La “chiesa debole” del terzo millennio
Ricerca di unità di tutti i cristiani
Lo stesso Concilio afferma che il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani “è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II“. Per quanto ormai sia chiaro che l’unità non è né una costruzione a tavolino né un livellamento forzato di posizioni differenti, il cammino di fraternità appare un fatto irreversibile.
Attraverso il dialogo è stato possibile stabilire i punti di convergenza che caratterizzano il comune impegno cristiano. Ne è prova la Dichiarazione comune della Conferenza episcopale italiana e della Chiesa evangelica luterana in Italia per il 500° anniversario dell’inizio della Riforma (fonte), nella quale si ricorda fin dall’inizio che “piuttosto che i conflitti del passato, il dono divino dell’unità tra di noi guiderà la collaborazione e approfondirà la nostra solidarietà“.
Il fatto che non poche diocesi releghino la ricerca di unità alla celebrazione spesso distratta della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani dimostra non solo che la sensibilità ecumenica non si è imposta a livello strutturale, ma soprattutto che è assente la consapevolezza del valore pastorale e spirituale dell’unità. Ciò rischia di falsificare persino i più buoni propositi di fraternità e di unità all’interno della stessa compagine cattolica, non credibile se non sa prendersi cura dell’unico gregge.
Ciao Ugo,
storicamente quasi (metto il quasi perché la storia è il regno delle eccezioni e non ammette mai regole universali ed immortali) tutti i movimenti di rinnovamento della Chiesa la hanno vista cercare di tornare, ovviamente in modo parziale, allo spirito, se non alla lettera, della Chiesa subapostolica, spesso appoggiandosi alla forza morale e spirituali dei nuovi ordini monacali del periodo.
Così fu per la Riforma Gregoriana che sfruttò la spinta innovativa di Cluny, così fu per il IV Concilio Lateranense con il riconoscimento degli Ordini Mendicanti e pure nel Concilio di Trento l’influenza della pur recente Compagnia di Gesù non fu affatto secondaria.
Quindi non posso che concordare con te, il tornare della Chiesa a fare “come in terra di missione” è la strada e personalmente l’esperienza che sto recentemente vivendo di “ritrovo spirituale” con dei fratelli a casa di uno di loro la sento fra l’altro come utilissima proprio per uscire anche dalla tentazione (ma spesso anche obbligo) del formalismo che, giustamente, ricordi.
Alessandro