: “A trent’anni di distanza, la Santa Sede torna a puntare l’attenzione sul fenomeno in una situazione generale in cui i problemi che allora si affacciavano appena oggi hanno acquistato proporzioni più ampie” (fonte). Veramente, come testimoniato, la situazione generale era già sufficientemente chiara almeno 20 anni fa… Positivo però che si cerchi una soluzione di sistema soprattutto in visione prospettica.
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Ciao Ugo,
storicamente quasi (metto il quasi perché la storia è il regno delle eccezioni e non ammette mai regole universali ed immortali) tutti i movimenti di rinnovamento della Chiesa la hanno vista cercare di tornare, ovviamente in modo parziale, allo spirito, se non alla lettera, della Chiesa subapostolica, spesso appoggiandosi alla forza morale e spirituali dei nuovi ordini monacali del periodo.
Così fu per la Riforma Gregoriana che sfruttò la spinta innovativa di Cluny, così fu per il IV Concilio Lateranense con il riconoscimento degli Ordini Mendicanti e pure nel Concilio di Trento l’influenza della pur recente Compagnia di Gesù non fu affatto secondaria.
Quindi non posso che concordare con te, il tornare della Chiesa a fare “come in terra di missione” è la strada e personalmente l’esperienza che sto recentemente vivendo di “ritrovo spirituale” con dei fratelli a casa di uno di loro la sento fra l’altro come utilissima proprio per uscire anche dalla tentazione (ma spesso anche obbligo) del formalismo che, giustamente, ricordi.
Alessandro